Un maestoso landò, guidato da un ancor più maestoso automedonte (da tutti chiamato “Pistarén”, anche se il suo cognome era un altro… mah… misteri di provincia!), un “cellerino”, oggi “pulotto”, dagli occhi più pazienti e stanchi del cavallo, tre Goliardi alessandrini, comodamente assisi a cassetta… ignoriamo chi stia all’interno della carrozza e quali atti lubrichi possano compiersi, ma le tende sono tutte tirate, per cui rispettiamo la privacy!
Chiediamo ai lettori lumi sull’identità dei Goliardi cocchieri! Il massimo della libidine sarebbe se gli interessati, ancora sicuramente lucidi ed in buona salute, dovessero leggere questo nostro e, di conseguenza, farsi vivi!
Questa scena, immortalata dalla foto “1“, fa parte di una sfilata Goliardica, quasi certamente di carnevale, avvenuta intorno agli ani 1952 – 1953. Siamo sicuramente in via Umberto I (poi dei Martiri) e la carrozza sta procedendo verso piazza Rattazzi (poi della Libertà).
Da notare sulla fiancata del cocchio, semicoperta dalle tende, il già visto striscione con la scritta “Carpano”… altro rivoletto di danaro per la Goliardia.
La foto “2” mostra un momento della VEGLIA DELLA mATRICOLA del novembre 1952: siamo ai vagiti dell’era spaziale e tutti ne sono contagiati… anche i Goliardi. Nella foto si vede infatti una merdosissima matricola immobilizzata contro un ridanciano, argenteo razzo battezzato “the matricolar bomb” (nacque in questo periodo il famoso monito “fatevi i razzi vostri!”).
Non sappiamo cosa contenga, più o meno sulla metà del razzo, il misterioso barattolo disegnato con la sottostante scritta “Buon appetito”, mentre è apprezzabile, in basso, l’elenco dei propellenti: i primi tre, stronzite, pirite e balestite, anche se desueti, si possono capire… più difficile è l’interpretazione del quarto, a meno che ci si riferisca alla potenza (degna di far partire un veicolo spaziale) di quell’Enrico Foà (articolo “Passata è la tempesta” foto n° 3) che si è visto fare da diacono alle sacre letture del Pontifex Ennio Dollfus.
Rivediamo il Goliarda Foà in versione tacchinante anche nella foto n. 3 del presente articolo (Ballo dell’AGA – dicembre 1952), ove con un sorriso da “camolone” (“a“) porge un cesto di fiori alla Miss, la Sig.na Badaracco. L’altro Goliarda, da noi già ricordato, è Mario Odisio (“b“), futuro, grande Direttore del giornale alessandrino per eccellenza: “Il Piccolo”.
La Foto n. 4, tratta da “1925-1985 Sessant’anni di vita alessandrina attraverso le pagine de Il Piccolo“, descritta nella didascalia come “Goliardi in azione”, mostra un rapimento Goliardico in atto, perpetrato anche (almeno sembra) dal Pontifex Maximus Gabriel. Ignoriamo chi sia la vittima, molto facilmente una merdosissima matricola, e gli altri Goliardi.
Anche questa volta chiediamo lumi agli amati (insomma…) lettori!
Abbiamo già detto che la Goliardia è anche dissacramento su tutto e tutti, divinità comprese. Ecco un esempio (vedi foto n. “5“), partorito proprio in questo periodo, che ha come protagonista la chiesa di S. Alessandro in Alessandria o, meglio ancora, le quattro statue dei santi che ne ornano la facciata.
La prima statua in basso a sinistra (Sant Andrea) fa notare con aria severa ed incazzata e la faccia voltata da un’altra parte per lo schifo, un enorme quanto immaginario residuo organico che può essere, a scelta, o uno stronzo monumentale (grosso come una casa) o una scarica diarroica larga come la padella per fare la farinata, piazzata proprio nel bel mezzo del sagrato. Il Santo dice: «Chi è quel maiale che ha fatto una cosa del genere proprio davanti alla chiesa?».
La seconda statua (in alto a sinistra) è San Siro, che gli dà ragione e, dritto come un fuso e impettito come un politicante (mitria e pastorale lo fanno sembrare ancora più maestoso), commenta: «E’ proprio vero che al giorno d’oggi non c’è più educazione e rispetto: ai miei tempi nessuno, nè giovane nè vecchio, si sarebbe mai permesso di cagare davanti alla casa del Signore! Viviamo proprio in un mondo di screanzati e di persone senza valori!»
San Carlo (la terza statua in alto a destra) si limita a “fare l’indiano” e, con l’aria innocente di un onorevole inquisito, con una mano sul cuore, dice: «Sarei stato io? Ma io sono arrivato proprio adesso, come posso sapere chi è che ha fatto questa maialata?»
La quarta statua (in basso a destra), raffigurante San Luigi, con le mani incrociate sullo stomaco, la testa chinata e l’aria da funerale, confessa: «E va bene, sono stato io a fare quella roba, avrò mangiato qualcosa che mi ha fatto male e mi è venuto uno sconvolgimento intestinale e, piuttosto che farmela nei calzoni, ho preferito cagare qui in terra!»
