Grano rosso sangue 3 – Il furore di Bernardo colpisce ancora [Il Superstite 175]

arona-2di Bernardo Beisso e Danilo Arona

L’amico Bernardo Beisso si è scoperto scrittore di razza e oggi mi manda un pezzo, notevole, che più che volentieri condivido. Anche perché questa volta mi ha trasformato in un personaggio di contorno. Vai, Bernie!

All’amaca, appesa tra un palo del “barsò” e il pero delle streghe, bastavano i piccoli movimenti di un braccio o di una gamba. Così, dondolando, mentre l’aria comunicava l’arrivo di un  temporale in quel mese di luglio particolarmente piovoso, Gorki – un vecchio e saggio eremita, personaggio magico uscito da un romanzo russo – mi teneva compagnia.
Il vento leggero che soffiava da nord mi portava, ancora una volta, le note di una chitarra, note lunghe e riverberate che mi distraevano dal libro. Musica e lettura: due faccende troppo importanti per essere amalgamate. Ma di colpo un sussulto di Molosso, il mio cane  che come sempre vegliava sul mio riposo a poca distanza dall’amaca, mi scosse: la bestia si alzò  di scatto, si avvicinò e puntò l’aria a tutta narice. Poi un altro scatto; stavolta il colpo lo avevo sentito anch’io.
Mentre mi alzavo a malincuore. una pietra proveniente dalla massicciata della ferrovia rimbalzò sul muro di casa. Cercando di capire cosa stesse succedendo, intravidi qualcuno che scompariva, correndo tra i binari, dietro ai cespugli e alle piante che costeggiavano la massicciata. Mi tornò alla mente che alcuni giorni prima avevo trovato Molosso con il muso insanguinato.  Ferita non era grave ma un taglio sull’orecchio sinistro che aveva sparso copiosamente il sangue fin sotto gli occhi. Mi ricordai  anche che lo stesso giorno avevo salutato un vicino che stava seppellendo il suo cane morto, non si sa come, nella notte.

Della frazione conoscevo quasi tutti gli abitanti e nessuno avrebbe fatto del male aiDark Country cani che in campagna servono per la guardia e per tener lontani i predatori di pollai, ovvero volpi e faine. Servono anche quando nono sono trattati bene.
Comunque il fuggitivo lanciatore di pietre si era già imbucato. Le uniche case in quella direzione erano: la “casa fatata”, la cooperativa agricola e l’altra casa semi-abbandonata sul lato sinistro della strada. Ho usato il termine perché persiane e porte apparivano chiuse e sbarrate e non si vedeva anima viva, ma di notte usciva qualcuno intabarrato, una figura minacciosa e fin troppo coperta estive che vagava per il borgo facendo abbaiare tutti i cani nei cortili che costeggiava.

Quella casa aveva conosciuto anni di vitalità; il vecchio proprietario si era circondato di amici che spesso si ritrovavamo per cenare e discutere in allegria sino a ora tarda. Anch’io ero stato invitato per non so quale ricorrenza. Un giorno senza dire nulla il tipo aveva preso il largo, abbandonando la moglie, il figlio e la casa. Da quel momento le cose erano cambiate drasticamente; la moglie non si era più vista e il figlio aveva intrapreso una vita dissipata. Arrestato più volte, aveva sperperato tutto quel che il padre aveva lasciato.

Sapevo tutto dal suo dirimpettaio: il conte della Mandragora, proprietario con la moglie della tenuta che io chiamavo la“casa fatata”. Appassionato di musica, amante del cinema, scriveva sceneggiature teatrali di commedie leggere. Il conte aveva soprannominato la figura notturna “l’uomo scuro”, nome che gli ricordava il primo terrore infantile. Sapendo che anch’io amavo la musica, mi invitava di tanto di tanto a casa sua per  assaggiare un buon vino fatto con uva americana, dolce e fresco, e  in una di queste occasioni mi aveva reso partecipe delle sue preoccupazioni. Aveva deciso di non lasciare più a casa sola la contessa, da quando aveva colto sul fatto l’uomo scuro che spiava da un cespuglio le dolci curve della contessa che si rosolava al sole sul bordo della piscina. Avevano poi fatto recintare a dovere tutta la tenuta ma la tranquillità era svanita; le denunce non erano servite e neppure i dispositivi di allarme di ultima generazione.
Okay, forse era stato proprio l’uomo scuro a tirare sassi contro casa mia. Forse era lui il responsabile della morte di alcuni cani. E senza forse era certo il tipo in grado di eccitarsi per una femmina seminuda ai bordi di una piscina. Però la saggezza degli anni mi suggeriva di starmene tranquillo. Ma la faccenda nel suo insieme proprio non mi piaceva non mi piaceva.

Dal conte avevo saputo che il commissario Salino, amico comune che ogni tanto passava a salutarlo e al quale il nobile amico aveva più volte espresso preoccupazione sul comportamento dell’uomo scuro, aveva raccontato un fatto inedito sul sinistro personaggio.
Il Pavolini, questo il cognome del tipo, in un periodo di particolare depressione, aveva tentato il suicidio e dopo  due mesi di cure era tornato nella buia casa dirimpettaia. Il conte aggiunse pure anche che avrebbe dovuto allontanarsi da casa per quattro giorni, dal momento che era richiesta la sua preziosa presenza a Rimini dove andava in scena un musical da lui stesso sceneggiato: una roba quanto mai in tema che s’intitolava L’uomo nero, l’uomo nero, l’è venuto per davvero?. Titolo e trama che scherzavano sulle paure quotidiane e ironizzavano sul comportamento della gente in preda alla taffa. L’amico mi chiese di dare un’occhiata alla casa in sua assenza visto che la contessa non sarebbe partita con lui. Da qualche giorno tutto pareva normale, ma con uomo scuro mai fidarsi….

(continua)