Idee per una buona legge elettorale

Fornaro 2di Federico Fornaro*

 

Come noto nel gennaio di quest’anno la Corte Costituzionale aveva dichiarato incostituzionale alcune parti del cosiddetto Porcellum, ponendo al legislatore – tra le altre – l’esigenza della cosiddetta “l’individuabilità” dei candidati da parte degli elettori (tema delle liste bloccate “lunghe”, dichiarate giustamente incostituzionali).

In questa prospettiva, ritengo che la novità – frutto del nuovo accordo tra Renzi (e la maggioranza) e Berlusconi – riguardante i capilista bloccati (con preferenze per gli altri candidati in 100 collegi) non rappresenti una soluzione soddisfacente rispetto – in primo luogo – alle questioni di costituzionalità poste dalla Corte.
Per come è congeniato il sistema, infatti, non è possibile determinare con certezza e in partenza il numero di eletti indicati dai partiti e sottratti al giudizio degli elettori (i cosiddetti nominati).
Un limite grave, che potrebbe essere nuovamente censurato dalla Corte Costituzionale.

Ho provato, infatti, a elaborare una simulazione prendendo come base di riferimento gli ultimi sondaggi elettorali: 375 nominati, pari al 62% circa e 242 eletti con le preferenze nei 100 collegi.
Mentre la lista vincente elegge i 100 capilista e gli altri 240 sono selezionati dai cittadini con un incidenza accettabile di nominati pari a circa il 29%.
Al contrario, sul fronte delle minoranze che si dividono i rimanenti 277 seggi per riuscire ad eleggere un deputato con le preferenze bisogna ottenere una percentuale di circa il 20%: sotto questo livello sono eletti unicamente i capilista.

Una dipendenza inaccettabile dal volere del capo-partito che dovrebbe indurre a trovare altre soluzioni, pur nell’accettazione del principio che possa ritenersi fisiologica in una democrazia una quota di eletti che vengono scelti direttamente dai partiti.
Partendo da questo assunto ho portato all’attenzione del dibattito in Commissione Affari Costituzionali del Senato sulla nuova legge elettorale, una proposta che, non stravolgendo l’impianto dell’Italicum, rendesse conciliabile questa esigenza, con quella – altrettanto condivisibile – di avvicinare il più possibile l’eletto all’elettore (arma utile anche contro il dilagante astensionismo).

Proverò schematicamente ad illustrare i tratti fondamentali di questa proposta, scusandomi anticipatamente per qualche inevitabile tecnicismo.

I seggi da assegnare alla Camera sono: 630 (617 + 1 Valle d’Aosta e 12 Estero)
Il territorio nazionale è suddiviso in 26 circoscrizioni, a cui sono assegnati (sulla base della popolazione residente all’ultimo censimento):
– n. X seggi da attribuire su liste di circoscrizione plurinominali bloccate per un totale complessivo di 143 seggi;
– n. Y seggi da attribuire suddividendo le circoscrizioni in collegi plurinominali (con liste aventi obbligatoriamente n.3 candidati con presenza di entrambi i generi oppure n. 4 candidati con 2 uomini e 2 donne) per un totale complessivo di 475 seggi (di cui 1 riservato alla Valle d’Aosta).

Nel caso del Piemonte, ad esempio, la regione sarebbe divisa in due circoscrizioni: Piemonte 1 (provincia di Torino) a cui sono attributi 23 seggi (5 su liste bloccate circoscrizionali e 18 in collegi plurinominali di partito) e Piemonte 2 (il resto della regione) con 22 seggi (5 e 17).
L’elettore esprime il suo voto unicamente sulla scheda relativa ai collegi plurinominali, votando il simbolo del partito prescelto, con la possibilità di dare una preferenza (oppure due, con indicazione obbligatoria di entrambi i generi).
Il voto automaticamente viene attribuito anche alla lista di circoscrizione collegata.

Per l’assegnazione dei seggi, in prima battuta, si eliminano i voti cosiddetti inefficaci (le liste che non raggiungono la soglia di sbarramento). Successivamente si assegnano i 143 seggi attribuiti alle liste circoscrizionali con il metodo del quoziente naturale e dei più alti resti (proporzionale puro) e per l’individuazione degli eletti si segue l’ordine di presentazione dei candidati nella lista (con alternanza di genere obbligatoria).

Per l’assegnazione dei 475 seggi una volta determinato (con il sistema proporzionale) il numero dei seggi spettante a ogni singola circoscrizione, per ogni lista viene stilata per una graduatoria circoscrizionale dei collegi (% rispetto ai voti validi oppure rispetto ai votanti, sul modello delle elezioni provinciali ante riforma Del Rio).
Una volta definita la suddetta graduatoria per ogni lista, risulta eletto il candidato che ha ottenuto il maggior numero di preferenze in ogni collegio in cui è attribuito un seggio.
Il premio di maggioranza (alla prima coalizione/lista sono assegnati almeno 340 seggi) viene assegnato nell’ambito del numero dei seggi attribuiti ai collegi plurinominali.

Con questo modello si supera anche il problema di un ragionevole numero di pluricandidature, perché questa possibilità sarebbe limitata alle sole liste circoscrizionali bloccate e non ai collegi.

In definitiva con questo modello si otterrebbero diversi benefici:
– un numero fisiologicamente accettabile in una democrazia di cosiddetti “nominati”;
– la ridotta e uniforme dimensione dei collegi (125.000 abitanti circa), unita a liste di candidati corte, consentirebbe la piena riconoscibilità dei candidati;
– un costo delle campagne elettorali alla portata di tutti i competitori;
– la possibilità di una “sana” competizione interna alla lista di collegio (correnti, territori ecc.), con incentivi alla rappresentanza di genere con la doppia preferenza (uomo/donna).

 

*Senatore della Repubblica