L’ultima chiamata

Patrucco Giancarlodi Giancarlo Patrucco
www.cittafutura.al.it

Francamente, nel vedere cosa sta succedendo in questi giorni e nel ricordare cosa è successo in questi anni, chiunque sia dotato di un minimo di razionalità dovrebbe concludere che da questo italico disastro non ci salveremo. Abbiamo passato il punto del non ritorno e, ormai, potremo scivolare soltanto più in basso. Se ci va proprio bene, magari riusciremo a rallentarne la corsa.

Il quadro è abbastanza chiaro e, da qualunque parte lo si guardi, allucinante. La corruzione in politica? C’era e persiste, nonostante la magistratura, le forze di polizia, la Finanza provino a contrastarla. Il muro di gomma della burocrazia? Non passa giorno senza che i media ce ne forniscano prove lampanti. L’indifferenza rampante di certa imprenditoria? Sono tanti, troppi gli imprenditori che campano sul marcio e prosperano colludendo. Gli va bene tutto, dalla mazzetta alla mafia.

Ma, tirando avanti in questa crisi infinita, abbiamo imparato che il sistema negli anni ha nidificato, si è ramificato ed esteso in alto e in basso. Sopra ci stanno le lobbies, i grandi affari per i soliti noti, i mezzi ignoti e quelli ignoti del tutto, ma ugualmente intenti a portar via la polpa dalle carcasse. Sotto, in una vertigine di discese senza fine, stanno i piccoli corvi e le piccole iene, che ammorbano l’aria di ogni città e di ogni borgo cercando di portare a casa gli ossi che dall’alto vengono lasciati cadere, quando serve, una volta ogni tanto.

Un sistema, appunto, che non puoi affrontare da solo e non puoi sperare diMacerie abbattere andando o non andando alle urne, gridando in piazza o a casa tua, davanti all’ennesimo telegiornale che ti racconta l’ennesimo sconcio. Quando il frullatore gira, chiunque sa che non deve metterci le dita dentro. Però, se è l’Italia a frullare, frulli anche tu, che lo voglia o no. Vuoi uscirne? Trasferirti all’estero? D’accordo, ma quanti non possono scegliere perché qui hanno casa e, quando va bene, un lavoro per  sfamare la famiglia?

Qualcuno, poi, ha ancora la faccia tosta di dichiararsi stupefatto, allibito, persino un tantino offeso per l’aria d’indignazione che si diffonde intorno, rischiando ogni giorno di mutarsi in rivolgimento, sommossa, rivolta. Qualcuno ha ancora il coraggio di sostenere che le istituzioni servono, che non è giusto e nemmeno utile fare di tutta l’erba un fascio. Volete dimezzare il numero dei parlamentari, abolire il Senato, dare di accetta alla sterminata rete delle partecipate, togliere i soldi ai partiti? Possiamo ragionarne, ma con calma.

Con calma? Non ci possiamo più permettere il lusso di perdere tempo e non siamo più in grado di mantenere la calma. Constatiamo ogni giorno che qualunque istituzione, per quanto piccola sia, degenera o rischia di degenerare in un centro di potere, di affari e malaffari. E questo centro di potere minaccia la nostra sopravvivenza. Quindi, alla più piccola occasione, gridiamo forte e chiaro il nostro no. Via i finanziamenti pubblici alla politica, via una Camera, via le Province, via gli enti inutili, via… Via tutto, mi verrebbe da dire, perché ogni pezzo tagliato è una testa troncata a quell’idra che si è mangiata il nostro presente e il futuro dei nostri figli.

Giunti a questo punto, arriva la bordata che dovrebbe farti vacillare, se non abbatterti del tutto. E la democrazia? Ti rendi conto che il tuo qualunquismo rischia di farci perdere il bene più prezioso che abbiamo? Che stai aprendo un varco alla destra più retriva e reazionaria? Che stai portando a casa tua – una casa di sinistra – i populisti demagoghi forcaioli che ti toglieranno anche la libertà di dire ciò che pensi?

Me ne rendo conto, non temete. Me ne rendo conto appieno. Ma, qui, non è soltanto questione di destra o di sinistra. L’Italia è ormai divisa in due categorie, che precedono qualsiasi distinzione politica: da una parte stanno i disperati e quelli che hanno paura di diventarlo; dall’altra parte stanno i piccoli e grandi faccendieri, che lucrano rendite di posizione e pescano nel torbido.
Sono convinto anch’io che l’unica nostra speranza di uscirne sta a sinistra. Che lì ci sono le ricette, le sensibilità, le tradizioni per farcela. Dobbiamo uscirne a sinistra perché soltanto da quel bagaglio storico possono venir fuori e affermarsi i principi di cui abbiamo bisogno: giustizia, equità, solidarietà, condivisione, impegno, responsabilità, coscienza civile, senso della comunità e comunanza.
Ma, e questo “ma” è grosso come una casa, non possiamo più accontentarci di sentire parole, promesse, impegni troppe volte rimandati, rimestati, disattesi. Chi dice di essere di sinistra e di volerla rappresentare, non può più pensare che basti; deve prima dimostrarci di esserlo davvero, non a parole ma nei fatti.

Ha soltanto l’imbarazzo della scelta. Chi paga le tasse, da decenni lo fa sapendo di supplire a un’evasione criminale e impudente, che viene stimata alla stratosferica cifra di 180 miliardi l’anno. Chi lavora e fa affari onestamente, sa che deve subire la taglia esecrabile di chi corrompe o è corrotto, per una cifra stimata intorno ai 60-70 miliardi l’anno. Chi si arrabatta con meno di mille euro al mese, è costretto a sopportare i privilegi di caste che si assicurano redditi favolosi, 100 1000 2000 volte i suoi magri proventi. Chi ha bisogno di servizi indispensabili – sanità scuola trasporti – sa che sul loro costo grava una tassa pesante, imposta da gestioni che nulla hanno a che fare con la natura del servizio da rendere. Chi cerca lavoro, non va nemmeno più ai centri per l’impiego perché sa che non è il merito, e neppure il bisogno, a dettare le priorità, bensì la raccomandazione, l’assimilazione, l’integrazione in un gruppo di potere che possa fare la differenza.

Tutto ciò che ho elencato, e altro ancora, suona oggi, più di prima, come una beffa crudele agli orecchi dei tanti disperati e dei tanti che si aggrappano disperatamente ai loro magri risparmi, come un naufrago a un salvagente. Non ci potrà essere una ripresa economica, se non ci sarà prima una riscossa civile che contrasti veramente e duramente queste nefandezze.
Vi dichiarate di sinistra? Nessuno vi riconosce più niente a priori. Il rispetto dovrete conquistarvelo sul campo. Questa è l’ultima chiamata. Dalle macerie.