Il dipendente a chi lo do?

Ambarabà cicì cocò, il dipendente a chi lo do? Questo sembra il ritornello per bambini più adatto a commentare il gioco delle parti di questi giorni.

Il comune di Alessandria sospende alcuni servizi appaltati all’Atm, per svolgerli “in house”, come direbbero nel privato? E allora che si porti a casa anche i dipendenti collegati, grazie.

Peccato che a Palazzo Rosso non sia possibile, come ormai in città sanno anche i bambini, effettuare nessuna assunzione, causa dissesto.

I dipendenti della Fondazione Tra che tutti sanno non avere futuro, anche se nessuno lo dice pubblicamente? Beh, c’è Costruire Insieme, no? Che già del resto si piglierà i dipendenti Aspal. E se poi la stessa azienda speciale fosse dichiarata illegittima, ci appelleremo all’accanimento giudiziario, dichiarandoci perseguitati. E qualche santo provvederà.

E i dipendenti della Provincia, che fine faranno tra un anno? Dipende da chi si dovrà far carico di determinate funzioni e attività: Regione o comuni. Ma nessuno vuole il pacco dono, parliamoci chiaro: a meno che chi lo propone (ossia il Governo) non si impegni anche a fornire le risorse per mantenerlo.

Mettiamoci nei panni dei tanti lavoratori di enti locali che, in questi giorni, si vedono potenzialmente “sballottati” a destra e a sinistra, come fossero calciatori “brocchi” che ogni squadra vorrebbe “sbolognare” altrove.  Piacevole sicuramente non è.

Non che si tratti, vi assicuro, di un’esclusiva del pubblico impiego. Partecipai direttamente, ormai diversi anni fa a Milano, ad una trattativa in ambito editoriale in cui l’azienda x, con il suo bel carico di giornalisti assunti, veniva praticamente regalata. Mentre per comprare solo le testate, senza la “zavorra”, ci volevano fior di euri. Alla faccia del valore aggiunto professionale, insomma.

Certamente, per restare a casa nostra, la questione è “spinosa”, e scorciatoie non se ne vedono: caso per caso occorrerà valutare soluzioni e opportunità, naturalmente facendo tutto il possibile, e anche oltre, per garantire i diritti dei lavoratori. Ma anche, speriamo, per valorizzarne le competenze e dare loro la possibilità di lavorare davvero: più approfondisco certe realtà, e più mi rendo conto che esiste (accanto ad un’innegabile quota di “imboscati”) un notevole potenziale di competenze inutilizzate, e di persone che vorrebbe fare e dare di più e meglio. Perché non accontentarle?

E. G.