La democrazia che vogliamo

ArcipelagoSe la politica è menzogna e dramma o, come sosteneva un autorevole esponente della prima repubblica, “sangue e m…” questa politica non ci appartiene. Non ci appartiene una politica che ha steso drammaticamente sulla nostra realtà sociale un velo di menzogna. Al contrario pensiamo che l’arte della politica sia un’arte nobile e qualunque devianza mascherata da “macchiavellismo” non ci convince, non ci ha mai convinto.

In un’epoca di velocità digitale e di insofferenza per il profondo assistiamo ad una pericolosissima evoluzione dell’idea e della pratica della democrazia. La deriva plebiscitaria (non già semplicisticamente quella che è stata individuata come la “deriva populista” iniziata con il berlusconismo) sta dando nuova forma al sistema democratico. Il Plebiscito dell’ ”audience”, del “leader carismatico” prevede che esso si rivolga direttamente al popolo.

Il “leader carismatico”, bypassando il rapporto con le istituzioni e con l’elezione rappresentativa, gestita non dai partiti ma dai tecnici dell’audience, vede coloro che sanno smontare la complessità dell’elettorato con i numeri e i sondaggi e capire che cosa vuole il popolo e come istigarlo a volere.

Il pericolo di una deriva populista è superato da una forma plebiscitaria di democrazia, a nostro avviso più pericolosa in quanto più “subdola”, che si concretizza ad opera del leader di turno nella costruzione di un partito suo, che “attinge” al pubblico largo.

Le stesse “primarie” portano ad un leader che viene prima di tutto, sino ad essere indipendente dal programma politico; un leader che si esprime su questioni generali che raccolgono un consenso elettorale molto ampio. In effetti ciò che conta nella “democrazia plebiscitaria dell’audience” è che il popolo non partecipi, guardi soltanto, assista allo spettacolo.

Tutto questo accade, sotto la pressante richiesta di velocizzazione delle decisioni imposta dai mercati, con una depoliticizzazione della democrazia che vede prevalere la “conoscenza” dei governi dei tecnici e rifiutare “lacci e lacciuoli” delle deliberazioni collettive. La tendenza plebiscitaria separa di fatto i “pochi” che fanno politica dai “molti” che  osservano ed esalta altresì questa passività e la visibilità del leader.

L’esperienza di  Renzi si colloca in questo contesto e va analizzata fino in fondo, fuori da qualsiasi dietrologia e/o tesi complottistica: semplicemente osservandone la genesi. E’ indubbio che il “Fenomeno Renziano” è nato per essere una risposta ad una irreversibile ed inarrestabile spinta antipolitica che montava pericolosamente, che rischiava di mettere in discussione tutto il sistema di potere della cosiddetta prima repubblica.

Dalle esternazioni sulla “rottamazione” al “cambiamento di verso” tutto “appare” come la volontà di grande cambiamento. Se riflettiamo tuttavia più approfonditamente sui sodali/sponsor più o meno occulti, gruppi di potere sostenitori del giovane fiorentino siano essi provenienti da ambienti cattolici vicino all’Opus Dei, da Cl o dalla massoneria e da ambienti finanziari sinistrorsi, ma ipocritamente conservatori dei loro interessi, questi  erano molto, ma molto più preoccupati di quanto può esserlo il disoccupato italiano che non riesce a sopravvivere a questa crisi.

E questo per il semplice fatto che “lor signori” (li chiameremo così per semplicità) nel caso di un prevalere di un’alternativa politica autenticamente e tragicamente rivoluzionaria perderebbero tutto ciò che hanno: prima di tutto il POTERE.

Non potendo quindi assolutamente permettersi ciò, l’unico modo per sopravvivere all’avanzata dei “garibaldini dell’antipolitica” era quello di“cavalcare” la marea montante degli indignati di questo paese.

Sì, il gattopardo di cui parla Friedman è proprio questo; questo è quello che è avvenuto, questo è quello che sta avvenendo sotto i nostri occhi: cambiare tutto perché nulla cambi.

Attenzione! L’interscambiabilità è il paradigma principe nel ragionamento di “lor signori”: l’avvicendamento dei Bilderberg boys (Monti e Letta) con Renzi è solo l’affinamento di un percorso, nulla più.

I segnali ci sono tutti, proprio tutti. Dalle televendite, alla pochezza progettuale che, mercè una comunicazione tesa a persuadere e sapientemente dosatae non già una seria informazione, pregna di verità, produce nella “pubblica opinione” un mix di dubbi e speranze, incertezze e sorprese, perplessità e fiducia.

