Le statistiche dicono che, fra i 72 europarlamentari italiani, Oreste Rossi è da sempre al top per presenze e attività. Oltre ad essere l’unico rappresentante della nostra provincia. Intercettarlo sul territorio non è facile (“solo stamattina questo è il terzo incontro: arrivo da Casale dove mi sto occupando del distretto del freddo, e fra tre ore ho l’aereo in decollo”), ma Tino, come in tanti lo chiamano ad Alessandria, non si sottrae al confronto, e sa che anche raccontare con trasparenza la propria attività rientra fra i suoi compiti. Incontrarlo è l’occasione per capire com’è l’Italia, oggi, vista dall’Europa. E soprattutto per fare il punto su quello che chi ci rappresenta al Parlamento Europeo può fare, concretamente, per dare un futuro ad un territorio alle prese con emergenze di ogni tipo.
On. Rossi, ci faccia capire come ci vedono oggi in Europa: se non i popoli, quanto meno i loro eurorappresentanti…
C’è vero sconcerto, e incredulità. Mi chiedono, mi interrogano: non capiscono come sia possibile che gli italiani abbiano votato in tanti per Berlusconi, nonostante tutto. Ma anche per Grillo. Basta guardare, d’altra parte, anche le copertine e le prime pagine dei giornali tedeschi, o francesi, per rendersene conto. Dopo di che, naturalmente, il popolo è sovrano, e ha sempre ragione. Anche se….
Anche se cosa?
Io sono assolutamente convinto che in Italia debba nascere qualcosa di nuovo, e significativo. Un soggetto politico davvero propositivo e responsabile, che vada oltre lo scenario attuale, assolutamente inaffidabile. Lega compresa, e lo dico con tutta l’amarezza di chi ha contribuito a fondarla, e l’ha molto amata. Il punto è che la nostra non è più democrazia, ma partitocrazia, e tutto quanto è successo in questi ultimi mesi, comprese le trattative di questi giorni tra Bersani e Berlusconi, lo conferma. Io ero contrario al governo Monti: ci volevano sì dei tecnici, ma con una loro connotazione politica forte e chiara, senza ipocrisie. I politici dovevano esprimere, a fine 2011, i loro tecnici, con il compito di attuare rapide riforme, istituzionali ed economiche, senza le quali l’Italia è al palo. E siamo ancora a quel punto là, un anno e mezzo dopo. Assurdo.
In Europa si fa politica con maggior concretezza?
Sicuramente sì. Ci sono problemi concreti da affrontare e risolvere, ci si confronta, e scontra, sulle soluzioni, ma poi si procede. Non che io sia entusiasta di questa Unione Europea: faccio parte del Gruppo ELD (Europa delle Libertà e della Democrazia), e predico da sempre un’Europa diversa, dei popoli e non delle banche, come oggi. Ma le pare possibile che la Banca Centrale Europea presti alle banche fiumi di denaro al tasso dello 0,75%, e gli istituti di credito li propongano alle imprese al tasso del 6-7%? Io dico: la Bce presti quei soldi direttamente alle imprese, al tasso dell’1%, e l’enonomia ripartirà immediatamente.
L’Italia, con la Grecia e alcuni altri, è certamente un vaso di coccio. Ma che fare? Uscire dall’Unione avrebbe un senso?
Sarebbe un suicidio, in questo momento. La strada per noi è restare in Europa, e batterci per cambiarla radicalmente. Con molta concretezza: se creassimo un mercato unico dell’energia, le imprese italiane non dovrebbero più comprare l’energia al 130% in più che in Francia, o all’80% in più che in Germania. O addirittura al 400% in più che negli Stati Uniti, per guardare anche al resto del mondo. Che è poi la ragione principale per cui le nostre aziende chiudono, e le multinazionali abbandonano l’Italia. Nel bilancio di Alcoa, per dire, la voce energia pesa per il 30%. Basta poco per fare due conti, e capire perché scappano dall’Italia.
Poi ci sono le grandi spese, e i grandi sprechi, “di rappresentanza”, su cui lei insiste spesso..
E vorrei vedere: sono cifre enormi, spaventose. L’Italia ha 26 ambasciate in Europa, e così tutti gli altri stati membri. E l’Unione Europea ha 28 ambasciate negli Stati Uniti (perché abbiamo pure creato quella unitaria, senza eliminare le altre 27), o 28 rappresentanti, con posizioni diverse, quando ci si incontra per grandi conferenze plenarie, come quella sul clima. Uno scenario imbarazzante. Per non dire delle spese militari: 600 miliardi di euro l’anno, e 7 milioni di soldati. Gli Stati Uniti, per fare un raffronto, ne hanno un milione e mezzo. Consideri che, con un esercito unico europeo, risparmieremmo qualcosa come 200 miliardi di euro ogni tre anni. Non lo si fa perché il trattato di Bruxelles lascia l’autonomia ai vari Stati, che temono di perdere pezzi di sovranità. Ma creare nuove organizzazioni, senza eliminare quelle precedenti, genera costi abnormi. Serve davvero un bel salto in avanti. Parlo da eurocritico quale sono: questa Unione Europea così com’è non funziona, e va cambiata radicalmente. Ma non abbattuta, o abbandonata.
Parliamo del nostro territorio, on. Rossi: cosa può fare lei, in Europa, per agevolare un rilancio? E in quali comparti?
