di Tony Frisina e Antonio Silvani.
Qualche giorno fa Tony ha postato su Facebook una foto di Lucca vista dall’alto, con la sua meravigliosa cinta muraria, abbiamo pertanto colto la palla al balzo (come diceva quel tizio che castrava i canguri…) e, oltre a Lucca (all. n. 1b – luccalive.com), abbiamo aggiunto Palmanova del Friuli (all. n. 1a – www.turismofvg.it) e Cittadella (all. n. 1a – turismo.comune.cittadella.pd.it), comune ad una trentina di chilometri da Padova.
Abbiamo potuto, anche se solo in fotografia, ammirare le mura, i bastioni di queste stupende città, godere di quei colpi d’occhio che da sempre contribuiscono ad attirare turisti da ogni parte.
Abbiamo anche aggiunto un’antica mappa di Alessandria (all. n. 1c – urbanlogin.cultural.it) per vedere, incazzandoci ovviamente (ma purtroppo non sappiamo contro chi) per immaginare come sarebbe stata Alessandria se avesse mantenuto la sua cinta muraria, anzi, le sue cinte murarie.
Pensiamoci bene (ed incazziamoci ancora di più) la nostra città sarebbe stata l’unica al mondo a vantare due cinte murarie adiacenti e separate solo da Tanaro: quella della città e quella della Cittadella!
A noi è rimasta solo più quella della Cittadella ma, ancora ultimamente, si è visto come sia impossibile anche solo visitare esternamente gli spalti, sia per una vegetazione sempre più intricata che per strane recentissime vestigia umane che sconsigliano qualunque esplorazione.
Il destino della Cittadella e soprattutto la sua incolumità, inoltre, sono legati a quello di quell’inutile, interminabile, distruggisoldi, esteticamente discutibile (almeno per noi) duomo di Milano che è il ponte Meier.
Ma come mai la cinta muraria di Alessandria è scomparsa assieme a tanti altri monumenti del passato e del presente?
Per una ferrea regola che da sempre vige nella nostra città: ciò che hanno costruito le precedenti generazioni, dovrà essere distrutto dalle generazioni successive!
E questo perché? Per interesse personale, per sfizio, per decisioni del singolo o di pochi, perché il partito lo vuole, perchè lo stato (che la giunta appoggia) così desidera, perché è un’esigenza della città (ma questo è un fatto che accade molto raramente).
Si mettano fin da ora il cuore in pace coloro che affermano, provando ripetuti e parossistici orgasmi, che tra secoli e secoli il ponte Meier sarà ancora ammirato dalla gente: anche questo ponte soccomberà alla ferrea legge di cui sopra!
Nell’800 c’era chi affermava che le mura di Alessandria andavano abbattute in quanto fortificazioni ormai inutili, vista la continua evoluzione dell’artiglieria pesante; per altri erano un intralcio ai traffici ed ai commerci, visto che c’erano solo cinque o sei punti di ingresso in città. C’era infine chi affermava che le mura impedivano il ricambio dell’aria che, specialmente in certi quartieri, era mefitica e malsana.
Fatto sta ed è che nel 1834 si iniziò la demolizione delle mura, partendo, più che altro per veloce e gratuito accaparramento di materia prima, dalle parti in mattoni e questa demolizione procedette anche nel ‘900.
L’all. n. 2 è una foto dei primi ‘900, tratta dal libro “Da Pista a rione” di Alessandro Corsico, che mostra una fase della demolizione dei bastioni nella parte sud di Alessandria.
Nell’articolo del 1920 “Fornaci municipali“, tratto dal libro di Tony Frisina “Album alessandrino Cartoline e cronache d’epoca” si legge:
“La crisi generale che ha travagliato le industrie che non poterono convertirsi alla produzione di materiale bellico ha in modo speciale colpito l’edilizia. Il cresciuto costo dei laterizi non solo ha impedito ogni nuova importante costruzione ma, specie nel 1915, ha determinato un vero e proprio allarme tra gli imprenditori che non potevano assolvere agli impegni assunti per l’ordinaria manutenzione dei fabbricati.
I proprietari e gli esercenti delle fornaci avevano creato un trust che opprimeva gli acquirenti i quali interessarono il Comune per fare migliorare lo stato delle cose.
L’amministrazione pensò allora che era opportuno il diretto intervento sotto il triplice aspetto di rompere il trust dei produttori, di fornire lavoro alla mano d’opera disoccupata e di valorizzare la terra dei bastioni conseguendo nel tempo stesso la demolizione di essi.”
Furono così costruite negli anni a cavallo della prima guerra mondiale ben due fornaci municipali (vedi all. n. 3), una in spalto Borgoglio ed una in spalto Rovereto. E in breve i bastioni scomparvero da Alessandria, tranne che nella zona di quella che divenne poi via Monteverde, che resistettero fino alla fine degli anni ’60.
Chi, come noi, ha qualche capello grigio, ricorderà proprio quella via ed il punto in cui, percorrendola, sembrava di entrare in un canyon tra i bastioni.
Tra i ricordi di Antonio c’è anche il falò di libri del liceo (specie quelli di matematica e fisica), acceso sui bastioni da lui ed un amico lo stesso giorno in cui furono pubblicati gli esiti (positivi!!!) degli esami di maturità.
Col tempo anche gli ultimi residui dei bastioni scomparvero ed ora quello che resta, siamo più o meno dalle parti di via Boves, lo possiamo vedere nell’all. n. 4.
Ci congratuliamo con Brigante Mandrogno, pseudonimo dell’autore della foto, e gli chiediamo di farsi vivo in quanto in possesso di numerosi documenti, notizie ed aneddoti sulla nostra bella (purtroppo non più come una volta) città.
Concludiamo con una nota comica (vedi all. n. 5).
Che cosa c’entra la famosa e bellissima attrice, cantante e soubrette degli anni ’20 Anna Fougez con i bastioni di Alessandria (per secoli zona di… ripopolamento dei figli di Gagliaudo)?
La Fougez o, all’alessandrina, la Fušé, era il soprannome di una vendeuse d’amùr (per dirla alla Gianni Fozzi) di quell’epoca, del tutto somigliante alla succitata soubrette.
Questa professionista, che lavorava specialmente sui bastioni, è passata alla storia non tanto per lei o per la sua professione, era poi una prostituta come tante altre, magari un po’ più bella, quanto per una frase lapidaria pronunciata da sua madre.
Ebbene questa vecchiaccia, ricordata come piccola, rugosa, col naso a becco e due occhietti piccoli e cattivi, era solita rispondere, con la sua voce nasale, a chi la informava del comportamento poco adamantino della figlia:
“I dìšu che mé fìa la vàga ‘d nóc ans i bastión con j’òmi e ch’la séa ‘na pitàna… bàsta ch’la màcia nénta u só nòm e ch’la téna óut l’unùr dla famìja e pó la pó fè tüt cùl ch’la vó!”
[Dicono che mia figlia vada di notte sui bastioni con gli uomini e che sia una puttana… basta che non macchi il suo nome e che tenga alto l’onore della famiglia e poi può fare tutto quello che vuole!]