di Tony Frisina e Antonio Silvani.
Una felicissima frase del sindaco Francesca Calvo fu: “E’ inutile far costruire sempre più supermercati… in Alessandria abbiamo il più bel supermercato che ci possa essere: via S. Lorenzo e piazza Marconi!”
Ed è vero tutti coloro che, come noi, hanno superato di venti anni ed anche più il mezzo del cammino della vita, si ricorderanno del mercato ortofrutticolo di piazza Marconi (vedi all. n. 1), si ricorderanno di quando, zampettando con madri o nonne, le accompagnavano a fare la spesa, si ricorderanno di Maddalena, Pietro, Augusto, ‘Delina, Hermosa e tutti gli altri che, in rigoroso dialetto alessandrino, parlavano, imprecavano, urlavano attiravano i clienti dai loro banchetti stracarichi, spesso sbilenchi.
Il mercato di piazza Marconi ne ha di anni, sicuramente nell’800 era già presente, qualcuno dice che fosse ancora più vecchio.
L’all. n. 1a vediamo uno scorcio di questo mercato datato fine ‘800, primissimo ‘900.
Questa foto, forse un dagherrotipo, era talmente bella che Antonio la scelse per la copertina del suo dizionario:
“Tüc i vóru pisè luntòn“, dice Antonio, “e alùra al fàs ònche méi e am büt a šbardlè cùla ròba fonda vìghi el mé disiunàri e ch’i ch’l à scrìc la prefasión: Umberto Eco! I dìši ch’a blàgh? Jéi rašón!”
[“Tutti voglioni pisciare lontano”, dice Antonio, “e allora lo faccio anch’io e mi metto a spargere quella roba facendo vedere il mio dizionario e chi ha scritto la prefazione: Umberto Eco! Dite che mi vanto? Avete ragione!”]
L’all. n. 1b è un bellissimo acquerello che rappresenta il mercato di piazza Marconi negli anni ’50: i carretti dei verdurieri e dei fruttaroli ormai numerosissimi, uno attaccato all’altro, disposti du due, se non su tre, file.
Ammirando questo quadro pare quai di udire le voci dei venditori e dei clienti e di apprezzare i profumi e gli odori della merce.
Purtroppo non siamo stati in grado di scoprire il nome dell’autore dell’opera né di decifrate la firma ed è una grave lacuna, lo ammettiamo, però confidiamo nella bravura di qualche lettore per illuminarci.
L’all. n. 1c è uno scorcio del mercato com’è attualmente. Nulla da dire: anche se i prezzi, in proporzione, sono forse un po’ più alti, le bancherelle sono indubbiamente più ordinate, c’è meno caos, non escludiamo che l’igiene sia migliorata, ma il fascino di allora ce lo sogniamo e più non si sente l’accattivante lingua di Gagliaudo, sostituita da un italiano con inflessione giargianese.
Sicuramente qualche rana dalla bocca larga bercerà che noi siamo i soliti “difensori tardivi delle bellezze locali” e che dovremmo pensare al presente: la mission di questo blog è stata estrinsecata fin dall’inizio, per cui se qualcuno non ci legge e cosa più importante, non ci infrange i cabasisi, farà solo bene!
La cartolina (all. n. 2) mostra una meravigliosa prospettiva di piazza Marconi nel 1952. Allora non esistevano quasi automobili, ma solo biciclette e, per il trasporto merci (vedi quasi al centro della foto) c’erano i carretti.
Al pianterreno della casa indicata dalla lettera a si notano le due vetrine di un’osteria che fino all’inizio degli anni ’70 fu frequentata dai Goliardi alessandrini per pranzi e cene sia ufficiali che privati.
Andando avanti di non oltre 20 metri in via della Vittoria, sulla sinistra c’era l’altra sede di baccanali Goliardici.
In entrambi questi locali si poteva degustare il büšechén (porzione di trippa), detto anche pìcula (piccola), che consisteva in una porzione abbondante di trippa in umido, una pagnotta ed una tazza da un quartino di barbera. Questo cibo di sapore ottimo ed abbondante saziava gli studenti le cui tasche erano più vuote dello stomaco!
