La passeggiata, la vasca ai miei tempi, lo struscio, forse oggi, in Corso Roma, è una liturgia di sempre, tanto da far verseggiare un anonimo poeta quanto segue: Una via tracciata/da continue estenuanti passeggiate/dove poi gli Alessandrini/a soddisfare le loro vanità/misero le case coi negozi.
Gli anni della sua mitizzazione sono quelli del dopoguerra fino agli anni ’60, quando la fretta non regnava sovrana, quando i negozi eleganti erano tutti concentrati lì, quando era l’unica opportunità per incontri ravvicinati di primo, secondo o terzo tipo, quando rappresentava un’ occasione di svago e di relax dopolavoristico a buon mercato.
In quel fazzoletto di città, la consuetudine rendeva i… deambulanti abituali personaggi noti a tutti, come se i componenti di una grande famiglia si ritrovassero insieme nelle ore canoniche dalle 18 alle 20 circa.
Per la verità – ormai dei viventi nessuno più se lo ricorda -, la passeggiata ha avuto al principio del secolo un rituale collocato un po’ più in là e precisamente sotto i Portici di Piazza Garibaldi, da via Lanza al Corso (allora l’altro lato non esisteva ancora). Quest’usanza perlopiù invernale, certo più intelligente della nostra che non ha mai saputo sfruttare le potenzialità completa di una meravigliosa piazza porticata, declinò verso il Corso con l’arricchimento degli esercizi commerciali e dei caffè più celebri. La gente divisa in due colonne, una discendente, l’altra ascendente, percorreva ripetutamente quel tratto dei portici, mirando e facendosi mirare.
Quella passeggiata costituiva una vera passerella per l’eleganza delle donne alessandrine, fossero dame, oppur donne di casa, sartine (caterinette) o semplici operaie (borsaline). Le mogli stavano a braccetto dei mariti con avanti la rispettiva prole; le ragazze si stringevano tra loro, mentre i gagà si addossavano ai pilastri per non cadere… a tanta meraviglia! Nel tratto dei portici dove c’è la farmacia, allora Griggi, posteggiavano i dandies dell’epoca, proprio come li ha immortalato il caricaturista Mario Capurro.
Era naturalmente anche uno splendido teatrino che ogni sera proponeva simpatiche e gustose scenette. Talmente luogo comune, in tutti i sensi, “fare la passeggiata” a volte assumeva anche ingenui metaforici significati.
Si racconta infatti che in un salotto “bene” in cui era riunito il fior fiore delle dame, irrompesse un delicato “ricciol d’oro” fanciullo, esclamando a gran voce: “Mamma, mi scappa la cacca!”. La signora, arrossendo, chiese scusa ed accompagnò il bimbo alla natural bisogna. Più tardi rimasta sola, rimproverò il figliolo, avvertendolo d’ora innanzi di usare una frase convenzionale tipo: “mi porti a fare la passeggiata sotto i portici?”, camuffando elegantemente così il momento del… bisogno. Riccioli d’oro annuì compunto. Caso volle che nella riunione salottiera seguente il caso si ripetesse, con formulazione puntuale della richiesta concordata. Ma la mamma, infervorata in una discussione calorosa sulla moda non fu molto tempestiva (anche perché tra i due è lei che forse non ricorda la convenzione) ed il bambino scoppia a piangere. Tutte le dame allora riscoprendo quel “cor di mamma” che c’era in ciascuna di loro si premurano a lui d’intorno: “che c’è, che c’è, che hai povero bimbo?”. E lui tra le copiose lacrime in un singhiozzo “Mamma mi sono fatto la passeggiata sotto i portici… dei calzoncini!”