Vino alessandrino: in ordine sparso verso il naufragio?

Pansecchi AlbertoIl mondo del vino alessandrino arranca. Scarsa visione imprenditoriale, piccole invidie, nessuna capacità di “fare rete” e di “vendersi”, come distretto e come territorio. E poi una mano pubblica che ha quasi sempre portato più danni che benefici, gestendo le risorse (quando c’erano) con scarsa lungimiranza, e qualcuno sostiene anche peggio. E in ogni caso, ora che le risorse davvero scarseggiano, men che meno dalle istituzioni arriva uno straccio di idea, di coordinamento, di progetto. Alberto Pansecchi è l’agronomo che, per Coldiretti Alessandria, segue in maniera diretta gli agricoltori. E anche se tende a ridimensionarsi (“sono solo un tecnico, uno che sta sul campo, anzi nelle vigne”), in realtà è fra coloro che più ne sanno del settore: perché incontra tanti addetti ai lavori, sa quali sono i loro problemi, e spesso per lavoro si sposta in altri territori (uno su tutti: le Langhe), rispetto ai quali il confronto è impietoso. “Purtroppo – spiega – rispetto ad un anno fa la situazione, certo anche per l’inasprirsi della crisi generale, è ulteriormente peggiorata. Nel senso che è vero che il 2012 è stata ottima annata, e che il prezzo dell’uva è leggermente salito: ma la quantità del prodotto è calata, per cui in tasca ai produttori sono entrati ancora meno quattrini”.

 

Il mercato estero, Eldorado “inarrivabile”

Al di là di questo, è proprio la strategia, la visione d’insieme che sembra mancare: oggi inVigneto 1 provincia di Alessandria ci sono circa 11.700 ettari di terreno coltivati a vigna (erano 12.800 fino a qualche anno addietro, e addirittura 180 mila un secolo fa, sia pur considerando che all’epoca la provincia comprendeva anche Asti), e la dimensione media delle aziende si aggira intorno ai 2 ettari. “Il che significa – sottolinea Pansecchi – che esiste in effetti una forte frammentazione: chiariamo, non è che questo sia per forza un male. La piccola proprietà diffusa è nel dna dell’agricoltura piemontese, e questo è sempre stato un valore. Il punto è però riuscire a fare rete, dal basso: smettendo di considerare il vicino un rivale, un concorrente. Perché davvero o ce la fa il distretto, nel suo insieme, o è la fine per tutti”. E invece lo si vede anche in occasioni anche importanti, come il recente Vinitaly, quanto l’alessandrino sia territorio debole e frammentato: la Provincia non c’era, per dichiarata mancanza di risorse, e alcuni singoli produttori si sono presentati, ma in ordine sparso. “E’ chiaro che così non si va da nessuna parte – commenta il tecnico Coldiretti – e che l’approccio a mercati che non siano quello locale (ormai ampiamente insufficiente ad assorbire la produzione vitivinicola, anche se il consumo di vino procapite in Italia si aggira ancora intorno ai 40 litri annui a persona) è proibitivo, se manca un gioco di squadra: è una partita davvero difficile, soprattutto sui mercati esteri. E ad oggi anche coloro che ci provano si affidano soltanto alle proprie forze, che però spesso non bastano. Quando posso partecipo alle fiere internazionali del settore, come quella di Dusseldorf: e lì si capisce che, come Paese, abbia serie difficoltà, e che come provincia di Alessandria praticamente non esistiamo”.

 

Vigneto 2Quando l’alessandrino faceva “scuola”

Eppure, anche se ormai da qualche decennio l’alessandrino ha smesso di essere un punto di riferimento nazionale sul fronte della ricerca e dell’innovazione enologica, i vini di casa nostra reggono spesso il confronto qualitativo con marchi più blasonati e pubblicizzati. “Senza fare paragoni – ribadisce Pansecchi -, senz’altro è vero che certi nostri vini ‘caratterizzanti’, come barbera  e dolcetto, sono assolutamente sottostimati, perché mal commercializzati. Un discorso un po’ a parte merita forse il gavi, mentre abbiamo poi alcuni altri prodotti di nicchia, come grignolino, timorasso e alcuni freisa, che sono di ottimo livello, ma faticano ad emergere. Credo sia essenzialmente un problema di incapacità di pensare al territorio, anziché alla singola azienda o cantina sociale (in provincia ne abbiamo 16, decisamente troppe). Eppure non c’è nulla da inventare: basterebbe copiare il modello di altri distretti più bravi di noi, come le Langhe, appunto”. Su cui Pansecchi ha un punto di vista particolare: “il paesaggio delle colline albesi e cuneesi è brutto: sicuramente quei territori rappresentano il trionfo del lavoro dell’uomo, della sua ostinazione nel plasmare  la natura. Ma vedere distese di chilometri e chilometri di vigneto tutto regolare, tutto uguale a se stesso può piacere forse ai tedeschi, e a nessun altro. Intendo dire con questo che da noi esiste una biodiversità vera, che dovremmo imparare a valorizzare, e a ‘vendere’ come elemento positivo, come diversificazione. Certo, badando a non farla diventare abbandono, per cui è fondamentale che ogni privato, piccolo o grande che sia, provveda alla manutenzione della propria porzione di territorio. Al tempo stesso però presentando come una positività importante la diversità naturale che circonda la sua proprietà”.

 

I nuovi viticoltori: sono loro la speranza?

Ma chi sceglie, oggi, di dedicarsi al mestiere di viticoltore, e produttore di vino? E’ in attoVigneto 4 anche qui, come in altri comparti agricoli specialistici (la produzione di frutta e verdura nel tortonese, ad esempio), un ricambio generazionale, con l’ingresso nel settore di nuove forze, energie e progetti? “Per fortuna sì – conferma Pansecchi -, e questo è un dato davvero positivo. Constatiamo ogni anno l’ingresso, nel settore, di nuovi coltivatori, non necessariamente figli d’arte, diciamo così. Anzi, cresce il numero di coloro che arrivano dalle città, magari avendo sul nostro territorio comunque un po’ delle loro radici: qualche nonno alessandrino ad esempio, ed agricoltore di un tempo. Ma a volte sono invece persone che cominciano davvero da zero, come scelta di vita. Ed è quasi meglio, mi creda. Perché è vero che da un lato possono peccare di inesperienza: e sta anche a noi tecnici e organizzazioni agricoli cercare di supportarli concretamente. In compenso però chi comincia da zero ha davvero tanto entusiasmo e voglia di fare: e soprattutto parte senza incrostazioni, senza preconcetti. Diciamocelo: considerato come il settore è andato via via decadendo e riducendosi, anche per precise responsabilità di tanti suoi “addetti” tra i più anziani, una ventata di gioventù e cambiamento non può che far bene a tutti!”.

Ettore Grassano