Solo posti in piedi, sabato mattina a Palazzo Monferrato di Alessandria, per il “Palenzona day”. E pensare che, nelle intenzioni degli organizzatori (in particolare l’eterno Agostino Gatti, da sempre uomo di fiducia dell’ex presidente della Provincia di Alessandria, da dieci anni ormai ‘pezzo da novanta’ del risiko bancario e industriale italiano), doveva trattarsi di un incontro quasi alla ‘chetichella’, tra vecchi amici con una comune radice politico culturale, ossia Forze Nuove, la corrente della sinistra democristiana che si riconosceva nel più volte ministro Carlo Donat-Cattin.
Ma il tam tam nei giorni scorsi si è diffuso rapidamente, e in pochi hanno resistito alla tentazione di esserci, per stringere la mano all’alessandrino certamente più influente a livello extraterritoriale (qualcuno dice l’unico, in verità), e per capire se qualcosa bolle in pentola, e cosa.
Così l’ipotizzato ‘raduno di famiglia’ si è trasformato in una sorta di Stati Generali del centro sinistra alessandrino, in cui non mancava davvero nessuno, o quasi. Compreso il presidente uscente della Provincia Paolo Filippi, che è addirittura arrivato con Palenzona e Gatti, quasi a smentire le voci, ricorrenti nei mesi scorsi, relative ad una clamorosa ‘rottura’, per beghe da campagna elettorale. E l’astuto Gatti, in apertura di lavori, non ha mancato di citare per primo proprio Paolo Filippi, tra i tanti ‘ragazzi di bottega’ di talento che, in provincia di Alessandria, sono appunto cresciuti, negli anni Settanta e Ottanta, alla scuola di Forze Nuove. Sabato non c’erano tutti, in verità: ma trent’anni dopo tutti o quasi gravitano dentro o attorno al Partito Democratico, presente peraltro all’appuntamento di Palazzo Monferrato con il suo stato maggiore. C’erano i senatori Borioli e Fornaro e la deputata Cristina Bargero, anche se solo per rapidi saluti causa impegno istituzionale a Torino, e poi al tavolo dei relatori il segretario provinciale e consigliere regionale Mimmo Ravetti e il segretario regionale Davide Gariglio, e tra il pubblico in prima fila l’attuale sindaco di Alessandria Rita Rossa e il sindaco emerito Mara Scagni, e poi Enrico Mazzoni, Filippo Zaio e tanti altri).
Un po’ forzata, in verità, la presenza iniziale di alcuni giovani impegnati in politica sul territorio, che si sono prestati a calcare il prestigioso palcoscenico un po’ come le band emergenti che ‘scaldano’ il pubblico prima dell’ingresso in scena della rock star. Perché sabato, è evidente, si era tutti quanti lì solo e soltanto per ascoltare lui, Fabrizio Palenzona: il “Maradona” del mondo del credito e delle autostrade (copyright di Luigi Bisignani, ndr), partito da Pozzolo Formigaro per approdare, dopo vent’anni di politica a casa nostra (dal comune di Tortona a Palazzo Ghilini), ai vertici di Unicredit, di Ascat, di Aeroporti Roma.
E Palenzona, fin dalle prime battute, non ha deluso: “stamattina un personaggio romano di un certo spessore mi ha chiamato – ha esordito sorridendo – per sapere se davvero avessi organizzato una riunione ad Alessandria per rifondare la Dc: e pensare che dovevamo vederci in sordina, tra pochi amici, per discutere di etica politica, e di valori”. E di lì Palenzona è poi partito, ricordando che “dobbiamo assolutamente guardare al futuro, ma senza dimenticare da dove veniamo: e noi che abbiamo indetto questa riunione veniamo da un partito che si chiamava Democrazia Cristiana, e che tanto inattuale non mi sembra, se è vero che il principale partito dell’Unione Europea si richiama agli stessi valori, e radici”. E la rivendicazione dell’orgoglio democristiano è servita a Palenzona per introdurre il tema della ‘terza via’ da sempre cavallo di battaglia dei ‘vecchi ragazzi’ di Forze Nuove: “il comunismo reale è fallito, con la sua pretesa di cambiare l’uomo, e migliorarlo, attraverso le regole. Ma è fallito anche il capitalismo, parliamoci chiaro. E per noi, che parlavamo di terza via già quarant’anni fa, questo significa che la Storia ci ha dato ragione: non può esistere uguaglianza sociale senza libertà, e neppure libertà senza eguaglianza sociale. L’unica strada percorribile è il solidarismo, e noi lo abbiamo sempre sostenuto. Anche quando eravamo minoranza dentro la stessa Dc”.
