Abbasso la burocrazia: ma l’alternativa dove sta? [Controvento]

Burocraziadi Ettore Grassano

L’ultimo in ordine di tempo è stato (venerdì pomeriggio a Palazzo Rosso) Enrico Costa, candidato Ncd-Udc alla presidenza della Regione Piemonte, ma prima di lui lo aveva in qualche modo sottolineato anche Sergio Chiamparino, per non dire naturalmente di Davide Bono, candidato governatore del Movimento 5 Stelle, ‘scagliato’ a testa bassa contro i ‘poltronifici’.

Meno partecipate insomma, e dieta dimagrante per tutte le società che fanno capo alla Regione Piemonte, sembra essere lo slogan piuttosto facile e scontato con cui tutti si ‘lanciano’ in campagna elettorale. Facendo quasi finta di non essere stati, finora, tutti quanti lì (a parte i 5 Stelle, certo), quando si è trattato di costruirla, questa ragnatela di aziende, consorzi, aziende speciali e quant’altro che avrebbero dovuto (e dovrebbero, dal momento che fino a prova contraria ci sono ancora, eccome) rendere la burocrazia regionale più robusta, moderna ed efficiente. E che invece alla prova dei fatti sembrano aver più che altro fatto lievitare i costi pubblici scaricati sulle spalle dei contribuenti, a ‘colpi’ di addizionale Irpef, o attraverso altre fantasiose formule.

Enrico Costa (figlio d’arte del resto: chi non ricorda lettere e giornali che il padre, il liberale Enzo Costa, inviava ai piemontesi vent’anni fa o giù di lì per denunciare gli sprechi della pubblica amministrazione?), in particolare, ha anche citato un paio di strutture, Ires e Csi, che brillerebbero più che altro per numero di addetti, e per bilanci in profondo rosso.
Mentre per Bono dei 5 Stelle, appunto, le partecipate pubbliche rappresentano un’occasione per sistemare amici e amici degli amici, ‘lottizzando’ a mani basse. Un tema, a pensarci bene, che tanto nuovo non sembra, e di cui si parlava già, e in maniera significativa, alla fine della prima repubblica, venti e passa anni fa. Per dire quanto gli italiani, e i piemontesi non meno dei siciliani o dei romani, siano affezionati ai propri modelli culturali, e gestionali.

Ma il tema vero, naturalmente, sarà capire le intenzioni del nuovo presidente della Regione Piemonte (chiunque esso sia) a partire da fine maggio. Tenendo presente che anche gli slogan renziani (abolizione o profonda revisione delle Province, del Senato, delle partecipate pubbliche in genere, delle Camere di Commercio ecc ecc) vanno nella stessa direzione di dimagrimento e riduzione dei costi, ma dovranno confrontarsi con una realtà rappresentata non solo da ‘barricate’ sindacali e contratti di lavoro in essere, ma soprattutto da scenari di oggettivo disagio sociale. Insomma, chi nei fatti avrebbe/avrà il coraggio di effettuare chiusure e licenziamenti drastici, ed è quella la strada, in Italia?

Proprio in questi giorni i media ci raccontano di un’economia statunitense che ha ripreso a correre, e in cui i dati di disoccupazione sono ai minimi, dal 2008: ecco, quello è un modello in cui i licenziamenti (anche pubblici, non solo privati) sono una variabile ‘accettata’ dal sistema, che però è tale da consentire a chi ha voglia e capacità di ripartire, in tempi rapidi.

In Italia, inutile girarci attorno, non è mai stato così: a vivere di ‘libero mercato’ è sempre stata un’esigua minoranza (che oggi tra l’altro annaspa sempre più, ‘schiacciata’ tra fatturati in costante calo e un leviatano statale e bancario assolutamente rigido e burocratico, incapace di comprendere che sta strangolando degli innocenti: ma ne riparleremo): tutto il resto è sempre stato, ed è, economica assistita: se non la via italiana al socialismo, senz’altro un ibrido in cui il ‘soldo pubblico’ ha sempre garantito la prosperità di massa. Staccare la spina a quel modello (che in Italia ha generato anche inefficenza, corruzione, lassismo e penalizzazione per chi ha voglia di darsi da fare: e chi non lo vede?) potrebbe avere, in assenza di un solido progetto alternativo, effetti devastanti.

In questi giorni intanto va di scena lo scontro (di facciata? Gioco delle parti?) tra governo e Cgil, mentre potete, se vi va, mandare un’email a rivoluzione@governo.it, e consigliare la coppia Renzi e Madìa su come riformare (il termine rivoluzione è palesemente un abuso semantico) la pubblica amministrazione. Pare ne siano arrivate 5 mila in pochi giorni, per cui il format (decisamente grillino, ma Renzi sa pescare con disinvoltura ovunque gli convenga) a livello mediatico funziona.

Il punto vero, però, è se i nostri politici, piemontesi e romani, sapranno
andare oltre gli slogan elettorali, e realizzare un progetto in cui al ‘dimagrimento’ della burocrazia pubblica si accompagni la possibilità per chi ha voglia e capacità di guadagnarsi serenamente da vivere.
Mentre allo stato presente delle cose l’alternativa per gli italiani è tra vivere di rendita o assistenza (potendo, si intende: benestanti e ‘garantiti’) o migrare verso Paesi civilizzati.