Molto sovente il battesimo era pure l’occasione in cui la matricola (ancora minus quam merda, ma affrancata, resa libera) riceveva il papiro e, da quel momento, aveva la garanzia (ci scappa da ridere…) di essere finalmente lasciata in pace e di partecipare in santissima tranquillità ad ogni festa, baccanale, orgia, magna Goliardica cagnara, casino atroce con tutti i Goliardi dell’Ordine sia in patria che all’estero.
Ma che cos’è il papiro?
Troppo è stato detto e scritto su questo nobile documento cartaceo, senza contare che ogni Ordine Goliardico aveva le sue regole di compilazione e quindi non entriamo in approfondite descrizioni.
Una cosa è certa: il papiro era considerato l’attestato di entrata nella Goliardia, il diploma di Goliarda.
Su questa pergamena, con i simboli dell’Ateneo e dell’Ordine Goliardico ivi imperante, era proclamata l’appartenenza dell’interessato alla Goliardia e questa dichiarazione era supportata dalle firme del Capo Ordine e di tutti gli Anziani.
Il papiro diveniva anche una specie di antologia Goliardica in quanto, accanto a ciascuna firma, veniva scritta una massima, una poesiola, un motto, una legge, un’osteria.
Nelle città prive di Università (e questo era il caso di Alessandria) il papiro conteneva lo stemma dell’Ordine Goliardico riconosciuto et imperante, circondato dagli stemmi dei principali atenei (solitamente i più vicini) frequentati dagli studenti di quei centri.
In Alessandria vigeva anche l’abitudine che la matricola a cui era stato consegnato il papiro dall’Ordine Goliardico dell’ateneo frequentato, non riceveva detto documento dall’Ordine alessandrino e, ovviamente, viceversa.
Ci sarebbe piaciuto mostrare in questo contesto il papiro che ricevemmo, da merdosissima mATRICOLA, dalle mani di Alboino I, Re (per disgrazia di Dio e volere del Popolo) del Sacrum Regnum Longobardorum, Ordine Goliardico imperante a Pavia, e dal Capo del gruppo Goliardico Augustus di cui facevamo parte.
Purtroppo questo sacro documento datato 1969 – 1 (o 1869 + 99) andò irrimediabilmente perso nel corso degli anni e dei numerosi traslochi che il lavoro ci impose… quante volte, per autopunirci di questo sacrilego smarrimento, offendemmo a sangue le nostre pontificali coglie con una plurinodosa disciplina monastica…
Ma anche questa volta il colendissimo Dott. Ugo Boccassi, pur non sapendolo, ci è venuto in aiuto ed infatti siamo onorati di pubblicare il suo papiro, consegnatogli millenni fa in quel di Pavia – vedi all. a (fronte) e b (retro).
L’all. c è un prezioso pezzo di antiquariato che abbiamo voluto inserire per aumentare il valore della sbrodolatura che stiamo scrivendo: è un papiro che risale al 1934 ed è firmato dalla Goliardia Turritana di Sassari, Ordine Goliardico ultra strafunzionante, indubbiamente uno dei migliori dello Stivale nell’onorare la Sacra Triade.
Abbiamo scritto poco sopra che il papiro conteneva, accanto ad ogni praeclara firma degli anziani “una massima, una poesiola, un motto, una legge, un’osteria”: negli all. d1 e d2 sono raccote alcune massime tratte da papiri di tutta Italia.
Sapete tutti come due o tre puntate fa siamo stati duramente attaccati in queste pagine da due minus habens, da due quaquaraquà indegni di fare parte del consorzio umano, sub umani che abbiamo pensato bene di ricoprire (purtroppo solo verbalmente) di quella materia che uno stitico fatica a produrre.
S.E. il nobilissimo Arcivescovo de la Cà Rùsa, Cardinale Sir Antony Birdstone, ci ha chiesto che pena avrebbero meritato questi rei prima di tutto di lesa Goliardia.
Ebbene rispondiamo a S.E. narrando un aneddoto in cui fummo coprotagonisti.
Correva l’anno zero della Goliardia (vale a dire il 1969) eravamo un semplice fagiolo, iscritto all’università di Pavia ma fummo nominati dal Re in persona Pubblico Ministero nei processi alle matricole.
In quei giorni (non stiamo per leggere un brano evangelico né stiamo per citare il periodo mestruale)… in quei giorni, dicevamo, una lurida matricolala la cui militanza politica è facilmente intuibile si ribellò agli anziani ed ai loro metodi matricolari, ma qesto si sarebbe risolto in un sonoro “vaff!” ed il coglione sarebbe stato bandito da ogni manifestazione copulatoria e/o gastronomica e/o festaiola di impronta Goliardica, però la merda umana osò anche dare uno schiaffo ad un Goliarda… il massimo della lesa Goliardia.
Il reo fu portato illico ed immediate in un’aula vuota dell’ateneo e in breve si formarono giuria e collegio giudicante. Non essendo stati trovati altri pubblici ministeri, l’incarico fu affidato ad un giovane ed inesperto fagiolo, già pratico del ruolo in processi minori… stiamo parlando della nostra persona!
Chiedemmo subito (e fummo immantinente accontentati) una debragatio del colpevole ed una lustratio della sua faccia per attutire l’espressione da culo… il tutto per facilitare l’interrogatorio.
Stavamo per iniziare con le domande quando ci bloccò una voce autorevole: “Che state facendo?”.
Era il Magnifico Rettore dell’università di Pavia che, avvisato dai compagni (in tutti i sensi) dell’imputato, era venuto a controllare.
“Magnifico,”, gli dicemmo con voce miracolosamente maestosa, “stiamo processando questa matricola rea di aver percosso un anziano, senza neppure essere stata toccata!”
Il Rettore stette per qualche lunghissimo secondo in silenzio, fissò il colpevole, sorrise alla nostra giovane persona ed esclamò: “Goliardi, fate il vostro dovere!”
Ed intonando il “Gaudeamus igitur” si allontanò dall’aula.
Finimmo tutti di cantare l’inno internazionale della Goliardia (una bella folla si era radunata) e riprendemmo il processo.
Proponemmo una lustratio con lucido da scarpe marrone (per questo bieco individuo era indicato solo il colore del letame privo di paglia) capillare, senza che neppure un millimetro quadrato di cute fosse risparmiato, tranne che dalla cintola al collo in cui doveva essere effettuata la piumatio.
Le pene da noi indicate furono approvate dal collegio giudicante e dalla folla ed alacri fagioli iniziarono a lustrare con morbide spazzole anche le zone pudende, quindi cosparsero torso fianchi e schiena del misero con colla da manifesti concentrata su cui liberarono un sacco pieno di soffici e candide piume.
Il condannato fu accompagnato fino all’ingresso dell’università (il clima era ancora di un tepore accettabile) come mamma l’aveva defecato ma lustrato e piumato, dopodiché fu libero di andarsela a prendere nel culo o in altro distretto anatomico a suo piacimento!