Marcello Milanese: pane e blues!

Milanese MarcelloMarcello Milanese, nato sulla destra del Tanaro probabilmente solo perché negli ospedali del Mississippi quell’estate del ’73 non c’era più posto”. Così il giornalista musicale Fabio Polvani ha definito l’artista alessandrino, e come dargli torto? Suona e si occupa di blues da più di vent’anni, basta fare una ricerca sul web e tantissime sono le notizie che si possono reperire su di lui e sulla sua musica. Milanese ha all’attivo già diversi dischi, molti concerti e tour in Italia e all’estero. Un curriculum professionale, il suo, degno di un musicista ‘consumato’, nonostante si possa considerare ancora un ‘giovane’… Nel 1996, a soli sedici anni, scrive ed esegue le musiche di uno spettacolo teatrale sulla storia del Blues presentato al Macalle’ Blues Festival in provincia di Alessandria: insomma già da ragazzino mangia pane e blues!
E allora cerchiamo di approfondire con lui alcuni aspetti della sua vita artistica.

Marcello, il tuo approccio alla musica è stato subito con il blues?
Si, ho iniziato ad interessarmi di musica fin da piccolo, con i classici vinili passati dai vicini di casa … all’epoca andavano tantissimo i Led Zeppelin e gli AC/DC. Era il periodo dei metallari e dei dark che ora non ci sono più, anzi no per fortuna i metallari ci sono ancora. Ovviamente c’erano alcuni pezzi che mi piacevano più di altri, e, ammirando  quelle copertine, ho iniziato a chiedermi che genere di musica fosse per cercare di coltivare la mia curiosità. Nel caso dei Led Zeppelin, ad esempio, si trattava di cover degli anni quaranta/cinquanta ed erano i brani più blues, appunto.
Andavo a scuola lontano da casa e conobbi un amico (Stefano Bologna di Torino, cheMilanese cover purtroppo non c’è più) che mi insegnò a suonare i primi accordi e tanto altro. Fu lui che mi disse che cantando e basta non avrei sempre potuto trovare qualcuno che mi accompagnasse e che quindi mi sarei dovuto arrangiare da solo. Quindi vista la passione che ci accomunava, mi insegnò a suonare, anziché i quattro accordi del giro di do, i tre del giro di blues.
Da lì in poi sono andato avanti a sperimentare, a comprare libri sull’argomento e sfortunatamente a coltivare la passione da solo, perché non c’era molta gente che fosse particolarmente interessata. Adesso grazie all’esistenza di internet c’è un po’ di cultura musicale in più, anche se resta sempre elitaria.

Cos’è il blues per te, cosa rappresenta?
Di solito quando mi fanno questa domanda rispondo: è l’alfabeto della musica di cui mi sono innamorato, il linguaggio che uso per raccontare le mie emozioni. È un veicolo, un mezzo…

Come mai non un altro genere?
Posso farti un esempio semplicissimo, è come voler costruire una casa su una valle o su una montagna: se costruisci su una base troppo complicata, l’architettura dovrà tener conto della conformazione della montagna, del terreno. Ecco il blues è una parte piana e tu puoi costruirci sopra ciò che preferisci, ed è per questo che il blues negli 100 anni di storia è stato il catalizzatore e ha influenzato tutta la musica contemporanea. E poi semplicemente mi emoziona.

Milanese liveQuali sono state le tue esperienze musicali?
Andando avanti ho fatto un sacco di cose, perché nonostante il mio linguaggio fosse così antico ho continuato e continuo a sperimentare e i miei dischi sono uno diverso dall’altro perché mi piace pensare di fare delle ricerche. Ho suonato in Europa con diverse formazioni e ho fatto diversi dischi, cercando di venderli dove qualcuno potesse comprarli.

Sei stato anche in America, vero?
Era ancora in voga Myspace [n.d.r. comunità virtuale dove poter condividere musica, video, ecc.] e grazie a questo mi invitarono al Deep Blues Festival, con l’esperimento che avevo all’epoca in duo chitarra e batteria. Il disco, uscito per un’etichetta di Chicago, “Used” era il mio quarto lavoro.
Grazie al tour manager attaccammo altre date e poi un secondo tour americano: bello!

Avendo avuto modo di suonare all’estero e conoscere altre realtà, cosa pensi di Alessandria?
Vedo e penso ad un futuro musicale solo altrove. Un mio caro amico/collega disse, anni fa: il posto dove siamo nati è una dura palestra e, con il nostro allenamento, quando andiamo lontani da casa troviamo tutto più facile: in realtà si riferiva alle ragazze, ma secondo me per la musica vale la stessa cosa. I musicisti alessandrini hanno la fortuna di avere un pubblico difficile ed esigente. Detto questo, però, voler diventare famosi in Alessandria è un’ambizione piuttosto stupida, perché abbiamo un pianeta intero dove portare la nostra musica, mi sembra auto-limitativo cercare di essere più famosi del vicino di casa: lascia il tempo che trova.
 
