I «fantasmi» e le «idee zombie» della politica di bilancio

Soro Bruno 2di Bruno Soro

 

“Le idee hanno la vita lunga e spesso sopravvivono a chi le ha prodotte e assumono forme nuove e diverse. Alcune idee continuano a vivere perché sono utili. Altre muoiono e vengono dimenticate. Ma anche quando si sono dimostrate sbagliate e dannose, le idee sono veramente difficili da eliminare. Anche dopo che le prove sembrano averle eliminate, continuamente ritornano. Queste idee non sono vive né morte; come ha detto Paul Krugman, sono idee non morte, idee zombie”.
J. Quiggin, Zombie economics. Le idee fantasma da cui liberarsi. Università Bocconi Editore, Milano 2012, p. 39.

 

Non capita spesso di leggere articoli di economia che meritino di essere fatti circolare tra gli studenti dei miei corsi. Uno di questi è apparso nei giorni scorsi su Repubblica (Maurizio Ricci, “La Bce contro la Ue. “Inaffidabili e dannose le regole sul deficit”, venerdì 21 novembre 2014), a commento di un rapporto di alcuni economisti della Banca centrale europea (BCE) che mettono in discussione il concetto di «disavanzo strutturale». Poiché su questo concetto si fonda gran parte della politica del rigore volta a far rispettare le norme sui vincoli di bilancio imposti alla politica fiscale degli stati membri, vale forse la pena di approfondirne il significato e soprattutto i limiti.

Il «disavanzo del bilancio» dello stato (o «deficit di bilancio») consiste nella differenza tra le uscite (l’ammontare della «spesa pubblica») e le entrate, ovvero la somma tra le imposte dirette (sia sul reddito che sul patrimonio), quelle indirette (perché legate alla produzione come l’IVA, ma anche le imposte di fabbricazione, di registro e così via) e i contributi sociali versati sulle retribuzioni. Inoltre, poiché l’esistenza di un «debito pubblico» (il cumulo dei disavanzi nel tempo) comporta il pagamento di un interesse sul debito (l’ammontare del quale si ottiene moltiplicando il tasso d’interesse per la consistenza del debito), il disavanzo del bilancio al netto degli interessi prende il nome di «deficit primario». Le singole poste del bilancio possono però modificarsi sia in seguito a decisioni governative (scelte discrezionali in aumento o in diminuzione indicate nei documenti di programmazione), sia a causa dell’andamento ciclico dell’economia. In una fase di recessione come quella che il paese sta attraversando la spesa pubblica cresce automaticamente, ad esempio, per l’erogazione di sussidi, come la Cassa integrazione e i sussidi di disoccupazione, e al tempo stesso diminuiscono automaticamente le entrate in conseguenza del mancato gettito delle imposte legate alla produzione. Al fine di consentire la correzione delle poste di bilancio a seconda che la loro variazione dipenda da decisioni politiche discrezionali (assunte in seguito all’approvazione di norme, ma anche alla loro abolizione), oppure dall’andamento ciclico, le normative europee prevedono il calcolo di un «disavanzo strutturale» (detto anche «bilancio di pieno impiego»). Trattasi di quel disavanzo che non tiene conto degli effetti imputabili al ciclo economico. Per effettuare la correzione al disavanzo del bilancio imputabile all’andamento dell’economia occorre però fare riferimento ad un concetto, il cosiddetto «prodotto potenziale» dell’economia (il volume di produzione che corrisponderebbe ad una situazione di pieno impiego), il quale a sua volta non è privo di ambiguità, a seconda delle ipotesi su cui si basa la metodologia utilizzata per calcolarne il valore.

