Ottimisti e gufi

Patrucco Giancarlodi Giancarlo Patrucco
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Ce lo sentiamo recitare come un mantra quasi tutti i giorni. Basta vedere in tv il Presidente del Consiglio e – statene certi – o alle sue spalle appaiono slogan che grondano ottimismo o l’ottimismo lo spande lui, a parole. In molti casi ci sono entrambi, parole e slogan, più sorrisi, ammiccamenti, pacche sulle spalle e gli immancabili selfy.

Ma dobbiamo veramente essere ottimisti? Vi dirò, faccio fatica a diventarlo io, che ho una pensione decente, una casa decorosa e tre pasti al giorno. Come fanno a mostrare ottimismo quelli che non trovano lavoro, quelli che il lavoro l’hanno perduto, quelli che ne hanno uno precario, quelli che sopravvivono con una pensione al minimo, quelli che hanno uno sfratto esecutivo e non sanno dove andare a sbattere la testa? Già, come fanno? Semplicemente, cambiano canale, cambiano Paese, oppure dicono cose che solo nel salotto di casa si possono dire. Fuori, ti arriverebbe una denuncia per vilipendio.

Tutti gufi? Ma neanche per idea.
Quando il Presidente del Consiglio va alla Borsa e dice in faccia ai maggiorenti del Paese che il capitalismo italiano ha sempre poggiato su un sistema di relazioni. Quando il Presidente del Consiglio spinge per la rottamazione degli enti inutili e per la semplificazione degli atti burocratici. Quando il Presidente del Consiglio afferma di voler cambiare il sistema istituzionale che ha retto tutto ciò, quelli che non ce la fanno a tirare fine mese applaudono perché sanno, come so io e sanno tutti, che il sistema Italia ha sempre funzionato così. Dalla capitale alle periferie, dai centri decisori giù giù sino all’ultimo funzionario di Stato o di partito, il merito è stato visto come un soprammobile: bello, vezzoso, ma puramente ornamentale. Si saliva (e si sale) la scala, soltanto se sei figlio o nipote di, se sei in cordata con qualcuno che conta, se sei in grado di avvicinare le persone giuste, di renderti utile, di essere lì dove si decide. Altrimenti sei fuori, esposto a tutti i venti e a tutte le tempeste.

I veri gufi devono ricercarsi, dunque, tra quelli che dall’immobilismo hannoGufi tratto privilegi, prebende, vantaggi indebiti per affari poco trasparenti. Tra quelli che hanno scavato nella frattura sociale tra vecchi e giovani, tra nord e sud, tra uomini e donne, tra garantiti e non.
I veri gufi stanno nell’apparato di questo Paese, ben protetti dalle loro corporazioni. Stanno nelle organizzazioni degli industriali, stanno nel funzionariato pubblico, stanno in Comune, in Provincia, in Regione, in Parlamento. Persino nelle organizzazioni sindacali, persino nei militanti di partito, che hanno i piedi qui, nel 2.000, ma la testa ancora nel ‘900.

Consiglierei, quindi, al nostro Presidente del Consiglio di darsi una calmata. Non sono certo io a disconoscere i suoi meriti: almeno, ha portato una ventata di aria fresca, ha caparbiamente cominciato a smuovere le acque putride, ha reso operativi provvedimenti che nessuno avrebbe mai pensato realizzabili e ne ha messi in cantiere altri, a tambur battente. Non perché l’Europa lo vuole, ma perché l’Italia ha una scelta sola: o cambia, o si rassegna ad una inevitabile decadenza.

Vorrei soltanto che capisse come, se è immane il compito che si prefigge, tanto più è importante procedere alla sua realizzazione avendo come fari i principi sanciti dalla Carta Costituzionale, che parlano di equità, di giustizia, di diritti. Senza il rispetto di questi imprescindibili principi, anche lui rischia grosso, prestando il fianco a chi dice che non fa altro se non sostituire un nuovo regime a quello precedente.

A dimostrazione di ciò che affermo, farò soltanto due esempi recenti per sottolineare quel che intendo.

Gli Uffici di presidenza di Camera e Senato danno l’ok alla delibera che blocca il pagamento dei vitalizi agli ex deputati condannati per reati considerati gravi. Ma quanta fatica per arrivarci e, poi, per arrivarci con mille cautele e mille distinguo. Così, i vitalizi del condannato riabilitato non verranno sospesi – è una questione di diritti – e quelli di Area Popolare spiegano che “La revoca dei vitalizi attraverso delibere degli Uffici di Presidenza delle Camere è di dubbia costituzionalità”.

Negli stessi giorni si parla anche dell’ormai famosa sentenza della Consulta che ha bocciato il blocco degli adeguamenti pensionistici, attuato da una Fornero in lacrime sotto gli occhi un po’ attoniti dell’allora Presidente del Consiglio Mario Monti. Il Tesoro fa un po’ di conti e scopre che ottemperare a quel pronunciamento significa sborsare tra i 12 e i 16 miliardi di euro. Ma come si fa? O si trovano dei modi per ridurre, per procrastinare, per alleggerire, oppure si sfora il Dpef. Altro che riduzione al 2,6%, altro che tesoretto. Questa è una voragine che porta il deficit 2016 al 3,6%. Restituire a tutti non si può, dicono in tanti. Per esigenze di cassa.

Ecco. Potrei continuare, ma ritengo che questi due esempi siano abbastanza pregnanti. Le esigenze di cassa non sono in cima ai diritti sanciti dalla Costituzione. Prima vengono l’equità e la giustizia. Non puoi disputare dei diritti, soprattutto quelli delle fasce che più hanno pagato e stanno pagando la crisi, senza prima aver fatto tabula rasa di ben altri redditi e di ben altre rendite. La missione che ti sei dato, di cambiare l’Italia, non può che partire da una redistribuzione della ricchezza, caro Renzi. Dal fare tabula rasa di malversazioni e privilegi. Di tosare i ricchi a vantaggio dei poveri.

Questo vuol dire fare cassa. salvare i poveri Cristi e non i Barabba.