Attualmente hai in cantiere progetti musicali?
Dopo il secondo disco da ‘One man band’ (chitarra, voce) che si intitola “Goodnight to theMilanese band bucket” (spiegare ai miei amici americani cosa noi intendiamo per buona notte al secchio non è stato facile) – quello prima si intitolava “Like a wolf in a chicken shack” (come un lupo nel pollaio) e non tutti l’hanno capito, perché quando un quando un pollo esce dal pollaio, il lupo se lo mangia ma quando il lupo si trova nel pollaio circondato da polli è il lupo, secondo me, che deve avere paura: i musicisti spesso si sentono così – ho pensato che per affrontare la crisi bisogna alzare la posta e quindi torno a suonare in elettrico in trio e registreremo un live a settembre con la formazione “Marcello Milanese e Mexican standoff”.
Tu sai cos’è mexican standoff? È un modo di dire che si usa nel cinema, tratto dai film di Sergio Leone o Quentin Tarantino, quando sono in tre che si puntano le pistole e nessuno può fare una mossa perché altrimenti muoiono tutti. Tutti sono sotto tiro, la traduzione in italiano è ‘lo stallo alla messicana’. Questa tensione, in senso positivo, è ciò che si deve creare all’interno di una band per fare la musica migliore che si può.

Visto che parli di pistole, mi racconti degli spari di qualche settmana fa?
Siamo molto felici per aver vinto l’oro ai campionati europei tedeschi, ancor più felici che la campionessa Chiara Cainero sia incinta di cinque mesi: questa è l’Italia che ci piace!

Ma dai, non prendermi in giro! Mi riferivo alla sparatoria di Novi, tra l’altroMilanese Marcello 1 Stefano Resca è un musicista con cui hai lavorato.
Si, ho suonato sia con lui e ho anche registrato nel suo studio. A definirla sparatoria, però, sono stati i giornalisti per amplificate, giustamente, l’accaduto. Anche se i fucili ad aria compressa di libera vendita sono comunque delle armi e come tali devono essere trattati. La gravità di ciò che è successo secondo me, nonostante non si conosca il movente di questo tiro al bersaglio sui musicisti, sta nell’insofferenza, nel nervosismo, nell’odio gratuito che la gente ha istintivamente per quello che si vede attorno. Capita che sconosciuti che attacchino briga per una battuta o perché non hai soddisfatto la richiesta di una canzone o, addirittura, chiamano immediatamente le forze dell’ordine appena c’è un po’ di ‘rumore’ – anche se rumore non è – … è solo un brutto segno di ciò che ci accade attorno.

Non sei solo musicista, ti occupi anche di organizzare eventi musicali..
Ho la fortuna di lavorare per un noto locale alessandrino, il Mag Mell. Dal 2010 siamo diventati ‘acoustic club’ e lì ho avuto la fortuna di poter ospitare piccole formazioni, anche da molto lontano, da tutta Italia e dall’estero. Grazie a questa esperienza ho capito che c’è una buona parte della città che ha voglia e sete di musica, di musica diversa dal solito: blues, country, roots (entrambi i generi), swing.

Vuoi fare il nome di qualche gruppo?
Sono troppi sarebbe una lista lunghissima.

Oltre a questo, dipingi o disegni?
Disegno e costruisco Cigar box che sono chitarre con una, due, tre o quattro corde alOLYMPUS DIGITAL CAMERA massimo, rifacendomi alla tradizione rurale americana degli anni venti e trenta. Cigar box perché per farle si utilizzavano scatole di sigari alle quali veniva applicato un manico di scopa e le corde

Mentre i disegni?
Sono un appassionato di bianco e nero …

I soggetti?
Di tutto. Guarda se mi chiedi di musica posso parlare delle ore, mentre sui miei disegni ti rispondo che è già tutto lì sopra.

Allora visto che non ti piace parlare dei tuoi disegni, raccontaci del tuo prossimo tour.
Il disegno è solo un hobby. Tornando al tour, come ti dicevo prima cerco sempre di suonare il più lontano possibile da casa. Quindi stiamo pianificando, per la presentazione del nuovo lavoro, un tour nel sud Italia e un altro che colleghi Veneto, Svizzera e Germania previsti per nei primi tre/quattro mesi del prossimo anno.
Non è facile, perché i soldi mancano a tutti…non è che mancano solo qui in Alessandria. In tutta Italia i comuni hanno tirato i remi in barca per le sponsorizzazioni culturali. Molti festival o non si sono fatti o hanno dovuto ridurre in maniera estrema il loro budget. L’unica speranza che si ha in questo preciso momento è che passi l’emendamento che permette ai locali sotto i duecento posti di poter fare concerti senza dover chiedere e pagare permessi. Come hanno fatto in Inghilterra.

Come dici tu, la situazione è critica ovunque, ma come vedi quella alessandrina in particolare?
Parlando con miei colleghi da tutta Italia, quando vengono ospiti nelle serate che organizzo, mi dicono che questa è un’isola felice.

In che senso?
Un posto in cui la gente va ad ascoltare musica, dove c’è rispetto per la musica e dove è apprezzato il lavoro di tanti artisti diversi, dalle loro parti le cose non vanno bene. Come pubblico e ospitalità intendo.

Mi riferivo alle opportunità per voi artisti …
Chi ha il potere di fare le cose non le fa, anche se potrebbe farle gratis, aiutando così giovani artisti a fare la gavetta che meritano. Basterebbe rivolgersi alle scuole e alle sale prove di Alessandria e dare loro l’opportunità di esibirsi.
Ma se anche tutto ciò fosse reso possibile, poi ci sarebbero quelli che – sono convinto si tratti di  una minor parte della popolazione di questa città – si lamenterebbero per il “baccano” ….

Enrichetta Duse