Cosa dovremmo pensare di un Paese, e di un territorio, che affronta (e non risolve) la questione del trasporto pubblico locale a colpi di denunce, cavilli giuridici, ricorsi al Tar? E’ evidente che anche qui, in mancanza di un progetto/piano di azione, e delle risorse per attuarlo, si gioca a ‘scaricabarile’, e ognuno appare interessato più a passare la patata bollente nelle mani di qualcun altro, anzichè provare a cercare soluzioni che non siano “Signori, si chiude”.
L’altro giorno abbiamo ricordato che l’alessandrino ha strade da terzo mondo, e infrastrutture tecnologiche allo stesso livello. Ma ci siamo scordati, appunto, di evidenziare le condizioni moribonde del trasporto locale, da anni in agonia, e sottoposto ad una politica di tagli continui, e di incertezze.
Ogni tanto qualcuno ci prova, qui a casa nostra, ad abbozzare un’ipotesi di possibile ‘piano integrato’ (qui trovate l’analisi di Daniele Coloris, del Pd alessandrino), ma in mancanza di un progetto complessivo sono prediche nel deserto.
Negli ultimi giorni, in particolare, sulla scena mediatica è tornato il caso Atm. Che fino a qualche settimana fa veniva presentata come la partecipata in cui, grazie ad un dialogo trasparente con i sindacati (e alla mediazione dei Moderati, a cui appartengono sia il presidente Gianfranco Cermelli che il vice presidente/amministratore delegato Ezio Bressan), si era riusciti a superare l’emergenza, ricorrendo allo strumento della cassa integrazione per la gran parte dei 228 dipendenti. Francamente troppi, per i servizi erogati alla cittadinanza, ma questo lo sanno benissimo tutti.
Ora, proprio sulle modalità di rinnovo della ‘cassa’ da qui a fine anno, la Cgil ha deciso di ‘puntare i piedi’, rifiutandosi di firmare l’accordo sottoscritto invece da Cisl e Uil, che prevede diverse fasce di ‘cassa’ (da due dipendenti al 100%, fino a 180 al 10%, con alcune soluzioni intermedie).
Potrebbe sembrare questione troppo tecnica, ‘sindacalese’ puro insomma, ma dalle parti della Camera del Lavoro di via Cavour sostengono che non è così, e che si tratta invece di ribadire un principio, quello dell’unità dei lavoratori del trasporto pubblico, che con l’aria che tira (e i tanti tagli e vari ricorsi al Tar di cui parlavamo all’inizio di questa riflessione) a qualcuno potrebbe anche venir presto in mente di mettere in discussione.
Cosa succederà ora? Davvero la Cgil impugnerà l’accordo in tribunale (per mancato rispetto dell’articolo del codice civile sull’equità), e si andrà verso altre forme di protesta, sciopero incluso?
Ma, soprattutto: prima o poi qualcuno (che non possono essere i sindacati, non è il loro ruolo) comincerà davvero a discutere di come ammodernare e potenziare (non chiudere: potenziare) il trasporto pubblico, leva essenziale sia di sviluppo che di civiltà del territorio?