Il nutrito gruppo dei “Tancredi Falconeri-Lor Signori” che ha prodotto Renzi è consapevole che alcuni prezzi dovrà pur pagare ma l’importante è che tutto il sistema che li vede in posizione dominante resti in piedi, non cambi.

Per cambiare VERAMENTE l’Italia occorre innanzi tutto una profonda e drammatica operazione verità che solo chi non ha paura dell’impopolarità puo’ permettersi di fare. E chi, se non i cittadini che si assumono questo onere in prima persona, può sfidare l’impopolarità? Cittadini che solo in misura minima (gli ultimi studi parlano di un 3% della popolazione che si interessa di politica) seguono le vicende che abbiamo descritto. Pur ammettendo il dato, questo è il compito di questa esigua minoranza (almeno nella parte che esprime onestà intellettuale).

Una alternativa quindi tutta da costruire; una alternativa che oggi pare essere rappresentata da un establishment conservatore, principalmente orientato verso il centrosinistra, che recupera categorie politiche come “sinistra e destra” ormai retaggio di ottocenteschi scenari e che nascondono unicamente “interessi costituiti”.

Non è un caso che tutti quanti oggi accettino il parametro della governabilità come un tabù  irrinunciabile senza curarsi di rispondere, di fronte ad un mondo che è completamente cambiato e sempre più cambierà, di quale Democrazia ha bisogno la nostra comunità; senza rispondere ad una domanda banale ma basilare in ogni Democrazia: “chi rappresenta chi?”. Tutto ciò avviene con uno spettro che si aggira per l’Italia: l’angoscia di un popolo alla ricerca del compimento di una identità nazionale.

Sii il cambiamento che vuoi vedere nel mondo. Mahatma Gandhi

Un popolo che non ha mai fatto alcuna rivoluzione ma paradossalmente un popolo che ha sempre segnato la via di grandi cambiamenti epocali. Un popolo che dopo l’epopea “romana” ha vissuto sempre in servitu’ e nonostante ciò ha prodotto quel grande fenomeno culturale che è stato il Rinascimento per tutta l’Europa ed il mondo conosciuto. Un popolo che fuori dalla retorica risorgimentale non è riuscito nell’impresa di costruire una “nazione”; un comune sentire nazionale ed ha sempre interpretato lo Stato come un qualche cosa di avverso ai suoi interessi. Un popolo che ha sempre convissuto con istanze rivoluzionarie mai tramutatesi in vere e proprie azioni rivoluzionarie e sempre viziate da revanscismi di diverse nature.

E’ un popolo che è ancora alla ricerca di un senso, un significato da dare al suo vivere insieme.

E’ questa la domanda che ognuno di noi si pone di fronte allo smarrimento segnato e voluto da una classe dirigente che a definirla tale ci vuole fantasia. Una classe dirigente economica, sociale, culturale, politica e, non ultima di certo, “finanziaria” che è in completo stato confusionale con un orizzonte di futuro che non supera lo steccato del proprio giardino.

Una classe dirigente disponibile tuttalpiù a costruire alternative che alternative non sono ma semplicemente gattopardeschi processi e che, con una politica mediatica, è costretta a sperare nel più grande bluff del momento al grido “dopo di lui la catastrofe” o “l’ultima spiaggia”.

Se questa breve premessa può essere considerata parte della ormai famosa “anomalia italiana” pensiamo che da questa occorra partire per almeno sognare un Nuovo Rinascimento ad usum di quanti si ritengono ormai cittadini del mondo. E’ infatti dalla questione della “Democrazia dei post-moderni” che occorre partire per garantire la governabilità di società complesse. E’ dall’etimo della Democrazia che occorre partire per superare una crisi che ha un solo aggettivo: epocale.

La cultura e la politica hanno un imperativo categorico a cui rispondere: “chi rappresenta chi” in questo Paese? O meglio: quale democrazia vogliamo?

E’ un lavoro immane, lo sappiamo benissimo; ma è l’unico lavoro che ci consentirà di respingere scorciatoie, di accettare supinamente pericolosissime involuzioni. La pericolosità della “iper-democrazia” come la definisce Luca Ricolfi non può non ricordarci infatti tristi momenti già vissuti. Noi non consideriamo alcun primato morale della politica ma riteniamo che un ordine nelle cose debba essere ricercato.

Una politica infatti come oggi la “viviamo” non è più in grado di trasformarsi in fatti concreti semplicemente per il fatto che ha perduto completamente la credibilità, ha perduto l’identificazione tra “potere della politica” e “potere dello Stato”. Un sistema ormai che esprime una scarsissima “manovrabilità amministrativa” essendo etero diretto dall’esterno, senza strumenti di iniziativa imprenditoriale ma soprattutto condizionato da interessi dell’alta burocrazia.