E la politica? Oggi, come sostiene qualcuno, è morta insieme ai partiti, suicidata da un ceto politico inadeguato e corrotto, oppure no? “La politica è l’aria che respiriamo – sostiene Palenzona -, è il pavimento che ci sorregge, il soffitto e il tetto che ci coprono. Ossia è un bene indispensabile, in qualsiasi comunità, e lo sarà sempre: puoi farla, o puoi subirla. E la politica è sì mediazione fra interessi diversi e contrapposti: ma soprattutto è riconoscerci in principi e valori che vengono prima di ogni altra cosa, anche delle leggi di uno Stato”. Di lì l’esortazione ai più giovani a crederci ancora, e l’impegno a dedicare loro incontri specifici, “ma non per indottrinarvi, o per insegnarvi, perché non sono professore. Semplicemente per confrontarci, e per trasmettervi la nostra esperienza: questo noi oggi possiamo e dobbiamo fare”.
Poi, inevitabile, scatta l’amarcord: “cominciai a fare politica giovanissimo, a 15 anni, nel 1968. Con altri amici e coetanei frequentavo la parrocchia, ma la Dc dell’epoca non è che mi piacesse particolarmente. Però quando cominciai l’università, e vedevo ovunque bandiere di Lotta Continua, capii che era il momento di cominciare ad esserci, a farci sentire. E rimasi subito affascinato dal messaggio di Donat Cattin: o la politica serve per migliorare la condizione dei poveri, dei ceti subalterni, o non è nulla”. Sorvola, Palenzona, sui diversi passaggi cruciali di una carriera travolgente, ma sul potere dichiara: “il potere serve, è lo strumento attraverso il quale raggiungere determinati obiettivi. Però senza politica a governarlo è assolutamente negativo”. Poi aggiunge: “Oggi i miei incarichi professionali non mi consentono di fare politica diretta, ma non ho dimenticato che la politica è sempre perseguimento del bene comune, o non è”. E sulle banche: “parlarne male è come sparare sulla Croce Rossa: ma l’85% della nostra economia dipende dal credito bancario, quindi semplicemente non possiamo farne a meno, come degli ospedali”.
Nei confronti di Renzi un cauto sostegno, non privo di qualche consiglio: “questa idea che le riforme si fanno tagliando risorse è sbagliata: da che mondo è mondo, per ristrutturare e riorganizzare aziende complesse in una prima fase si spende di più, non di meno. Certo, per farlo bisogna essere autorevoli e credibili, e circondarsi di persone davvero competenti. Ma se è vero che Europa e euro sono assolutamente necessari, occorre anche far capire all’Europa che l’Italia è un tassello essenziale di quel progetto, e che oggi ha bisogno di elasticità, e di andare in deficit, ma per fare riforme vere, strutturali”.
Palenzona non si tira indietro neppure sul tema dell’articolo 18, e delle tutele dei lavoratori: “figuriamoci se vorrei ridurle, sono state uno dei baluardi della mia formazione politica. Ma oggi viviamo in una dimensione competitiva internazionale tale, da rendere necessarie svolte radicali. Vado oltre: vorrei un mercato del lavoro in cui esistessero solo dipendenti a tempo indeterminato, ma licenziabili a determinate condizioni, e in presenza di una rete di welfare adeguato. Solo così le nostre aziende possono sopravvivere: oggi il nostro è un sistema anti impresa”.
Un’ultima riflessione Palenzona la dedica ai partiti: “La Dc, e il Pci, erano partiti forti, credibili perché basati su un autentico radicamento territoriale, e sulla partecipazione dal basso, del popolo. All’interno c’erano scontri furiosi, sia chiaro: noi di Forze Nuove eravamo bravi, ma sempre in minoranza. E qui ad Alessandria quante volte ci scontrammo con l’amico Patria (presente in prima fila, ndr) su temi concreti, legati allo sviluppo del territorio, e alla sua gestione. Ma i partiti pesavano perché sapevano trasmettere valori, fare battaglie chiare, e avevano leader forti e autorevoli. Poi, con la seconda repubblica, è arrivata l’era dei capi, che è una cosa diversa. E sulla legge elettorale ricordo cosa disse Donat Cattin (nella foto) a Mariotto Segni, sostenitore entusiasta del sistema maggioritario: ‘col maggioritario vince chi ha più soldi da spendere’. Diversi anni dopo, arrivò il fenomeno Berlusconi”.
Ettore Grassano