«C’è stato un problema di comunicazione. […] Il ministero dell’Economia è un mero esecutore. Aspettavamo istruzioni che non ci sono pervenute»
Fabrizio Saccomanni, ministro dell’Economia e delle Finanze
Lo dicevamo già in un Citazionista di qualche tempo fa: gira che ti rigira, la colpa è sempre della comunicazione. Mai del singolo, mai della struttura, mai dell’organizzazione. A nessuno viene in mente che la comunicazione passa attraverso un comunicatore, ossia qualcuno di raggiungibile e identificabile. Lasciamo stare, andiamo avanti.
Nella vicenda del prelievo dei soldi già percepiti dagli insegnanti in busta paga, l’aspetto più curioso e sconcertante sta nella definizione che il ministro ha dato del proprio ruolo e della propria persona: «Un mero esecutore». La storia, lo sappiamo, ha sempre annoverato uno stuolo di meri esecutori al servizio del potente di turno.
Un esempio su tutti. Come ha raccontato lucidamente Hannah Arendt nel suo splendido saggio “La banalità del male”, il gerarca nazista Adolf Eichmann, considerato uno dei maggiori responsabili operativi dello sterminio degli ebrei, alle accuse del tribunale di Gerusalemme rispondeva di avere semplicemente eseguito gli ordini, «come qualunque soldato avrebbe dovuto fare durante una guerra».
Certo, il mero Saccomanni non è minimamente paragonabile al mero Eichmann. Il primo ha fatto la figura del babacio, senza causare troppi disastri (almeno in questo caso). Il secondo ha contribuito allo sterminio di centinaia di migliaia di ebrei, con lo stesso aplomb di un impiegato del catasto. La differenza tra i due è netta e indiscutibile. Ma un po’ più di coraggio, ad un ministro della Repubblica, sarebbe lecito pretenderlo. Di «meri esecutori» ne abbiamo veramente piene le tasche.