“Mi capita abbastanza frequentemente di spostarmi, per rapporti di collaborazione con altri atenei italiani, e ogni volta ritorno più orgogliosa del nostro Disit: sul piano della didattica come della ricerca e dei laboratori siamo una vera eccellenza. E non abbiamo per fortuna neppure particolari problemi sul piano strutturale e logistico: la nostra sede qui agli Orti, pur con i necessari ritocchi, è certamente una location adeguata”.
A distanza di circa 8 mesi dall’ultimo incontro, la professoressa Graziella Berta, direttore del Dipartimento di Scienze e Innovazione Tecnologica dell’Università del Piemonte Orientale, ci accoglie nel suo ufficio al secondo piano del Disit con un sorriso, e un pensiero positivo di partenza, che non guasta mai. Ma naturalmente sottolineare che il bicchiere è mezzo pieno non significa ignorare che esistono anche difficoltà sul piano dei servizi agli studenti (“non c’è una casa dello studente, e neppure una mensa qui nel quartiere: i ragazzi per loro natura sono portati ad adattarsi, ma vederli che mangiano un pezzo di pizza seduti sulle scale non è entusiasmante”), e naturalmente non mancano le difficoltà comuni a tutta l’Università pubblica italiana, in termini di risorse sempre più scarse, e di ‘salti mortali’ del corpo docente, per non ‘mollare il colpo’ né sul fronte dell’insegnamento né sul quello della ricerca. Proviamo allora a fare con la professoressa Berta il punto della situazione, “anche considerando che il mio mandato quadriennale scade a fine ottobre, e non sarò ricandidata: tornerò a dedicarmi per altri tre anni a tempo pieno all’attività di docente, che non ho mai abbandonato. E poi andrò in pensione”.
Professoressa Berta, partiamo dal temuto ‘sdoppiamento’ dei corsi di biologia a Vercelli: come sta andando? Il ruolo del Disit di Alessandria è in discussione?
Assolutamente no: il percorso di duplicazione dei corsi (ma solo delle lauree triennali di biologia, scienza dei materiali e informatica: a Vercelli non c’è chimica, e le specialistiche rimangono comunque tutte ad Alessandria) è stato deciso dall’Ateneo in conseguenza dell’applicazione delle normative della legge Gelmini, e ad oggi l’operazione può dirsi assolutamente riuscita. A Vercelli abbiamo complessivamente circa 300 iscritti, senza che questo abbia minimamente danneggiato Alessandria: guardando ai numeri complessivi, infatti, quest’anno abbiamo avuto ben 747 matricole, e complessivamente siamo a 1.611 iscritti, con una crescita significativa anche di chi frequenta le lauree magistrali.
Le lauree specialistiche sono quelle particolarmente qualificanti, ovviamente. Prevedete un loro potenziamento?
Potenziamento no, direi piuttosto rafforzamento dell’esistente. Consideri che, in particolare, la specialistica di biologia ad Alessandria può far conto su 3 nuovi percorsi altamente qualificati, ossia agroalimentare, ambientale e biomedico. L’importante ora è saper consolidare l’offerta dei corsi, e al tempo stesso fare in modo che continui a crescere il numero degli studenti che, al termine della triennale, scelgono di continuare e specializzarsi. In ambito scientifico già con la triennale esistono comunque interessanti sbocchi nel mondo del lavoro, soprattutto industriale, e questo è positivo: però è chiaro che la laurea magistrale ha un altro peso e orizzonte, per cui che cresca il numero di chi sceglie di conseguirla è assolutamente positivo: ad oggi abbiamo 59 iscritti al primo anno delle lauree magistrali, e 51 al secondo anno.
E il dottorato di ricerca professoressa Berta? Un tempo il suo sbocco privilegiato era proprio l’attività accademica: oggi la situazione è diversa?
Purtroppo sì, nel senso che all’università le assunzioni sono sostanzialmente bloccate, e la possibilità di ingresso per chi oggi frequenta il dottorato si è sicuramente ridotta rispetto al passato. Però il nostro dottorato in Chemistry and Biology, che raggruppa sotto un’unica ‘egida’ diversi precedenti dottorati scientifici, ha anche significativi sbocchi nella ricerca privata, in azienda, e quindi rimane un percorso appetibile, oltre che altamente formativo. Quest’anno i posti al primo anno sono 8, e il prossimo anno dovrebbe aumentare di alcune unità. Naturalmente accedono al dottorato laureati che arrivano da tutta Italia, e anche dall’estero: e così succede per i nostri laureati, che hanno una mobilità molto elevata, anche durante il percorso di laurea.
