“Non ho gli elementi per dire se Rita Rossa e la sua giunta riusciranno a riequilibrare il bilancio, e cosa succederà dopo metà ottobre. Vedremo. Quel che rilevo però è che continua a non esserci un progetto per Alessandria, o se c’è non traspare, lo tengono nel cassetto. E questo è grave”. Felice Borgoglio non ha bisogno di presentazioni, e già nei mesi scorsi si pronunciò, in maniera non tenera, sulla situazione alessandrina, e sulle responsabilità del centro sinistra.
Oggi, alla luce di una situazione sempre più critica, e con la maggioranza che sostiene Rita Rossa sottoposta ad un ‘fuoco amico’ di non trascurabile portata (dalla Cgil al settimanale L’Espresso lo storico sindaco socialista degli anni Settanta (e poi a lungo deputato Psi, area lombardiana) torna a farsi sentire, e a proporre alcune idee cardine attorno a cui lavorare per dare un futuro ad Alessandria, e alle generazioni più giovani. Segnalando al contempo il fatto che il declino del territorio (ma anche del Paese) è coinciso con il venir meno “delle realtà collettive di confronto ed elaborazione di idee, in primis i partiti: dov’è il Pd ad Alessandria? Cosa sta facendo?”. L’analisi di Felice Borgoglio, ancora una volta, è destinata a fare discutere.
Onorevole Borgoglio, cosa succederà a metà ottobre a Palazzo Rosso? Il centro sinistra arriverà al riequilibrio di bilancio, o chiederà a Roma altre proroghe, dilazioni ed eccezioni?
Non ne ho idea, lo scopriremo a breve. Ma grave mi pare il fatto che, un anno e mezzo fa, il centro sinistra alessandrino, e il sindaco Rossa, si siano rifiutati di parlare non solo ai loro elettori, ma a tutti gli alessandrini, con il linguaggio della verità. Che è l’unico che poteva salvarci. Ora è durissima, vada come vada.
Cosa intende?
Intendo dire che, l’anno scorso, il nuovo sindaco avrebbe dovuto chiarire ai cittadini che il ‘sistema Comune’ non era in grado di reggere, perché il costo dei servizi (peraltro talora di modesta qualità) si era fatto insostenibile. E che quindi vie d’uscita semplici non ce n’erano. L’unica alternativa ai licenziamenti (da evitare, allora come oggi, perché stiamo parlando di famiglie che vivono di quello, non scherziamo) era una riduzione solidale di orario di lavoro e retribuzioni. Naturalmente concordando il tutto con le parti sociali. Non dico che qualcuno avrebbe fatto i salti di gioia: ma alla fine tutti avrebbero capito, e oggi saremmo già qualche passo avanti verso l’uscita dell’emergenza…..
Invece cosa è successo?
Quel che sappiamo: un immobilismo paralizzante, in cui la politica è mancata completamente, e non ha saputo indicare una strada, disegnare un percorso. In tempi non sospetti noi socialisti abbiamo detto che un’azienda può fallire, una città no. Perché il suo fallimento ricadrebbe sulle spalle di tutti i suoi azionisti, che sono i cittadini. Però per non fallire bisogna mettere in campo un progetto: non basta stare fermi, ad aspettare il miracolo.
Lei fu tra i grandi artefici, negli anni Settanta, del sistema delle partecipate. Oggi è anche quello il problema?
Le aziende pubbliche comunali, quando dal 1970 furono costituite, partendo da privatizzazioni, furono uno straordinario strumento di crescita per la città, e portarono alla cittadinanza una serie di servizi prima inesistenti, e oggi giustamente ritenuti essenziali. Che poi nel tempo qualcosa si sia inceppato, e che più di una realtà abbia perso competitività, creando uno squilibrio tra costi dei servizi erogati e loro qualità, è evidente. Ma, anche qui, ci sono precise responsabilità della politica: e anche in questo ultimo anno e mezzo poco e niente e stato fatto, e le varie partecipate (in particolare Atm e Amiu) sono state abbandonate al loro destino, anziché ragionare su come metterle in sicurezza, e modernizzarle. Per i rifiuti, ad esempio, ci si sta orientando su un unico soggetto per la gestione di tutta la filiera, dalla raccolta allo smaltimento. Ma sono stati ben analizzati i rischi connessi con lo smaltimento, e la necessità di controlli serrati e di qualità, in un comparto tanto delicato? Temo di no…..
Però, onorevole, quando si parla di assunzioni non indispensabili (e talora anche clientelari) in Comune e nelle partecipate, c’è sempre chi ricorda che era così anche prima, e che i socialisti negli anni Settanta e Ottanta non facevano nulla di diverso….
Alt: era il contesto ad essere del tutto diverso. Il Paese e il territorio crescevano, e c’era bisogno anche di sviluppare, in parallelo, servizi pubblici adeguati. Se poi vuole parlare di assunzioni ‘pilotate’: non nego certo che ci fossero anche un tempo, e sottolineo però che erano sempre finalizzate o ad aiutare chi aveva necessità vera, o ad individuare i migliori, per un certo ruolo.
