Facciamo i conti

Patrucco Giancarlodi Giancarlo Patrucco
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Ormai l’abbiamo capito tutti. Persino io, che di fatti economico-finanziari capisco veramente poco, ho ormai chiari i fondamentali: se diminuisce il Prodotto Interno Lordo, vale a dire l’indicatore della ricchezza prodotta dal Paese, tale diminuzione ha un mucchio di pesanti, negative conseguenze sui conti pubblici, sull’occupazione, sulla vita delle famiglie e delle imprese. Senza contare i rischi del famigerato spread, che sta sempre in agguato ed è pronto a riprendere la sua corsa, rendendo più difficile e più dispendioso il rimborso dell’enorme debito che abbiamo sulle spalle. Il quale, inevitabilmente, cresce.

Ho capito meno le ricette che arrivano dalla politica e dalle parti sociali. Per stringere, ho provato a suddividerle secondo la tendenza prevalente che hanno manifestato, tralasciando le molte sciocchezze che sento riferite ogni sera dai telegiornali:

– ci sono quelli che vengono definiti come il “partito della spesa”. Essi rappresentano, correttamente, la catena meno lavoro, meno reddito, meno consumi, meno entrate. Di qui partono per insistere sulla necessità di rimettere in moto il lavoro (sindacati), oppure i consumi (imprese). Dopo essersi divisi sull’obiettivo di base, si ritrovano comunque vicini nell’identificazione degli strumenti: una massiccia iniezione di spesa pubblica e/o una massiccia riduzione della tassazione;

– dall’altra parte, stanno quelli che definirei “rigoristi”. Per loro, occorre innanzi tutto ridurre la spesa pubblica. E’ lì il cancro, il bubbone malefico. Quegli 800 e passa miliardi di spese, spesso clientelari, spesso improduttive, si mangiano metà del PIL senza produrre effetti visibili in efficienza ed efficacia. Quindi, si affronti una spending review rigorosa per far saltar fuori i soldi necessari a fronteggiare la crisi e mettere le basi della ricrescita;

– a metà strada viene il Governo. Renzi prova a battere entrambi i percorsi: da unaDraghi Mario 2 parte, mette i famosi 80 euro in tasca a 10 milioni di italiani, cercando di stimolare i consumi; dall’altra parte, mette nei documenti di programmazione economico-finanziaria i miliardi che intende risparmiare con la spending review di Cottarelli. Ma il suo cavallo di battaglia sono le riforme. Dopo la botta che gli ha dato l’altro ieri l’Istat, certificando un secondo trimestre consecutivo di diminuzione del PIL, ha rilanciato: riforma costituzionale, elettorale, del lavoro, della burocrazia, della giustizia, del fisco… Secondo il premier, solo così potremo andare in Europa con le carte atte a negoziare più flessibilità nella gestione del deficit di bilancio. E, quindi, avere più risorse da investire nella ripresa.

Per elezione, sarei portato a dar ragione al partito della spesa, soprattutto quando si tratta di investire sul lavoro. So cosa vuol dire, perché vengo da una famiglia di operai e ho visto ciò che significa la disoccupazione. L’ho incontrata alla fine degli anni ’50, quando ero ragazzino, e le storie che sento raccontare oggi ridestano in me ricordi dolorosi.
Però, mi rendo conto che non possiamo permetterci un aumento di spesa. Quando sento dire da qualche politico a caccia di consensi che dobbiamo abbandonare l’Europa e mollare l’euro perché dobbiamo riprenderci la sovranità monetaria, mi vengono i brividi. Sono assolutamente certo che andarcene dalla Comunità Europea ci causerebbe un guasto irrimediabile. Tornare alla lira, poi, comporterebbe un immediato ridimensionamento della ricchezza del Paese. Uno sfacelo da cui si salverebbero soltanto i ricchi e non certo quella classe media che già sta scivolando e affonderebbe ancora più giù, in un pozzo senza fine.
Ma, anche senza mettere in discussione la nostra partecipazione europea, spendere di più significa aumentare ancora deficit e debito. Il debito sta viaggiando sopra il 130%. Dobbiamo assolutamente ridurlo, non foss’altro per non lasciare questa montagna sulle spalle delle generazioni che verranno dopo.

