Più volte in questi anni, incontrandolo nei palazzi della politica alessandrina (Palazzo Ghilini, in particolare), gli abbiamo proposto inutilmente un’intervista su tutto il suo percorso politico, ottenendo in cambio soltanto un sorriso democristiano, gentile ed enigmatico, e la vaga promessa: “più avanti, più avanti…”. “Se parla lui, siamo tutti rovinati”, fu il commento scherzoso di un addetto ai lavori della politica alessandrina a cui accennammo la cosa: tanto per alimentare la leggenda che parla di Agostino Gatti (già sindaco di Frugarolo, assessore provinciale e consigliere regionale, e successivamente con ruoli apicali nel mondo delle Fondazioni bancarie torinesi e alessandrine) come grande uomo di relazioni, e quindi anche custode di segreti, patti non scritti, e certo anche qualche promessa non mantenuta. Nelle settimane scorse, a margine dell’importante raduno degli ex di Forze Nuove (la corrente della sinistra Dc di Carlo Donat-Cattin), tutto centrato sulla partecipazione del ‘super big’ Fabrizio Palenzona, Gatti si è lasciato scappare un ‘adesso se vuole ci sono’, ed è stato di parola. Ecco, dunque, il frutto della chiacchierata con un uomo certamente più abituato a frequentare i palazzi del potere, politico e finanziario, che le pagine dei giornali. Con una serie di analisi, e suggestioni, che oscillano tra amarcord e futuro del nostro territorio.
Agostino Gatti, partiamo dalla fine del suo lunghissimo percorso politico: ha fatto pace con Paolo Filippi, ed è vero che si era consumata una rottura clamorosa?
(riflette, e sorride, ndr) Ma no, mi dia retta: il senso della fine si capisce solo se si parte dall’inizio: da quell’ormai lontano 1957…
Che è successo nel 1957? Non sia enigmatico..
Avevo vent’anni allora, pensi, ed ero un ragazzo dell’Azione Cattolica che aveva appena trovato il primo impiego, nel parastato come si diceva all’epoca. E fu un sindacalista dell’epoca a convincermi e coinvolgermi: andammo a Venezia, a partecipare a quella che si sarebbe rivelata la riunione ‘fondativa’ di Forze Nuove: a cui probabilmente ho aderito addirittura prima di Carlo Donat Cattin, che fu il nostro indiscusso leader, e che conobbi poco dopo a Torino, quando partì la costruzione della rete piemontese del nostro gruppo. E se considera che l’altro giorno ci siamo radunati qui a Palazzo Monferrato, noi esponenti di quella corrente democristiana, capisce che di me si possono dire tante cose, ma non che abbia mai cambiato bandiera o posizione.
Dentro la Dc, all’epoca, eravate costantemente in minoranza: all’incontro di Palazzo Monferrato c’era anche il suo compaesano Renzo Patria, a lungo vostro avversario. Siete amici?
Privatamente sì, certo: ma in politica ci siamo sempre ‘menati’ di brutto, con Patria. Però sempre da avversari, appunto: mai da nemici. Del resto nella Dc, a livello nazionale come locale, l’area di Donat Cattin ha sempre dato fastidio: parlavamo troppo di sociale, di diritti degli ultimi. Eravamo invisi ai dorotei, ai fanfaniani, agli andreottiani…praticamente a tutti! E naturalmente, fuori dalla Dc, stavamo sulle scatole anche ai comunisti, neanche a dirlo.
Pochi ma buoni però, o almeno capaci: perché avete sempre contato parecchio, tutto sommato…
Numericamente raramente abbiamo superato il 10% degli iscritti del partito: parliamo di un’epoca in cui la Dc e il Pci di iscritti ne avevano milioni chiaramente. Ma anche in minoranza, ci siamo sempre fatti rispettare, perché eravamo bravi. Lo chieda anche a Patria, quanti segretari provinciali della Dc abbiamo saputo esprimere, e quanto sapevamo pesare….
