‘Non si è mai troppo scrupolosi, né troppo sinceri, né troppo sottomessi alla natura…dobbiamo penetrare ciò che si ha davanti, e perseverare nell’esprimersi il più logisticamente possibile’ scriveva Paul Cezanne all’amico Emile Bernard, in una lettera.
Dopo una breve analisi dell’Onda di Hokusai come concetto di mare per eccellenza nell’articolo della settimana scorsa, cercheremo questa volta di cogliere l’assoluto della montagna, altro luogo agognato di vacanza, dal quale trarre un concetto incarnato, quello della natura come forza e come svago.
Nell’ultimo periodo della sua vita Paul Cezanne (1839-1906) aveva acquistato un atelier a Les Lauves, fuori da Aix En Provence, sua città natale, luogo completamente immerso nella natura provenzale e dominato dalla presenza gigantesca e suggestiva del Monte Saint Victoire, una montagna che vista dal mare è sempre stata punto di riferimento per i naviganti. Quella montagna è stata per il precursore della pittura novecentesca e anticipatore del Cubismo quasi un’ossessione, un amore, lo stimolo ad una ricerca continua nella sua arte, la pittura.
Al Saint Victoire l’artista dedicò circa 50 dipinti, tra tele ed acquerelli, dal 1896 al 1906, anno della morte, avvenuta sotto un temporale dopo aver dipinto fino allo sfinimento. Quell’insieme di rocce rossastre, capace di trasformarsi in ancella luminosa e bianca a seconda dei momenti della giornata e dei ritmi stagionali, custode dei segreti della natura nel Sud della Francia, rappresentava il suo ‘motif’ costante, la sua essenza, la circostanza in cui la montagna, geologicamente ed emotivamente intesa, coincideva con l’assoluto.
Egli spiegava che la missione dell’artista era quella di piegarsi alla realtà e rappresentarla secondo un concetto razionale, occhio-cervello sintetizzato nello spazio, nella forma, nel colore.
Cezanne era alla continua ricerca della perfezione, sempre insoddisfatto, ma costante nel suo silenzioso dipingere da eremita. Schivo e misantropo si immergeva completamente nella vista di quelle rocce permeate dal sole mediterraneo, intravedendo la meta ma sapendo di essere sempre in cammino e conscio di doversi fermare prima.
Il Monte Saint Victoire rappresenta nella storia dell’arte il superamento definitivo dell’Impressionismo, soprattutto del modello proposto da Monet dove la ricerca della luce diviene fine a se stessa (come ad esempio nelle ossessive ripetizioni del giardino di Giverny) e costituisce un’anticipazione di ciò che farà il Cubismo con la scomposizione della forma.
Nelle lettere all’amico Emile Bernard, in parte gia citate in apertura, l’artista spesso sottolinea la necessità di guardare alla natura attraverso il cilindro, la sfera ed il cono, elementi geometrici elementari in grado di facilitare una semplificazione delle forme capace di mantenere al tempo stesso la solidità e la profondità della rappresentazione. Cezanne, primo decostruttore della forma dall’interno e distruttore del punto di vista unico, pone fondamentali premesse che verranno riprese e sviluppate nel cubismo analitico di inizio Novecento.
La sua era una vera e propria sottomissione alla natura, nell’intento di carpirne razionalmente i segreti per spiegarli all’umanità attraverso la concretezza del colore e della forma.
Evitando la scorciatoia degli effetti speciali, Cezanne si muoveva perché attratto e commosso dalle forme, dalle luci e dai colori di quella montagna, avendo come complice il vento, quel vento capace di scuotere e di improvvisare un’emozione, quel vento che giunge repentino senza che si sappia bene da dove arriva, come un regalo inaspettato della natura di cui l’artista necessita per proseguire la sua infinita ricerca.