Quindi gli interscambi con l’estero, tramite Erasmus o con altri progetti, hanno un peso rilevante per il Disit?
Assolutamente sì: partecipiamo a progetti europei ed extraeuropei. Dalla Francia all’Inghilterra, ma anche Finlandia, Israele, Canada. E nord Africa, dal Marocco all’Egitto. E in questo momento abbiamo qui al Disit una studentessa post dottorato dall’Iran, e un professore cinese. Il respiro internazionale non ci manca.
Già in passato peraltro ci segnalò come una percentuale significativa di studenti e studentesse delle facoltà scientifiche alessandrine arrivi da fuori regione, e in particolare dal sud del paese. E’ un trend che continua?
Assolutamente sì, anche perché rispetto ad un tempo oggi la connessione in rete fa sì che gli studenti, già alla fine delle superiori, possano accedere a tantissime informazioni sull’offerta universitaria non solo sotto casa, ed evidentemente scoprono che qui da noi ci sono eccellenze, didattiche e di laboratorio, su cui conviene puntare e investire. Dalle regioni del sud arrivano indifferentemente studenti e studentesse, ma non posso non sottolineare che il livello qualitativo delle ragazze, e la loro determinazione, è davvero eccellente. Non so da cosa dipenda, ma i risultati degli esami parlano chiaro!
E a queste persone non manca una Casa dello studente, e in generale luoghi attorno ai quali aggregarsi, quando il Disit chiude?
Quello dei servizi, e del rapporto con la città, è certamente un aspetto rilevante. Direi che Alessandria, dal punto di vista dell’offerta di alloggi, è assolutamente competitiva e offre soluzioni anche a costi ragionevoli, per cui i ragazzi, spesso aggregandosi, riescono ad ovviare alla mancanza di un collegio universitario. La mancanza di una mensa invece si sente assolutamente: quella esistente è lontana da qui, troppo scomoda. E i ragazzi si ‘arrangiano’ come possono, puntando sulle non molte strutture disponibili qui nel quartiere.
Parliamo di istituzioni e di territorio professoressa: l’interazione è soddisfacente, il rapporto funziona?
Il rapporto si sta consolidando, ed è certamente più fluido ed efficace di qualche anno fa. Si può e si deve sempre migliorare, intendiamoci: però ci sono alcuni soggetti che mostrano nei nostri confronti un’attenzione apprezzabile: mi riferisco alla Fondazione CrAl, ma anche a Confindustria e a qualche gruppo imprenditoriale particolarmente attento, come Guala. Naturalmente le risorse non bastano mai, e in un clima di forte ‘austerity’ sul fronte della mano pubblica, saper costruire percorsi di ricerca che abbiano ricadute importanti sul territorio, e possano quindi stimolare anche investimenti di privati, è essenziale. E da questo punto di vista ci muoviamo con grande attenzione, e abbiamo in tutti i comparti di nostra competenza (biologia, chimica e scienza dei materiali, informatica) gruppi di lavoro che sviluppano percorsi di grande valore. Penso ai nostri contributi sul fronte ambiente, con attività di studio sia per quanto attiene il monitoraggio che la bonifica, e con analisi degli effetti di certe sostanze su vegetali, animali e uomini. E poi abbiamo un filone di ricerca dedicato ai farmaci anti tumorali, con particolare attenzione per le terapie sperimentali con cui affrontare il mesotelioma maligno, drammatica specificità del territorio legata all’Eternit.
Professoressa Berta, lei a fine ottobre completerà il suo mandato quadriennale come direttore di Dipartimento: lo rifarebbe?
(sorride, ndr) Assolutamente sì: è stata ed è un’esperienza straordinaria, non solo in termini strettamente professionali, ma anche umani. Uno dei risultati che credo di aver conseguito in questo percorso è proprio il clima fortemente collaborativi che si è venuto creare qui ad Disit in questi anni, non solo all’interno del corpo docente (la ‘squadra’ è costituita da 76 docenti strutturati, tra professori ordinari, associati e ricercatori), ma anche nei rapporti con il personale non docente, con gli studenti, e con le istituzioni. Naturalmente tornerò però a dedicarmi con entusiasmo ad insegnamento e ricerca, anche se in verità in questi anni non ho mai abbandonato il mio corso di Botanica generale, e ne sono contenta. Certo, da novembre avrò anche più tempo per la ricerca, e questo certamente non mi dispiace: e lascerò a chi verrà dopo di me una struttura che funziona, e che può senz’altro ancora crescere e svilupparsi negli anni a venire.
Ettore Grassano