Lei per 15 anni, dal 1975 al 1990, è stato sindaco del suo paese, Frugarolo. All’epoca era più facile di oggi?
C’erano difficoltà diverse: ma facile non lo è mai stato, anche se il passato sembra sempre migliore del presente. Io ero già consigliere comunale dal 1970, proprio con Patria sindaco. E poi ne raccolsi il testimone, diciamo così. Erano gli anni in cui nei comuni, soprattutto piccoli, c’erano da realizzare tutte le infrastrutture essenziali: dal gas e la fognatura per le frazioni, agli impianti sportivi, alla casa di riposo oggi gestita dal Cissaca. E ci furono anche, nel corso di quel quindicennio, due emergenze di non facile gestione: cadde la diga del fiume Orba, e successivamente anche il campanile della chiesa. E lì devo riconoscere che Patria fu decisivo nel farci avere finanziamenti importanti per ricostruire.
Anche lei però, se parliamo di chiese, nel periodo successivo, quello relativo al suo impegno nelle Fondazioni bancarie, si è ben distinto, no? O è un luogo comune?
No no, è la verità e ne sono orgoglioso, perché l’ho sempre fatto con spirito di servizio verso il territorio. Le cifre però non gliene dico, di questi tempi tutto diventa polemica….
Parliamo allora del suo rapporto con il purosangue di Forze Nuove, ad Alessandria e non solo. L’aneddotica vuole che lei sia ancora oggi il ‘proconsole’ di Fabrizio Palenzona nell’alessandrino: è così? E come è nato il vostro rapporto?
Le etichette giornalistiche non mi interessano. E’ vero che con Fabrizio siamo amici, e credo si fidi di me, questo sì. Lui è molto più giovane, era un ragazzo quando entrò nel nostro gruppo: e piacque subito moltissimo a Donat Cattin, che ne intuì doti e capacità fuori dal comune. Era prevedibile che avrebbe fatto una carriera assolutamente non ordinaria.
La fase di Palenzona politico locale (prima sindaco di Tortona, poi per un decennio presidente della Provincia) è stato caratterizzata da grandi progetti: dalla logistica all’università, per citarne due di rilievo assoluto. Ma, soprattutto sul primo fronte, siamo ancora qui a parlare di potenzialità inespresse, e a leccarci le ferite. Poteva andare diversamente?
(ci guarda e sorride, ndr) Palenzona ha capito per tempo, e prima degli altri, che Alessandria, intesa come l’intera provincia, poteva (ed io credo ancora possa) giocare un ruolo di primissimo piano, come retroporto naturale del porto di Genova. Da cui il ruolo strategico di Slala, in un contesto di progetto davvero di ampio respiro, in cui il terzo valico, il ‘bruco’, lo scalo di San Bovo e quello di Alessandria, e così via erano tutti tasselli di un mosaico. Palenzona però era, e naturalmente è ancor più oggi, una figura in grado di relazionarsi a livelli altissimi. Senza di lui il progetto ha perso forza e consistenza, e sappiamo com’è finita.
Ma oggi? Non resta che rassegnarsi al declino?
Assolutamente no: e credo che da Chiamparino, pur nel contesto di grande difficoltà che l’Italia e il Piemonte stanno vivendo, possano e debbano arrivare segnali importanti.
Torniamo però al percorso politico di Agostino Gatti: ad un certo punto, dopo l’esperienza di circa tre anni in consiglio regionale, lei torna ad operare ad Alessandria. Ci fu il suo ‘zampino’ nella scelta di Paolo Filippi come successore di Palenzona a Palazzo Ghilini? Sia sincero…
Lo sarò. Ritengo Paolo una persona molto, molto intelligente (la ripetizione non è un refuso, ndr), oltre che espressione di quell’area di Forze Nuove di cui abbiamo parlato. Per cui certo, lo ritenni la figura giusta, anche se certamente l’alternativa all’epoca sul tappeto, ossia Daniele Borioli, lo era altrettanto. Ma, oggi credo si possa dire, a sfavore di Borioli pesò il fatto che esponenti di scuola Pci avevano già il governo di tutte le principali città del territorio, e noi ex democristiani reclamammo a gran voce la Provincia, spuntandola.