Una curiosità: il primo cortile (entrando dall’entrata principale) dell’Università di Pavia, detto Cortile della statue, è caratterizzato appunto da quattro statue, scolpite in memoria di quattro cervelloni, esimi professori che hanno allargato il culo a generazioni di studenti e che sono stati immortalati nella pietra per avere gettato via la loro vita vicino ad un microscopio o a dei libroni polverosi, ammuffiti e tarlati… Le quattro statue, dicevamo, sono in posizioni analoghe a quelle dei santi sopra descritti e l’interpretazione Goliardica pavese di ciò che dicono o pensano questi gloriosi lapidei accademici è identica alla nostra ed è nata più o meno nello stesso periodo.
Ecco un innocente scherzo, nato in questi ani, che ebbe come vittima il proprietario di una delle più famose pollerie di Alessandria, da tanto tempo ormai chiusa (tutti avrete capito quale fosse la polleria, ma, per motivi di privacy, noi non ne sveliamo il nome).
Vigilia della Santa Pasqua: nella polleria Rossi (nome inventato), affollata di avventori, il proprietario, piccolo, mingherlino, avanti negli anni, sta squartando a tutto spiano agnelli e capretti, quando viene interrotto dal suono petulante del telefono.
«Pronto!» abbaia nella cornetta bloccata tra spalla e mento, mentre con uno straccio lercio si pulisce le mani imbrattate di sangue, «Qui è la polleria Rossi! Che cosa desidera?»
«Buongiorno, sono l’economo dell’Ospizio Xxxxxxxx» risponde una voce calda ed educata, «vorrei sapere se ha delle uova, ma tante uova…»
«Certo che le ho, questa è una polleria!»
«Ma sono buone e fresche?»
«Sono buonissime e fresche da bere!» risponde nervosamente il negoziante, «Per favore, caro signore, venga al dunque, perché sono sepolto dal lavoro!»
«Ne ha una cinquantina di dozzine?» insiste la voce calda ed educata.
«Tutte quelle che vuole!» urla il povero cristo esasperato.
«E allora se le infili tutte su per il buco del culo!» conclude riagganciando la voce calda ma non più educata.
Imprecando contro i buontemponi che non hanno un cazzo da fare e che non rispettano i lavoratori, il pollivendolo ritorna a martoriare le carcasse di poveri animaletti, ma dopo poco:
«Pronto, polleria Rossi! Che cosa desidera?»
«Sono sempre io, l’economo, mi scusi se l’ho richiamata, ma ho rifatto i calcoli, per cui le chiedo di infilarsi su per il buco del culo altre due dozzine delle sue squisite uova! E, a proposito, Buona Pasqua!»
Sull’orlo di un ictus, l’anziano negoziante a fatica istante si riprende e continua il suo lavoro.
Ma, lo spietato telefono si fa vivo dopo un po’.
«Pronto, polleria Rossi! Cosa vuole? – risponde incazzato.
«Qui è la Questura, sono il maresciallo Capuozzo,» la voce ha un accento indiscutibilmente meridionale, «ho bisogno di parlare col titolare per alcuni chiarimenti urgenti.»
«Sono io, mi dica pure, c’è qualcosa che non va?»
«Stia tranquillo, va tutto bene, ma alcuni commercianti della città ci hanno telefonato in quanto bersagliati da stupidissimi scherzi telefonici. Lei ne sa qualcosa?»
«Anch’io sono una vittima di questi criminali! Mi hanno già telefonato due volte… non mi lasciano lavorare… Anzi quando lei ha chiamato pensavo che fossero ancora loro!»
«Capisco, comunque, anche grazie a lei, forse riusciamo a scoprire gli autori degli scherzi.»
«Tutto quello che vuole! Dovete impiccarli quei bastardi!»
«Beh, non esageriamo… Lei mi descriva la voce e specifichi quello che le è stato detto.»
«Madonna! Proprio oggi! Giovanni continua tu!» urla rivolto ad un commesso e poi di nuovo al telefono: «Maresciallo sono da lei. La voce, mi diceva… mah, era una voce comune, molto educata, calma. In quanto a quello che mi ha detto… non oso ripeterlo, sono porcate!»
«Su signore, faccia uno sforzo! L’assicuro che non mi scandalizzerò…» scherza il poliziotto.
A fatica il povero pollivendolo descrive per filo e per segno lo svolgimento della telefonata:
«… ed alla fine mi ha detto di infilarmeli su per il sedere (anche se ha usato un’altra parola)… Ma aspetti, non ho finito! Dopo un po’ quel maledetto mi ha richiamato e, per farla breve, mi ha detto di infilarmi nel sedere altre due dozzine di uova!»
«E quanto tempo fa è successo? Me lo dica con esattezza perché è importante!»
«Non più di mezz’ora fa!»
«Allora si levi pure tutte le uova dal culo perché a quest’ora saranno già cotte a puntino!»
Basito, il venditore di uova, tutto macchiato di sangue ovino, si rintana nel baretto di fronte e solo dopo alcuni rosari di bestemmie ed una camomilla tripla può tornarsene al lavoro.
La sera, rincasando, trova nella cassetta delle lettere un biglietto augurale con tante uova disegnate su carta intestata dell’Ordine Goliardico imperante in quella città e gli vengono dei forti sospetti sugli autori dello scherzo.