“Quando ho visto tutti i miei colleghi schierati coi i mezzi, in uniforme, nel cortile del Comando per salutarmi, mi si è davvero stretto il cuore: ma c’è un momento per tutto nella vita. E per me era arrivato il momento di congedarmi”. Roberto Pascoli ad Alessandria lo conoscono praticamente tutti, e per giornalisti e operatori dell’informazione ha rappresentato per tanti anni un punto di riferimento particolare. “Pare ci sia stato un incidente serio un’ora fa sulla statale per Acqui: hai già sentito Pascoli? Lo sento io” era un classico intercalare tra colleghi: e lui, dal 2003 “responsabile della comunicazione istituzionale e negli stati di crisi e di emergenza” del Comando provinciale dei Vigili del Fuoco non si negava mai ai giornalisti, fornendo informazioni in tempo reale dal luogo dell’intervento (incidenti stradali, incendi, alluvioni e varie altre emergenze) sempre precise e asettiche, da vero cronista. Attento a non allarmare, ma anche a dare la notizia nella sua completezza: “ad esempio, ho sempre cercato di fornire anche aggiornamenti costanti sul fronte del traffico e della circolazione, perché sapevo che per media come le radio o i siti internet questi erano aspetti non secondari”.
Ora, da qualche settimana, Roberto Pascoli è un pensionato: ma per nulla intenzionato a ‘tirare i remi in barca’: “anzi, prima fatemi fare qualche piccolo tagliando fisico, e poi mi rivedrete in pista, con più entusiasmo di prima, soprattutto sul fronte del volontariato: un settore in cui c’è un gran bisogno di persone che vogliano rimboccarsi le maniche, e dare una mano”. A riprova dell’indomito fisico da sportivo, Roberto arriva all’appuntamento alla guida di una rombante moto Guzzi: certo non un mezzo da persona sedentaria.
Proviamo, allora, a farci raccontare da lui oltre trent’anni di attività come ‘pompiere’: che è anche un’occasione per accendere i riflettori su persone che fanno una professione difficile e complicata, essenziale per la società (“noi ci siamo sempre, 24 ore su 24, tutti i giorni dell’anno”) e di cui forse si parla troppo poco.
Roberto, per noi giornalisti se ne va in pensione un amico, e praticamente un collega….
Ti ringrazio per il collega, e un po’ in effetti mi ci sento: anche se, chissà perché, non ho mai voluto prendere il tesserino da pubblicista anche quando ne avevo la possibilità. Ora quasi quasi mi pento…
Quel che conta però è l’esperienza sul campo. Raccontaci tutto dall’inizio: pompiere per tradizione famigliare?
No, per passione personale. Mio papà faceva il poliziotto, ed io come i miei fratelli, dopo il diploma all’Istituto Volta di Alessandria, studiai ingegneria: ma non mi sono laureato, preso com’ero dalle mie attività sportive giovanili…
Già, ci fu anche il Pascoli apprezzato giocatore di pallavolo: dove hai giocato?
Ho cominciato a giocare alle superiori, grazie al mitico professor Dorato, e a Ernesto Pilotti, che mi instradarono nell’Alessandria VBC. Poi sono passato alla squadra dei Vigili del Fuoco (un destino giovanile quindi, ndr), con cui ho giocato diversi anni in serie C, per poi continuare la carriera in altre squadre della zona fino intorno ai quarant’anni. Ero schiacciatore laterale, e diciamo che mi difendevo bene….
E l’amore per i Vigili del Fuoco quando scatta?
C’è una data tragica quanto importante, ed è il 6 maggio 1976, terremoto del Friuli. Un evento devastante, come molti dei meno giovani ricorderanno. Ero militare di leva, appunto nei Vigili del Fuoco, e feci parte da studentello di quella spedizione. Lì capii che i pompieri erano il corpo che faceva per me: sempre in prima fila, senza mai tirarsi indietro, dove c’era bisogno di loro. Io, che venivo da un’esperienza adolescenziale negli scout, in cui spesso mi venivano narrati episodi eroici dell’alluvione del 1966 a Firenze, in Friuli sentii di far parte di qualcosa di altrettanto importante. E fu lì che decisi che avrei fatto il Vigile del Fuoco.
E fu subito così?
No, vinsi un regolare concorso a tempo indeterminato solo più tardi, nel 1982. Ma nel frattempo non mi staccai più dal Corpo, alternando periodi da volontario ad altri da trimestrale.
