Il teorema del Gasparotto, ovvero la strada sbarrata al fantastico italiano [Il Superstite 170]

arona-2di Danilo Arona

L’altro giorno mi fiondo in libreria per fare un regalo a una persona, più giovane di me, che ha gli stessi miei gusti. Entro e sono praticamente costretto a inciampare nel copioso e larghissimo banco delle novità, le tendenze, i filoni e i libri-panettone.
(Già, ci sono pure quelli, come i film e i dischi-panettone, ma ne riparleremo)

Le pile sono altissime come le possibilità di scelta. Anche perché in Italia, pur essendo nazione di provato analfabetismo culturale (il 54% della popolazione non legge neppure un libro all’anno), pare che escano 400 titoli al giorno! Sì, ci va il punto esclamativo.

A farla breve, nel ricco banco delle news e dei libri da classifica, dove ci starebbero pure prodotti che sembrano thriller e persino gothic (ma è un’apparenza che inganna), io proprio non riesco a trovare nulla di mio gradimento. Anche perché i libri, soprattutto da regalare, li scelgo con ponderatezza.
Allora cerco il settore della letteratura fantastica. Lo trovo. So dov’è. Praticamente solo King in ristampe economiche, nessun italiano (neppure io che sono amico del libraio) e molti di quelle robe post-Twilight che a me, un vecchio di 63 anni piuttosto esperto del settore, fanno male al colon.
Bofonchio una parolaccia e inizio a ravanare, spostando tomi. Perché forse, nascosto da qualche parte e dimenticato persino dai gestori, potrebbe giacere il volume che fa al caso mio.
Tombola! Anzi, meglio di così… Una copia – forse l’unica ordinata dai ragazzi – di 100 racconti – Autoantologia di Ray Bradbury, ovvero il meglio della produzione di “corti” del grandissimo scrittore americano morto pure lui da poco che abbraccia un arco di vita e di produzione dal 1943 al 1980.
Traduzioni preziosissime di nomi a me famigliari, da Laura Grimaldi a Giuseppe Lippi. Nessun dubbio. Me lo compro con gioia e me lo faccio incartare. Li conosco quasi tutti quei racconti perché li ho letti nell’arco di una vita parallela a quella di Ray. Sono “indefinibili” perché Ray ha cavalcato il fantastico nella sua accezione più pura, costruendo un melting pot fra fantascienza, horror, noir, poliziesco, etc, infondendo a ogni escursione un marchio di straordinaria e immediata riconoscibilità. Senza Ray non esisterebbe King. Senza Il popolo dell’autunno forse non avremmo mai letto It. Senza L’estate incantata neppure Stand by Me. Ma va da sé che le mie sono opinioni confutabili.

Consegno il regalo che viene aperto subito perché trattasi di compleanno e non di NataleJack alle porte. Gioia infinita della persona in questione che sa chi è Bradbury pur non avendolo mai letto (ma ha visto il film Fahrenheit 451) e che quindi si trova le mani un’occasione ghiotta e pesante per rimediare. Poi, come accade in occasioni del genere, subentra la dispersione festaiola e io mi riprendo il libro fra le mani, leggo titoli come Il Veldt, Il piccolo assassino, Gioco d’ottobre e altri, e mi becca un po’ di nostalgia. Nostalgia per quei brividi che solo gente come lui e Matheson, altro maestro della narrativa breve di genere, sapevano suscitare.

Lascio l’amica e mentre torno al lavoro la maliziosa, silenziosa domanda mi coglie cammin facendo: ma se oggi Ray Bradbury, scrittore “dichiarato” di letteratura fantastica, vivesse in Italia, magari a Lumezzane in provincia di Brescia, e si chiamasse Giacinto Gasparotto, e avesse la bella idea di presentarsi con Il Veldt, Gioco d’ottobre o Il popolo dell’autunno a quell’editoria che impazza nel copioso e larghissimo banco delle novità di cui sopra?

Gli riderebbero in faccia, sostenendo che gli italiani che producono fantastico magari un po’ incline all’horror non tirano, non vendono e, insomma, meglio che scrivano d’altro, o proprio non scrivano? E’ una possibilità, però dite la vostra, se ce l’avete
E, alla fine della fiera, parlo di me? Ma figuratevi, io non mi chiamo Giacinto.
(Ah, intanto, buon Natale…)

Jack