Oggi, a doppio mandato ormai concluso, che giudizio dà dell’amministrazione Filippi? Lei, ricordiamolo, è stato il suo capo di Gabinetto…
Il primo mandato è stato di ottimo livello. Sul secondo hanno pesato in maniera determinante le vicende nazionali, i continui tagli di risorse, e l’avvio di una ‘riforma’ dell’Ente che tale non è stata, semmai un gran pasticcio. Per cui anche lì l’atteggiamento critico del nostro presidente della Provincia è stato comprensibile, e condivisibile.
Però ad un certo punto Filippi ha scelto la strada della polemica pubblica diretta con esponenti del centro sinistra come Balduzzi, e con lo stesso Partito Democratico. Quella è la fase che non mi è piaciuta, e che ci ha un po’ allontanati.
E qui, consigliere Gatti, torniamo alla domanda di partenza: cosa è davvero successo con Filippi in occasione della campagna elettorale 2014? E oggi vi siete riconciliati?
Non è successo nulla di clamoroso, mi creda. Semplicemente in vista delle Regionali Chiamparino mi ha chiesto di organizzare qui in provincia la Lista Civica del Monviso, a suo sostegno. Così come del resto avevo fatto con altrettante liste civiche di successo a sostegno dello stesso Filippi per Palazzo Ghilini, e di Rita Rossa per Palazzo Rosso. L’ho fatto, e saremmo stati lieti di candidare Paolo, se avesse voluto. Così come, se fosse riuscito a farsi candidare dal Pd, lo avrei comunque sostenuto lealmente, come ho sempre fatto. Così non è stato, e non è che le liste del Pd le faccio io: c’è stato un percorso all’interno del partito, che ha fatto determinate scelte.
Oggi però, per la prima volta dal 1970, Alessandria non ha un assessore in Regione: e in epoca di tagli inevitabili di risorse il rischio di fare la parte del brutto anatroccolo in effetti c’è. Si vedano anche le recenti esternazioni di Chiamparino, con repliche di Daniele Borioli….
Sulla vicenda sto assolutamente con Borioli: Chiamparino ha lanciato proclami superficiali, e se avesse conosciuto a fondo la situazione e i dossier di Expo Piemonte e Terme di Acqui forse non l’avrebbe fatto. Su entrambi i fronti, io continuo a credere che la Regione dovrebbe fare un supplemento di indagine, e di valutazioni, prima di parlare di vendite che rischierebbero di essere svendite. Ma per il peso di Alessandria non facciamone una questione di assessorati, per carità. L’assessore spesso si perde a curare il suo orto, e perde di vista il quadro d’insieme. A Torino il Pd ha ottimi rappresentanti: Mimmo Ravetti, in particolare, con la presidenza della commissione Sanità, e il ruolo di vice di Gariglio nel gruppo consiliare del Pd, saprà pesare, e fare la sua parte fino in fondo.
Invece Agostino Gatti, a 77 anni, farà il pensionato?
Veramente due o tre incarichi legati al mondo delle Fondazioni, per non annoiarmi, mi sono rimasti. Per il resto sono un militante di base del Partito Democratico, a disposizione: magari non ho più l’età per ‘attaccare’ i manifesti, ma per raccogliere firme ai banchetti vado ancora bene! E soprattutto farò il nonno di due splendidi nipotini, e il tifoso della Iuve. A proposito: sa che, quando ero in consiglio regionale, e Ghigo voleva finanziare il centenario della nascita della mia squadra del cuore, mi è toccato l’ingrato compito di seguire le procedure per opporci all’iniziativa? Per me, da sempre tifoso della vecchia Signora, fu un sacrificio non da poco. Ma anche questa è disciplina di partito.
Ettore Grassano