La doppia strada intrapresa da Renzi mi convince di più. Questo Paese è restato immobile per trent’anni. In trent’anni, si sono sedimentati assetti di potere e cattive abitudini che ne hanno alterato non soltanto le potenzialità, ma persino la coscienza, la percezione, l’atteggiamento nei confronti di capisaldi del vivere associato come il senso di responsabilità, di condivisione, di giustizia, di lealtà, di onestà, di correttezza formale e sostanziale. E’ ora che tutto ciò finisca. Finisca la storia dei furbetti che evadono, di quelli che corrompono e si fanno corrompere, degli imbroglioni di mezza tacca, che vivono di sussidi, e degli imbroglioni in grande stile, che hanno messo al sacco ogni contrada.

Se Renzi riuscisse a fare tutto questo, me ne sentirei appagato. Eppure, mi sento costretto ad avanzare due obiezioni.

La prima: non c’è tempo. In un giorno solo, dopo l’annuncio Istat, lo spread è passato da 160 a 180 punti. Va bene, diciamo che è stata la reazione iniziale. Ma l’avvertimento lo abbiamo avuto. Dobbiamo mettere in conto che, alla ripresa delle contrattazioni dopo il rallentamento di agosto, i mercati attenderanno al massimo i dati sul PIL del terzo trimestre. Poi ci salteranno addosso. Poiché a settembre, ben che vada, Renzi sarà riuscito appena ad avviare i suoi processi di riforma, rischiamo di restare appesi alla scommessa che i nuovi dati ISTAT invertiranno il trend. E’ una scommessa che non possiamo permetterci. Quindi, dobbiamo anticipare, dobbiamo correre, anche se trovo paradossale fare fretta a un premier che passa le giornate a metter fretta a noi.

La seconda: dobbiamo muoverci, mettendo in campo qualcosa di sostanziale. Trovo assolutamente risibili e del tutto inadeguate le risposte che ho sentito tra ieri e oggi. Tutte disegnano interventi che mirano a farci galleggiare, ma non contengono elementi risolutivi. Facciamo la cresta alla sanità, tagliamo le partecipate dagli Enti Locali, compriamo qualche cacciabombardiere in meno, intensifichiamo la guerra all’evasione, chiudiamo l’accordo con la Svizzera… Insomma: troviamo questi 20 miliardi che mancano per fare il Documento di Economia e Finanza 2015 restando nei parametri imposti da Bruxelles (e suggeriti dal buon senso). Se non ci arrivassimo, dice il ministro Padoan, non sforeremmo comunque perché scatterebbero in automatico le clausole di salvaguardia che taglierebbero gli importi delle detrazioni attualmente in vigore.

Ecco. Mi permetto di far osservare che proprio questo non dobbiamo fare. Ci lamentiamo sempre che l’incertezza sul futuro è una componente significativa del calo dei consumi, perché le famiglie hanno paura del futuro, e poi diamo conferma ai loro timori? Per cosa? Per raggranellare qualche miliardo che ci permetta di stare a galla ancora?
Credo che siamo tutti stanchi di galleggiare con l’acqua alla gola. Sfiniti. Ci sentiamo un po’ come quei naufraghi del Titanic, che i soccorritori trovarono ormai morti, rigidi, assiderati, quando finalmente arrivarono con le lance di salvataggio sul luogo del naufragio.
La lesina avremmo dovuto usarla prima. Prima che lo stock del debito sfondasse il 100%. Prima che l’evasione diventasse un fenomeno di massa. Prima che la devastazione del territorio provocasse danni irreversibili. Prima che le caste diventassero padrone del 40% della ricchezza nazionale.
Ora abbiamo bisogno di soldi, molti soldi. Per abbattere il debito, per fare gli investimenti necessari, per ridurre il peso fiscale. C’è un modo solo per farlo: chi ha più avuto, dia. Chiamatela pure patrimoniale. Io preferisco chiamarla restituzione, oppure redistribuzione. Fate voi.

Se la sente, Renzi, di proporre qualcosa del genere? Soprattutto, avrà la forza di reggere l’urto di chi si opporrà, dentro il Parlamento e fuori? Altrimenti, non ci resta che aspettare i soccorsi. Come toccò a quelli del Titanic.