Tali ambiguità, ma soprattutto i paradossi che queste comportano, sia in generale che con riguardo alla situazione italiana, sono state bene evidenziate in un articolo apparso il 4 novembre scorso sul sito di «lavoce.info» a firma di Carlo Cottarelli (già Commissario straordinario per la revisione della spesa, che attualmente ricopre il ruolo di Direttore esecutivo per la circoscrizione italiana presso il Fondo Monetario Internazionale), Federico Gianmusso (Dirigente del Ministero dell’Economia e delle Finanze) e Carmine Porrello (economista della Banca d’Italia, attualmente distaccato presso la Segreteria tecnica del Ministro dell’Economia e delle Finanze Pier Carlo Padoan). In seguito alle ipotesi comunemente assunte per stimare il prodotto potenziale, gli autori di questo articolo non esitano a definire quel concetto “un fantasma, necessario ma difficile da afferrare”. Ciò in quanto tra gli elementi necessari per effettuare le stime figura un altro concetto ambiguo, il tasso di «disoccupazione strutturale», il quale, a seconda di come viene definito (e calcolato), può portare a stime significativamente distorte. Non a caso, a conclusione del loro articolo, Cottarelli, Gianmusso e Porello auspicano che “nell’applicazione delle norme europee venga prestata dovuta attenzione alla possibilità che la crescita potenziale sia sottostimata”. Quell’errore nella stima comporterebbe infatti il rischio di imporre misure di austerity che potrebbero rivelarsi eccessive e “potenzialmente ben più gravi di quelle connesse a una sovrastima, alla luce dei rischi di stagnazione e deflazione”.

Non sono passati tre giorni che, sempre sul sito di «lavoce.info», due autori che svolgono la loro attività professionale presso DG ECFIN della Commissione europea, Kieran Mc Morrow e Werner Roeger, hanno risposto alle critiche dei tre economisti italiani precisando che “i calcoli della Commissione europea sulla crescita potenziale e l’output gap si basano su un approccio condiviso e approvato da tutti i 28 Stati membri della UE, la metodologia della funzione di produzione”. Ora, prescindendo dal fatto che la condivisione e l’approvazione di tutti i 28 Stati della UE non è in alcun modo una garanzia che quella metodologia sia la più corretta (personalmente mi sono occupato dei metodi di stima del prodotto potenziale criticando proprio l’utilizzo a tale scopo della funzione di produzione nel lontano 1974!) (1), non posso che condividere l’opinione di Quiggin (citato nell’epigramma) che le «idee zombie» evidentemente non muoiono mai.

Vi chiederete a questo punto che cosa c’entri con tutto ciò l’articolo di Maurizio Ricci. C’entra e come! In esso vengono infatti riportate le opinioni di cinque economisti che prestano servizio presso la BCE contenute in un lavoro pubblicato nella serie degli Occasional Papers della stessa Banca Centrale (2). Per questi ricercatori il fatto di puntare sul «fantasma» del deficit strutturale per giudicare l’andamento della finanza pubblica potrebbe rivelarsi un boomerang, dal momento che, non essendo verificabili, le stime sul prodotto potenziale “sono incerte e volatili”. Ragion per cui i dati sul disavanzo strutturale sarebbero inaffidabili.

Parrebbe dunque che vada finalmente riducendosi il numero di coloro che ancora credono ai «fantasmi» e alle «idee zombie», come quella che l’austerity induce la crescita. Per contro, stanno aumentando gli economisti che chiedono a gran voce “una Bretton Woods per l’eurozona”. In un appello pubblicato il 14 ottobre scorso su MicroMega, Leonardo Becchetti, Roberto Cellini, Paolo Pini e Alberto Zazzaro, e una sessantina di economisti di tutte le Università italiane, auspicano la stipula di un accordo tra i leader europei volto a realizzare un nuovo sistema di regole, ritenendo che questa sia “l’unica direzione di marcia possibile nell’interesse di tutti per realizzare crescita e sostenibilità e arrestare la lotta di collisione che porterebbe inevitabilmente all’aggravarsi degli attuali squilibri e alla fine cruenta dell’euro”.
1) In quell’articolo giungevo peraltro alla conclusione che “sia per i limiti emersi sulla possibilità di definire un unico modello di equilibrio tra occupazione e produzione, che per le difficoltà di ottenere stime attendibili dell’occupazione potenziale, i metodi di stima del prodotto potenziale da noi esaminati non ci sembrano idonei (…) a fornire stime utilizzabili ai fini della politica economica di breve periodo”. Cfr. B. Soro, “L’occupazione potenziale nelle stime del prodotto potenziale”, Rivista Internazionale di Scienze Sociali e Commerciali, XXI, 1974, n. 8, pp. 751-772.

2) C. Kamps, R. De Stefani, N. Leine-Kilinger, R. Ruffer e D. Sommermann, “The Identification of fiscal and Macroeconomic Imbalances unexploited Synergies under the Strenghthened EU Governance Framework”, Occasional Paper Series, n. 157, November 2014.