Abbiamo parlato di ordine che la politica DEVE ricercare; un ordine che consenta a tutti i cittadini di essere protagonisti così come il suffragio universale ci ha tramandato; rammentando altresì che ogni cambiamento senza suffragio universale non vuole dire niente. La diffusione di internet (che in Italia è ancora molto bassa) potrebbe indurre in errore nel pensare ad una comunità di decisori in cui tutti decidono su tutto. Il mito della Democrazia Diretta che ci affascinò in un certo periodo della nostra esperienza politica giovanile non fa più parte del nostro bagaglio. Ma internet rimane uno strumento  formidabile di trasmissione di conoscenza (almeno di informazioni) e come tale tutti possono/potranno consapevolmente approfittarne. Un “tutti” che non vuole essere un assoluto parametro di partecipazione ma può costituire una garanzia nei confronti di pericolose involuzioni oligarchiche.

Coniugando quindi la consapevolezza di questa “partecipazione conoscitiva” con un sistema di delega si può pervenire ad una democrazia rappresentativa “vera”. La proposta quindi di un sistema che si autoriforma dall’interno non solo non convince ma ci fa sospettare l’inganno. Il sistema non si cambia dall’interno, anche se lo si grida a voce alta; all’interno del sistema il rischio è di perpetuare, come stiamo sostenendo una politica gattopardesca; lo ripetiamo: una politica del …che tutto cambi perché nulla cambi.

La chiave di volta di questo sistema è la rappresentanza: ne è prova l’interesse che “lor signori” pongono alla legge elettorale come “soluzione falsa a un falso problema”. Sino a qualche settimana fa pensavamo che non erafolle pensare che ritenevano “inevitabile” mandarci al voto con una legge elettorale proporzionale pura al fine di dar luogo ad una fase costituente della quale i protagonisti saranno  ovviamente i soliti noti autori ed attori.

Al peggio non c’è mai fine: hanno superato loro stessi riproponendoci un porcellum riverniciato. 

La rappresentanza oggi infatti garantisce al cittadino un voto, dopo di che il nulla sul piano del controllo e della costruzione delle decisioni. Come è successo, tra l’altro, per i trattati europei. La rappresentanza di cui “parlano i cittadini” è invece quella che garantisce la partecipazione alla riscrittura, ormai indifferibile, delle regole del nostro vivere insieme,della forma dello Stato. E’ giunto il momento di riscrivere le regole del nostro vivere civile, di aprire una fase costituente con chi ci sta e questo lo possono fare solo i cittadini. E’ vero che i grandi cambiamenti avvengono su impulsi d’elite ma sono destinati al fallimento o al non compimento se le “persone” non se ne impossessano.

Questo significa che prima della decisione ultima (il voto) le persone debbono decidere della loro volontà di impossessarsi dei processi decisionali che influenzeranno la loro vita, che decideranno del bene comune. L’iscrizione, al raggiungimento della maggiore età, alle liste elettorali non può più essere sufficiente ad esprimere “Democrazia”. Un governo del popolo, in una società profondamente mutata e complessa non può essere affidato solo,e totalmente, a corpi intermedi.

Per questo è indispensabile individuare strumenti che consentano alle persone di partecipare alla formazione delle decisioni in modo più diretto. Ciò non può essere confuso con forme antiche di democrazia diretta. La Dichiarazione Pubblica di Volontà delle persone è quindi l’atto primo della formazione della decisione; è l’atto che sancisce l’esercizio del diritto di voto in modo consapevole. Affrontare quindi le questioni che segnano questa crisi epocale da parte di persone consapevoli e coscienti può fare la differenza tra soluzioni condivise e soluzioni imposte. Questa Dichiarazione riteniamo possa essere espressa in un Pubblico Registro degli Elettori Attivi che attraverso atto notarile si può realizzare e rendere pubblico mediante siti che parteciperanno a  questo percorso.

Se questo Paese deve essere riscritto, se questa Europa deve essere costruita ciò può avvenire soltanto se tutti, in prima persona, si dedicheranno a questa riscrittura e a questa costruzione.

Concretamente quindi solo l’iscrizione al Pubblico Registro degli Elettori Attivi su richiesta delle persone che intendono partecipare di volta in volta alla formazione della governance di questo Paese potrà garantire il passaggio alla Democrazia del terzo millennio.

Associazione Arcipelago – Alessandria