Le vecchie case di piazza Marconi, indicate dalle lettere a, b e c, furono demolite tra gli anni ’60 e ’70 per far posto a delle costruzioni (vedi all. n. 3), da noi chiamate “ecomostri” che nulla avevano da spartire con l’architettura della piazza.
Nell’all. n. 2d vediamo una freccia con la scritta la céša e nell’all. n. 3d possiamo apprezzare il punto, nella casa precedentemente demolita, in cui era sita questa chiesa.
La céša era un luogo di culto così chiamato dagli adoratori del dio Bacco, era la vineria F.lli Boido, rinomatissimo locale di vendita e mescita di vini e liquori, che, come tutte le chiese, doveva essere visitato almeno una volta al giorno. Questo locale, in tutt’altra forma, indubbiamente più elegante ed esclusiva, si è spostato più avanti in via S. Lorenzo.
Il “supermercato alimentare” citato dalla Calvo comprendeva anche via S. Lorenzo, con i suoi negozi (ben pochi ne sono rimasti da allora) ed il Mercato Coperto.
Le sue tre entrate sulla via di questo mercato portavano in un mondo “magico” per i bambini, anche perchè dalla parte opposta a via S. Lorenzo c’era un ingresso che introduceva ai grandi magazzini UPIM di corso Roma, in cui i giocattoli facevano la loro notevole parte.
L’all. n. 4 mostra l’esterno del Mercato Coperto e precisamente verso la fine degli anni ’50 (a) ed esattamente nel 1985 (b). La foto, che immortala, la moglie e la figlia maggiore di Antonio, fu scattata proprio il giorno di capodanno.
Dal confronto tra le due foto c’è da notare che poco o nulla era stato fatto, se non qualche “taccone” alla struttura esterna e, onestamente, all’interno era stato fatto meno ancora.
Il Mercato Coperto ospitava tutti i negozi o banchi di vendita possibili ed immaginabili di ogni tipo di cibo: macellai posti in botteghe in muratura e poi banchi di pizzicagnoli, acciugai, pollivendoli, pescivendoli (si potevano acquistare tinche ed anguille vive), verdurieri e fruttivendoli; c’era persino una drogheria vecchio stampo, che vendeva veramente di tutto.
I prezzi erano per tutte le tasche, ma per lo più abbordabili e la gente era soddisfatta.
Purtroppo, anche a quei tempi era già così: il complesso edilizio del mercato faceva gola a qualcuno e, non appena si vide che erano fondamentali ed urgenti dei lavori per migliorarne l’igiene e la sicurezza, fu decretata la chiusura del mercato con la promessa (vedi all. n. 5a) che sarebbe rivissuto abbellito e migliorato per tutti i venditori ed i clienti.
Correva il 22 dicembre del 1992 ed i Pinocchi allora amministratori fecero si (dando permessi su permessi) che il glorioso Mercato Coperto, invece di essere restaurato con modica spesa, fosse raso al suolo ed al suo posto sorse (all. n. 5b) quello che c’è adesso… bèla ròba.
Gli Alessandrini ad un certo punto si levano l’anello dal naso e la sveglia al collo e reagiscono (stia attenta l’attuale giunta) e così accadde: a parte qualche sporadico tentativo, subito abortito, neppure un metro quadrato del nuovo mercato coperto fu affittato (a parte i negozi che danno sulla strada) ed i commercianti pensarono bene di andare in altri posti a vendere la loro merce.
Il mercato coperto di Alessandria non era la Rinascente di Milano ed a nessuno passava per l’anticamera del cervello che lo dovesse diventare: i marmi e le scale mobili non servivano assolutamente a nulla… (vedi all. n. 6) la gente lo voleva come prima!
In tutte le città, non solo del Piemonte, ci sono mercati coperti dell’epoca del nostro demolito, sono stati soggetti a restauri per adeguarli alle leggi, ma nessuno si sognò mai di demolirli…
Ma in Alessandria vige la triste abitudine di…