Commercio: è davvero crollo, o trasformazione? [Controvento]

Outlet-folla_okdi Ettore Grassano

Durissimo l’attacco che ieri Confesercenti ha lanciato, per voce del suo presidente provinciale Sergio Guglielmero, all’Outlet di Serravalle, individuato come prima causa del declino (ieri) e crollo (oggi, e forse ancor più domani: sempre ‘toccando ferro’ s’intende) del commercio tradizionale, non solo nel distretto di Novi, ma nell’intera provincia.

E sul banco degli inputati Confesercenti colloca a ben guardare, ancor più che la proprietà e la dirigenza della ‘città dello shopping’, la classe politica, regionale e territoriale, che ha consentito che si arrivasse a questo punto.

Il comparto del commercio in provincia, dice sempre Guglielmero di Confesercenti, ha perso in 5 anni qualcosa come 12 mila addetti. Un esercito lavoratori di cui, in effetti, non si parla mai o pochissimo: comunque fanno meno notizia del taglio dei buoni pasto o delle quattordicesime del pubblico impiego, tanto per fare arrabbiare qualcuno.

Orbene, il tema è drammatico, e giusto ieri un amico che opera nel settore ci tracciava un (informale e non pubblicabile, perché ad oggi privo di riscontri) elenco di marchi storici  alessandrini che sarebbero prossimi a ‘tirar giù la claire’ a fine anno, o poco oltre. E non solo sul fronte dell’abbigliamento, sia chiaro.

Allora, ci sono forse due o tre punti essenziali da chiarire, pur senza voler cucinare un minestrone insipido, e senza pretendere di avere soluzioni in tasca, ma solo dubbi e volontà di capire:

1) certamente le associazioni di categoria fanno bene ad alzare i toni, essendo la situazione drammatica. Ma al tempo stesso dovrebbero anche (non solo Confesercenti, tutte quante) probabilmente riconoscere di aver commesso, nel tempo, una serie di errori, se non altro in termini di sottovalutazione di certe questioni, evidenti non da ora. E, se ancora adesso c’è chi chiede al tal o tal altro partito di ‘pierini’ anti sistema: “ma perché non fate qualcosa voi?”, anzichè esporsi in prima persona per ragioni relazionali, embhé qualcosa da rivedere certamente c’è, in certi rapporti un po’ ‘incrostati’. Non si può, insomma, sperare che siano altri a tirar fuori le castagne dal fuoco per noi: specialmente di questi tempi.

2) la politica che fa? D’accordo, la crisi che stiamo vivendo è senza precedenti, e la bacchetta magica non ce l’ha nessuno. Ma siamo certi che non esistano strumenti e iniziative che, anche a livello provinciale e comunale, gli amministratori locali possono provare ad attivare per aiutare il commercio a rialzare la testa? E’ di poche settimane fa la promessa, da parte del sindaco di Alessandria Rita Rossa, di una ‘tre giorni’ proprio su questi temi: attendiamo sviluppi concreti.

3) Infine un dato che non possiamo far finta di non vedere. C’è la crisi, d’accordo. Però i consumatori che frequentano in maniera sempre più occasionale i negozi del centro di Novi (o di Alessandria, o di Tortona o Casale), portandoli alla chiusura, prendono letteralmente d’assalto non un singolo Outlet, ma gli Outlet e la grande distribuzione (che pure è cresciuta tanto da essere oggi arrivata alla fase di auto-cannibalizzazione).

Oppure, altro esempio magari più marginale ma egualmente significativo, i cinema tradizionali stanno scomparendo (con nicchie di assoluta qualità: ricordiamo il Macallé di Castelceriolo. Ma sono nicchie, appunto), mentre le multisale nei week end straripano.

Allora: chi scrive ha comprato una giacca all’Outlet in 12 anni, e va alla multisala, quando ci va, ‘obtorto collo’ e per ragioni amicali, turandosi il naso. Fosse per noi insomma, 10 100 1000 Macallé, e negozi di abbigliamento solo in centro. Epperò che si fa con il libero mercato? Se le persone che oggi hanno dai 50 anni in giù sono state educate (attraverso la tv, essenzialmente) ad un certo format di consumo ed intrattenimento, e (liberamente condizionati) scelgono quelli che i sociologi un tempo chiamavano ‘non luoghi’ per vivere la loro dimensione di consumatori, ma anche semplicemente per la passeggiata o il tempo libero, si può imporre loro un cambio dei costumi in maniera ‘forzosa’, per legge?

Tema vasto e interessante, ne converrete. Anche se, certamente, chi ha una bottega a rischio chiusura temiamo abbia poca voglia e possibilità di aprire un dibattito culturale, e si aspetti risposte concrete. Ma da chi?