Non so voi, ma io da bambino degli anni Settanta me li ricordo bene i furbastri che, senza tanti problemi, si facevano la discarica fai da te, trasformando magari un campetto di pietre da due lire in una lucrosa attività pluridecennale. Naturalmente era un’Italia assolutamente naif, dove le aziende scaricavano le loro schifezze nei fiumi (la Bormida con acqua marrone, che spettacolo), o anche nei fossi di paese, popolati di ratti formato gigante.
Oggi è tutto diverso (che non vuol dire necessariamente meglio..), e le normative a tutela dell’ambiente e della salute dei cittadini abbondano. Ma questo non significa che il fabbisogno di discariche sia superato, tutt’altro.
Del resto, è facile dire sempre ‘no grazie’, andatele a fare da qualche altra parte: magari in Africa, che i negretti ci fanno tanta pena, ma in fin dei conti se occhio non vede, cuore non duole. La realtà è che la nostra società produce montagne di schifezze, a livello industriale come sul fronte dello smaltimento della nostra rumenta quotidiana, e da qualche parte, o in qualche modo, lo smaltimento s’ha da fare.
Per restare al locale: Aral ha aperto un anno fa la discarica in località Calogna (tra Solero e Quargnento), ma già guarda al futuro, e tra pochi giorni ci sarà in Provincia la nuova conferenza dei servizi sulla (ipotetica) discarica di Spinetta, in località Guarasca. Non è chiaro quale sarebbe l’utilizzo finale della discarica, ma è chiarissimo che la cittadinanza non la vuole, e che si stanno cercando èscamotages formali per approvare la ‘pratica’ ugualmente, tanto per cambiare.
Sempre in questi giorni, il Psi alessandrino ha lanciato l’allarme sulle (sempre ipotetiche) nuove discariche di Spinetta (Molinetto: confesso di ignorare se stiamo parlando della stessa di cui sopra o meno: chi sa chiarisca) e Cristo, evidenziando che ci sarebbero gravi rischi sul fronte idrico, e chiamando in causa Amag, i cui rinnovati vertici avranno anche questa, tra le altre tante rogne da affrontare.
E poi c’è la vicenda della discarica di Sezzadio, dove il braccio di ferro non sembra finito, e dove pare sia stato presentato dalla ditta Riccoboni di Parma un nuovo progetto, “che prevede il trattamento di 250.000 tonnellate all’anno di rifiuti pericolosi e non pericolosi di cui 200.000 tonnellate di terreni contaminati, 20.000 tonnellate di fanghi e 30.000 tonnellate di acqua”.
Senza contare, naturalmente, la situazione del polo chimico di Spinetta: lì il sottosuolo come discarica di sostanze di ogni tipo è stato utilizzato ‘de facto’ per diversi decenni (e le istituzioni locali dov’erano?): c’è un processo in corso, e una realtà comunque gravissima con cui fare i conti.
Siamo dunque un territorio che, per la sua strutturale debolezza e marginalità, è destinato ad essere sempre più un contenitore di schifezze, una sorta di ‘suburbia’ in cui lo scambio è sussidi di massa (in variegata e occultata forma) in cambio di uno sfruttamento del territorio che non va troppo per il sottile, salute dei cittadini compresa?
Oppure in alcuni casi si drammatizza eccessivamente, e non si vuol prendere atto che così va il mondo, e che semplicemente il benessere di massa ha le sue controindicazioni, anch’esse di massa?
Non sarebbe male, per cominciare, tentare un paragone con alcune province limitrofe. Non perchè mal comune sia necessariamente mezzo gaudio: ma appunto per capire se siamo di fronte ad una dinamica condivisa (e ci viene da pensare di sì), oppure se davvero l’alessandrino è un unicum, sia pur al negativo.