E così credo dovrebbe essere, Il dirigente, o l’amministratore di turno ci mettano la faccia e dicano: ‘in quel posto inserisco chi secondo me è più adeguato, e ne rispondo’. In realtà la realtà alessandrina come la conosciamo oggi iniziò a maturare negli anni Novanta, a partire dal secondo mandato del sindaco Calvo, per poi proseguire con Scagni e con Fabbio. Si è cioè creduto che le assunzioni negli enti locali potessero in qualche modo sopperire al declino economico del territorio: non dò un giudizio morale, ma constato che, per una serie di fattori, i nodi oggi sono venuti al pettine. Purtroppo per lei Rita Rossa, essendo oggi il sindaco, rischia anche di essere il catalizzatore di tutte le responsabilità del passato.
Ma non siamo alla fine del mondo, onorevole Borgoglio. Quale strada deve imboccare Alessandria, per rimettersi in cammino?
Ce n’è una sola, ed è una chiamata diretta alla cittadinanza, un suo coinvolgimento vero. Da quanti anni abbiamo ormai smesso di essere una comunità, e di partecipare ai processi di decisione collettiva? Torno alla responsabilità dei partiti, e in particolare dell’unico grande partito organizzato rimasto nel Paese, il Partito Democratico. Qualcuno sa dirmi cosa fanno, cosa elaborano, cosa propongono e a chi, per Alessandria?
Il Psi nell’ultimo anno ha organizzato iniziative e incontri, anche con big nazionali. Ma concretamente lei cosa farebbe, quali carte giocherebbe per uscire dalla palude?
Partiamo da un dato: se non si rivitalizza il centro cittadino, l’identità di Alessandria non si ricostituisce. E’ giustissimo pensare ai lavoratori comunali e delle partecipate, ma Alessandria non è solo loro: c’è tutta una città attorno, una comunità che rischia di spegnersi, costringendo i giovani all’emigrazione di massa. Oggi se passeggi in corso Roma, o in piazzetta della Lega, hai un’impressione di ghiaccio: serve davvero nuovo calore, vita, entusiasmo.
E, per essere concreti, indico anche due strutture su cui puntare: ex ospedale militare, e ex caserma Valfrè.
Per farci cosa?
L’ex ospedale militare potrebbe essere la sede ideale per realizzare un grande centro di formazione professionale, ma vero, capace di rilanciare tanti mestieri che oggi sembrano persi, e che invece sono l’ossatura di una comunità. Ci sono bandi, nazionali ed europei, che finanziano la riqualificazione professionale, anche pensando ai lavoratori che perdono la loro occupazione in età non più di facilissima collocazione. E mi pare che ad Alessandria manchi, da questo punto di vista, un centro di vera innovazione, all’avanguardia. La Valfrè, invece, è una straordinaria risorsa nel cuore della città: io ne farei il centro pulsante di tutti gli eventi, le iniziative, le manifestazioni. Ma non penso solo a quelle esistenti: Alessandria ha le carte in regola, dal punto di vista geografico, per diventare punto di riferimento anche per progetti di portata nazionale. Perché una manifestazione come Vinitaly a Verona è decollata, e noi, con la filiera enogastronomica che ci ritroviamo a livello provinciale e di territori limitrofi, non riusciamo a creare niente di altrettanto qualitativo e valorizzato? E ancora: certe fiere tematiche perché non dovrebbero poter essere organizzate in una Valfrè completamente rinnovata, anziché a Rho-Fiera Milano?
Però con questa finalità non è già stata realizzata la struttura Expo Piemonte a Valenza?
Sì, una scelta assurda però: una cattedrale nel deserto, in un luogo lontano dalle autostrade, e senza alberghi e strutture ricettive. E si vede come sta andando…..
Attorno alla Valfrè ci sono anche progetti per la realizzazione del campus universitario, estendendo l’area a partire dall’attuale Palazzo Borsalino….
L’Università di Alessandria è un bene prezioso, da far crescere assolutamente, e su cui investire. Se penso ad un campus universitario, però, a me viene subito in mente la Cittadella. Certo, anche lì c’è da lavorare parecchio: ma se si mettono a punto progetti solidi, partner e risorse poi si trovano, anche in periodi certamente difficili come quello di oggi. Ma ci vuole un’idea complessiva di sviluppo per la città e il territorio, che oggi manca completamente.
Lei parla di nuova partecipazione della cittadinanza alla vita pubblica: non è quello che, in fondo, sta cercando di fare il Movimento 5 Stelle?
Ma infatti io non sono un loro denigratore, anzi li ritengo un elemento di innovazione del sistema. Grillo e Casaleggio stanno facendo un servizio alla democrazia, perché riportano all’impegno politico una vasta cittadinanza, e al contempo canalizzano dentro le istituzioni un malcontento diffuso che potrebbe anche prendere altre strade, assai più dirompenti. Il limite di Grillo, e non è un limite da poco, è però il non avere un vero progetto di società: e per sfondare il muro del consenso utilizza un linguaggio efficace nel breve, ma che crea ulteriore malessere. La politica ha avversari, ma mai nemici. Spero che questo i 5 Stelle lo capiscano in tempo.
Come vede lo scenario nazionale? Il governo Letta reggerà fino al 2015, o addirittura per tutta la legislatura?
Molto dipenderà dal congresso del Pd. Se vincesse Renzi, non credo che potrebbe permettersi di aspettare fino al 2015. Anche se, naturalmente, Letta si giocherà la carta del semestre europeo, che potrebbe dargli ulteriore forza. Se il Pd, unica forza politica italiana oggi davvero organizzata, riesce a fare il salto di qualità, e a diventare forza europea, uscendo dalla dimensione localistica nazionale, ne beneficerà come partito, ma soprattutto ne trarrà vantaggio l’Italia.
Ettore Grassano