La lista dei candidati alessandrini del Pd alle elezioni regionali (Ravetti, Ottria, Moro, Zenari) non si tocca, e verrà difesa ‘a spada tratta’ nelle prossime ore di fronte agli organismi torinesi del partito. Ma per Paolo Filippi si potrebbero aprire le porte del ‘listino’ o (più probabilmente) della giunta guidata da Chiamparino, in caso di vittoria del centro sinistra alle elezioni del 25 e 26 maggio. Questi, almeno gli auspici di alcuni fra gli esponenti più autorevoli del Partito Democratico (e tra loro i senatori Fornaro e Borioli) emersi ieri al termine di una serata alessandrina da psicodramma politico, in un Palazzo Pacto dal clima quasi torrido.
La tensione iniziale è palpabile, e l’applauso prolungato e ‘liberatorio’ dei tantissimi presenti dopo la breve introduzione del segretario provinciale Pd Domenico Ravetti, che rassegna le sue dimissioni difendendo l’operato “di un percorso di 45 giorni di discussione aperta e trasparente, con scelte prese mai a cuor leggero, e con ampia partecipazione”, fanno subito capire che buona parte del partito sta con lui, e non è intenzionato ad accettare i diktat del direttivo regionale. Anche perché, a quanto emerge via via nel corso della discussione, l’incontro di venerdì scorso a Torino tra la delegazione guidata dallo stesso Ravetti da un lato, e il segretario regionale Davide Gariglio affiancato dal sindaco di Alessandria Rita Rossa dall’altro non dev’essere stato dei più morbidi, nei toni e negli argomenti. E ha lasciato in tutti i contendenti segni e lacerazioni evidenti. Con cui occorrerà fare i conti anche in futuro.
Ma il momento clou, la vera svolta della serata di ieri è stato, indubbiamente, l’intervento del presidente della Provincia Paolo Filippi, che con non poco coraggio (e un certo ‘mestiere’) ha infine deciso di uscire allo scoperto, e affrontare a viso aperto quell’assemblea provinciale del Pd che, solo una settimana fa, decise di bocciarne la candidatura alle regionali.
Filippi, in piedi appoggiato al muro, e ‘a braccio’, ha ripercorso in maniera rapida ed efficace il suo percorso all’interno del principale partito del centro sinistra (al di là dei diversi ‘marchi’ che si sono susseguiti nel tempo), tentando di enfatizzare l’importanza delle battaglie, e delle vittorie, unitarie: e in particolare, naturalmente, le due campagne elettorali del 2004 e del 2009, con la prima conquista di Palazzo Ghilini, e la successiva e tutt’altro che scontata riconferma. Ma l’uditorio attendeva Filippi al varco dell’ultimo miglio, quello in cui si è consumato il ‘tradimento’ del partito: e lì il presidente della Provincia ha difeso, con caparbietà, la sua scelta di critica del Pd (fino alla decisione di non più rinnovarne la tessera) sul fronte del progressivo ‘abbandono’ degli enti locali, intesi come province, ma anche come comuni: “posso aver esagerato nei modi, con alcune espressioni troppo colorite sui social network, ma la sostanza delle mie critiche mi pare sia stata largamente condivisa da numerosi amministratori locali”, ha ribadito Filippi. Che poi ha anche voluto ricordare (è trascorso solo un anno e mezzo, ma la memoria in politica talora è cortissima, ndr) di aver scelto, per senso di responsabilità, di non abbandonare il timone della Provincia nell’ottobre del 2012, “anche se avrei potuto assecondare legittime aspirazioni personali, e come in tanti mi suggerivano dimettermi e partecipare alle primarie per le elezioni politiche. Quelle, per intenderci, che portarono a Roma i senatori Borioli e Fornaro, da Filippi citati indirettamente: “l’allora segretario provinciale e il capogruppo in Provincia mi fecero ripetutamente capire che il partito avrebbe preferito che non abbandonassi la Provincia, e anche questo ebbe certamente un peso nella mia decisione”. A buon intenditor….