Roberto, per fare il pompiere ci vuole davvero un fisico ‘bestiale’?
Beh, bisogna essere degli atleti, certamente: e non avere mai paura di buttarsi, di rischiare. Altrimenti fai un altro mestiere. La preparazione, soprattutto da giovani, è molto varia, multi-disciplinare: prevede esercitazioni molto intense, e sport che vanno dal nuoto al judo. Poi ci si abitua a montare e smontare continuamente le attrezzature, ad arrampicarsi, ad entrare dalle finestre, e anche ad uscire al volo: diciamo che non c’è modo di annoiarsi!
In 32 anni di attività, quali sono i ricordi più nitidi?
Tanti, impossibile sintetizzarli tutti su due piedi. Certamente, ad esempio, la manifestazione del 1991, in cui in occasione del cinquantenario della fondazione del Corpo organizzammo una grande kermesse in piazza Garibaldi, dinanzi a tutti gli alessandrini: fu un momento molto importante. Ma poi ci sono i tanti interventi sul campo: ricordo, ad esempio, un incidente d’auto mortale a Casalcermelli, in cui fui tra i primi ad intervenire, e dovetti constatare che la persona deceduta era un mio professore delle superiori: non sono momenti piacevoli.
Poi ci sono le alluvioni: situazioni altrettanto allarmanti e delicate…..
Eh sì: sia quella di Alessandria del 1994, di cui tra poco ricorre il ventennale. Sia quella del 2000, che riguardò diverse altre parti del Piemonte, da Ivrea (dove morì un nostro collega) a Casale. Ricordo che, in una frazione di Ivrea che si chiama Pavone, rischiai quasi di essere travolto dalla piena, ma portai in salvo una famiglia di 5 persone. Sono momenti di gioia impagabili.
E, non molto tempo fa, in tanti ti ricordiamo trarre in salvo un detenuto del carcere Don Soria, che era salito sul tetto e minacciava di buttarsi di sotto…
Era gennaio del 2013, una giornata fredda, e stava arrivando il buio. Quel ragazzo (salito fin lassù perché si riteneva innocente, e voleva attirare l’attenzione sul suo caso) indossava scarpe di pessima qualità, bastava un niente e sarebbe scivolato sulle tegole gelate, rompendosi l’osso del collo. Non chiedermi come, le parole non le ricordo: sta di fatto che lo convinsi a scendere con me, e lo abbracciai perché non ci ripensasse. So che poi fu trasferito altrove, per un po’ mi ha anche scritto: speriamo si sia rimesso sulla buona strada.
In questi trent’anni al Comando dei Vigili del Fuoco sono ‘passati’ anche personaggi che poi sono diventati famosi in altri campi. Ne ricordi qualcuno?
Almeno due, a caldo: l’attore Massimo Poggio, che fu nostro ausiliario per circa un anno, e l’ex arbitro di calcio di serie A, e oggi designatore e dirigente arbitrale Stefano Farina, che è novese. Ma non vorrei scordamene altri, così su due piedi…
Il Pascoli addetto stampa del Corpo invece come nasce?
Su decisione del Comando, assolutamente. Anche se a me fece piacere accettare, naturalmente. Era il 2003, e andammo a Roma per il corso di formazione presso la nostra Accademia nazionale in 157: uno per provincia, più uno per ogni comando regionale. Da lì, si è aperto un decennio di fortissima collaborazione, e in molti casi direi anche di amicizia, con i giornalisti alessandrini. Sempre, naturalmente, ricordandomi che indossare un’uniforme è servizio verso gli altri, e non potere: come dice benissimo Papa Francesco.
E ora che sei in pensione? Pronto a nuove avventure?
Assolutamente sì: lasciatemi solo il tempo di sistemare il ginocchio, che è ormai completamente senza cartilagine: è lo scotto che si paga dopo trent’anni di attività operativa, sul campo e sui mezzi. Però credo che si sia molto da fare ad Alessandria, soprattutto sul fronte del volontariato, dove già opero insieme a tanti altri nell’ambito della Parrocchia della Madonna del Buon Consiglio, in Pista. Ma sono anche presidente dell’Associazione Nastro Tricolore Decorati al Valor Civile, e membro del direttivo del Comitato di Coordinamento delle associazioni d’arma e di categoria. Insomma, non avrò modo di annoiarmi!
Ettore Grassano