La lezione dei due Matteo [Controvento]

Renzi Salvinidi Ettore Grassano

Sono Matteo Renzi e Matteo Salvini, secondo i risultati dell’ultimo sondaggio dell’Istituto Piepoli divulgato ieri, i due leader politici più popolari, o meglio coloro  che godono di un consenso più ampio rispetto a quello dei rispettivi partiti.

61% del premier rispetto al 40% del Pd (dato che a noi continua a sembrare ‘drogatissimo’, e ripetibile alle urne solo in caso di astensione di massa dello scoraggiato elettorato di centro destra, come alle ultime Europee), 22% per Salvini, rispetto ad un 7% della Lega Nord, destinata a crescere ancora, finchè il centro destra di cui sopra sarà sostanzialmente alla deriva, e resterà aggrappato a quel salvagente mezzo sgonfio che è ormai Silvio Berlusconi.

Eppure, pur nella vacuità di queste intenzioni di voto in un’estate in cui elezioni vere in vista non ce ne sono, e l’unica forma di attenzione degli italiani per la politica è il disprezzo, questo dato sulla popolarità dei singoli politici qualche riflessione la rende necessaria.

Ossia: il renzismo, fenomeno sopravvalutato e che ci pare quantomeno precipitoso equiparare ad altre leadership storiche ‘forti’ e che hanno segnato il Paese (Craxi e Mussolini: il pensiero di tutti va immediatamente lì. Ma anche Berlinguer fu grande leader carismatico) una sua piccola rivoluzione l’ha già portata a casa, diciamo così. Ed è quella anagrafica.

Matteo Renzi è nato nel 1975, Matteo Salvini nel 1973. Sono persone giovani (eRenzi Salvini baby entrambi da ragazzini concorrenti di format tv berlusconiani: tanto perchè sia chiaro chi ha prevalso davvero in Italia, sul piano culturale), portatrici di un’energia, un entusiasmo, una propensione al futuro che sono il carburante essenziale per qualsiasi comunità, per qualsiasi popolo. E che inevitabilmente imporranno, stanno già imponendo, un ricambio generazionale all’interno dei rispettivi ‘organici’, ma anche negli altri partiti sulla scena.

Certo, questo non significa che all’improvviso la ‘geronto-Italia’ (e non solo quella politica) si sia trasferita ai giardinetti in riva al mare, e abbia alzato bandiera bianca. Ma è chiaro che la rivoluzione anagrafica, a tutti i livelli, è in corso, e non poteva essere che così, data l’ineluttabilità del fattore tempo. A Renzi però (a cui riserviamo e riserveremo badilate di critiche: come giusto che sia verso chi comanda, e vorrebbe comandare forse anche troppo, e ‘irritualmente’) va indubbiamente riconosciuto il merito di aver fatto maturare ed ‘esplodere’ i tempi di un ricambio generazionale che sembrava non dovesse arrivare mai, in un Paese ‘mummificato’, disperatamente aggrappato al proprio passato per paura e incapacità di fronteggiare il presente, e progettare il futuro.

In tutto ciò, c’è da chiedersi per quanto ancora il centro destra continuerà a costringere parte del proprio elettorato a rimanere ‘in congelatore’, per incapacità di esprimere una leadership che ‘rottami’ il Cavaliere, o meglio che lo collochi in un ruolo di prestigio, ma sostanzialmente simbolico, e non più drammaticamente operativo. Da quelle parti, però, con qualche lodevole eccezione (ci viene in mente Giorgia Meloni) il problema è che il Cavaliere, nel timore di essere prima o poi divorato dai suoi ‘figli’, si è circondato di personaggi dal carisma di un palo della luce, ‘mezze tacche’ insomma: i nomi metteteceli voi, non è difficile. Per cui, diciamocelo, l’unico nuovo Silvio in circolazione è proprio Matteo Renzi: come del resto le forti affinità anche programmatiche stanno dimostrando.

A sinistra del Pd renziano, invece, noi restiamo convinti che ci sia davvero un’autostrada, e che non sia necessariamente la Salerno-Reggio Calabria. Ma da quelle parti se sentono parlare di leadership carismatica si allarmano (come se la storia della sinistra italiana e mondiale non ne fosse invece fortemente intrisa), e c’è un apparato di reduci che rappresenta il principale ostacolo a qualsiasi progetto davvero declinato al futuro. Chissà cosa ancora dovrà succedere in Italia perchè capiscano…

E. G.

Ps: Non è che ci siamo scordati dei 5 Stelle. E’ che quella è un’anomalia così forte rispetto al sistema della rappresentanza politica, da dover essere analizzata a parte. Ci ritorneremo.