E’ scettico, Paolo Filippi, sulla possibilità di suo inserimento nel ‘listino’ di Chiamparino: “prima di tutto perché a me i voti piace prenderli sul campo, e credo di saperlo fare. Poi perché non capisco: se non mi ritenete degno di entrare nella ‘quaterna’ del partito, perché mai mi dovreste ritenere degno del listino? Infine: sono convinto che nel listino posto per gli alessandrini in questo ‘giro’ non ce ne sia”.
Dopo l’intervento del presidente della Provincia (che poi abbandona la sala “per non condizionare il dibattito”, ma rimane comunque in zona) si susseguono i commenti sia di suoi sostenitori, che di altri esponenti del Pd che richiamano comunque all’unità del partito, e alla necessità di dedicarsi, comunque vadano le cose a Torino, “pancia a terra” alla battaglia elettorale. Mentre gli ovadesi, in particolare, tornano sul tema della scarsa ‘rappresentatività’ dei territori, perché “nella scelta dei candidati è prevalsa la logica di appartenenza alle diverse correnti, e questo è un rischio serio”.
Tocca ai due senatori alessandrini, Federico Fornaro e Daniele Borioli, tentare una sintesi finale. E se Fornaro ribadisce l’importanza del rispetto delle regole (“la lista dei candidati è frutto di un percorso condiviso, e di scelte legittime degli organi del partito: come tale va difesa a Torino senza tentennamenti. Pur però consapevoli che il regolamento consente al regionale di modificare le scelte, anche se non è mai successo, e naturalmente ci dovrebbero essere motivazioni forti”), Borioli va anche oltre nella riflessione politica. Innanzitutto sottolineando che, se per Gariglio ad Alessandria esistevano specificità così forti ed importanti, avrebbe probabilmente anche potuto evidenziarle in anticipo (“in fondo Alessandria non è così lontana da Torino, lo avremmo accolto e ascoltato con piacere”), e poi invitando tutti quanti a fare uno scatto in avanti, e ad essere ambiziosi: “facciamo la nostra battaglia fino in fondo, ma soprattutto, tutti insieme, ribadiamo a Torino che il nostro territorio merita maggior attenzione, e certamente tra consiglio e giunta abbiamo bisogno di una rappresentanza più ampia, che un solo consigliere non sarebbe in grado di garantire”.
Ecco, dunque, la ‘chiave di volta’ non solo per tenere unito il Pd alessandrino, ma per provare a farlo contare di più in Regione: Paolo Filippi nel listino o, meglio ancora, nella giunta di Chiamparino. Un’apertura, quella di Borioli, che Rita Rossa coglie al volo, con grande senso di opportunità politica: “le battaglie politiche si vincono e si perdono, e la storia del Pd non finisce certo con le regionali. Ma a questo punto prendo atto che cade da parte del partito ogni pregiudiziale rispetto all’inserimento di Paolo Filippi nel listino, e al contempo chiedo al segretario Ravetti di ritirare le sue dimissioni. Per quanto mi riguarda, è evidente che mi impegnerò a fondo a sostegno del Pd: lealmente, come ho sempre fatto”.
Mimmo Ravetti, a questo punto, ritira le dimissioni, e ribadisce a sua volta che, dopo la giornata ‘campale’ di oggi a Torino (e comunque vadano le cose), “da martedì ci sarà ad Alessandria un solo Partito Democratico, impegnato senza se e senza ma nella campagna elettorale”.
Ora la ‘patata bollente’ passa in mano al Pd torinese. Toccherà al segretario regionale Davide Gariglio, nella riunione prevista per stasera, sciogliere i nodi della querelle alessandrina. E offrire quelle ‘aperture’ e quegli spiragli che possono aiutare a ricomporre lacerazioni e fratture.
Ettore Grassano