In questi quattro anni non mi sono mai fermato, e non ho mai smesso di fare da ponte tra il territorio e l’Europa. Ci sono distretti, come quello del freddo a Casale, che hanno competenze e potenzialità per rilanciarsi. Puntando molto sull’innovazione, sulla ricerca mirata. Ci stanno provando, e per quel che posso cerco di dare una mano. Così come, sul fronte agricolo, ha senso puntare su virtuose sinergie con realtà private come la Roquette di Cassano Spinola: una splendida azienda, ci sono stato da poco. Non tutti sanno che, per le loro lavorazioni nell’ambito della chimica “pulita” (dai sacchetti di plastica ai cosiddetti “medicinali bianchi”) in quello stabilimento hanno necessità di 600 mila tonnellate di mais di alta qualità, con determinate caratteristiche. Già oggi hanno, come conferitrici, circa 1.500 aziende agricole, di tutto il nord Italia e non solo piemontesi. Allora dico: perché non creare un vero e proprio disciplinare del mais di qualità, e un distretto che faccia riferimento alla nostra provincia? L’agricoltura ha potenzialità enormi: che vanno canalizzate.
Ha portato due esempi significativi. Ma ci sono altri distretti che “arrancano”: quello orafo, ad esempio.
Lo so, ma lì va recitato soprattutto il mea culpa. Il distretto orafo valenzano è la fiera delle occasioni perdute: lo dico da anni, inascoltato. C’erano potenzialità enormi, a patto di attrarre investitori di alto livello, con progetti faraonici. Magari anche “pacchiani”? Sì, anche “pacchiani”, perché davvero c’era la possibilità, in passato, di fare di Valenza la Las Vegas dell’oro: attirando qui i veri ricconi di tutto il mondo, e in parallelo realizzando magari anche un vero outlet del gioiello, per i non miliardari. Niente di tutto ciò è stato fatto: leggo ora che qualche progetto per vendere in Asia c’è: auguro ogni fortuna, ma le esperienze passate non lasciano grande spazio per entusiasmarsi.
Rossi, lei è di Spinetta, e ha seguito da vicino, anche in Europa, tutta la vicenda Solvay. Processo a parte, come finirà sul fronte dell’inquinamento? E’ possibile una bonifica reale?
Mi auguro intanto che si stabiliscano responsabilità chiare, e che chi ha causato i danni, seppellendo veleni, paghi: in termini di carcere, ma soprattutto di risorse per la bonifica. Che non solo può, ma deve essere fatta. Il primo punto però è: ma perché ancora siamo qui ad ipotizzare cosa c’è sotto lo stabilimento, e attorno? Stiamo parlando di pochi metri di profondità, mica del centro della Terra! Con le tecnologie disponibili si può stabilire con precisione non solo quali sostanze nocive ci sono lì sotto, ma anche (analizzandone la tipologia) quando sono state sotterrate, e quindi da chi. Che si faccia allora, e subito. Anche perché esistono sostanze che, immerse nell’acqua (e di quello stiamo parlando, date le falde sotterranee), si sciolgono, con disastri ecologici potenzialmente immani. Possibile che ancora non si riesca a stabilire cosa c’è davvero lì sotto, e quali rischi corriamo? A quel punto, con la mappa completa in mano, si stabilirà quanti soldi servono per la bonifica almeno parziale (parliamo comunque di decine di milioni di euro), e chi deve pagare. Naturalmente ricorrendo ad un piano complessivo di bonifica, e richiedendo anche l’intervento dello Stato, e dell’Unione Europea.
Cosa pensa del Terzo Valico?
Continuo a ritenerlo un’opera essenziale, se si vuole guardare al futuro dell’economia, e del nostro territorio, oltre la crisi. Il trasporto delle merci per nave continua ad essere quello a minor impatto ambientale, e i porti della Liguria hanno bisogno di ampi retroporti. Da cui il grande ruolo che può avere la nostra provincia, in termini logistici. Naturalmente non entro nelle modalità di realizzazione: ci sono molte critiche su come il progetto è partito, e sono in gran parte condivisibili. Per cui questo Terzo Valico va rivisto. Ma il progetto a mio avviso rimane essenziale. Mentre sulla Tav della Val di Susa sono assai più perplesso: lì, a distanza di tanti anni da quando il progetto è stato elaborato, probabilmente bisogna chiedersi se l’opera abbia ancora un senso. Io ne dubito.
Onorevole Rossi, il suo mandato di europarlamentare scade tra un anno, nel 2014: vorrebbe proseguire l’esperienza?
Molto onestamente: se ce ne fossero le condizioni sì, perché davvero ho l’impressione di lavorare su progetti concreti, di incidere. Naturalmente tutto dipenderà dal contesto: oggi, con il mio Laboratorio politico, la politica dei cittadini, sto davvero dialogando con tutti: dai politici che ancora hanno un progetto, e la voglia di cambiare davvero, alle associazioni di categoria e alle persone comuni. Internet da questo punto di vista aiuta molto: ma stiamo anche organizzando numerosi incontri fisici di confronto sui temi, tra Torino, Milano e Genova. Dialogando anche con movimenti che stanno nascendo in altre parti d’Italia. E guardando con grande interesse alla figura di Matteo Renzi: è lui, oggi, sul piano nazionale l’unica figura che, a mio avviso, può riuscire a dar voce in maniera credibile al cambiamento. Certo, bisognerà capire in che direzione deciderà di muoversi, e se riuscirà a cambiare i rapporti di forza con una sinistra, quella di Bersani, che mi sembra incarni, al pari di Berlusconi, un passato da cui il Paese deve liberarsi.
Ettore Grassano
Stampa