Rilanciamo Alessandria, o si va tutti a Malindi?

Incertezza e sfiducia. Sembrano queste le parole chiave per interpretare lo stato d’animo degli alessandrini in questo scorcio finale di 2012. Non che, naturalmente, il resto del Paese se la passi gran che meglio, ma da noi quest’anno vissuto pericolosamente, a parlare sempre e solo di tagli, dissesti, stipendi in ritardo e in forse, ha lasciato il segno.

Del resto, quando un territorio si trasforma, nel tempo, in un’area “a vocazione pubblica”, raggomitolandosi progressivamente attorno a poli occupazionali come comune, provincia, Asl e Ospedale (senza scordare il grande fiume delle pensioni, che tiene in piedi l’economia delle famiglie alessandrine), non è che ci si possa aspettare un epilogo molto diverso.

La realtà è che nessuno degli attori sociali ed economici del territorio, al di là e ben prima dei vari piani strategici, mi pare si sia mai mostrato in possesso di una visione davvero lungimirante, e capace di progettare il futuro. E oggi arriva il conto.

Ma, badate bene, nessuna profezia Maya o di altri “gufi” si avvererà, e uscire da questa situazione dipende essenzialmente da noi, dalla capacità che il territorio avrà di reagire, e di mettere in campo un vero progetto di sistema. Un ciclo si sta chiudendo, e la sua fine non proprio gloriosa rischia di lasciare sul campo morti e feriti. Si possono allora limitare i danni, e soprattutto fare in modo che sia possibile guardare ai prossimi anni non solo in termini di resistenza e sopravvivenza, ma di ri/organizzazione di un modello sociale ed economico?

Certo che sì, accidenti. E prima condizione per farlo è che ognuno (a cominciare da chi oggi ha la responsabilità delle realtà più delicate, come quella di Palazzo Rosso) parli chiaro, e presenti progetti seri e concreti, condividendoli con le famose “parti sociali”, ma soprattutto con i cittadini. Naturalmente,  se la risposta dei sindacati si limiterà ad una difesa dello status quo, con i suoi costi insostenibili e la sua inefficienza a tutti nota (e da tutti riconosciuta, in privato: salvo mettersi la maschera quando si fanno esternazioni ufficiali), ognuno si assumerà la responsabilità delle proprie scelte.

Però, attenzione, neanche si può pensare che tutto si risolva licenziando un po’ di lavoratori dalla sera alla mattina. Anzi, quello è certamente il modo per aggravare la situazione e il disagio diffuso, non per porre le condizioni del suo superamento.

500 in cassa integrazione subito, e sindacati fuori dalle scatole: sono loro che hanno rovinato tutto”. Me lo ha detto, sia pur a mo’ di battuta (o no?), l’altra sera un autorevole esponente della sinistra alessandrina. Che forse lo negherebbe, in pubblico. Il punto allora è capire davvero quale sia la verità, e cercare di superarla in maniera costruttiva. Senza farla pagare ai più deboli (che già così, tra Imu e Tarsu, Iva e altre tasse nazionali, stanno collassando), ma senza neppure illudersi che l’economia alessandrina, al collasso pubblico e privato, possa uscire da questa situazione grazie alla bacchetta magica, o a qualche pur necessario aiuto (prestito, peraltro) di Stato.

Da questo abisso si esce solo con un progetto di rilancio: non solo di Palazzo Rosso o di Palazzo Ghilini, ma di tutta l’economia del territorio. Che non può rimanere economia soltanto pubblico/assistenziale.

Ma dove sono gli attori privati? Stanno dialogando a sufficienza tra loro e con la città, e ci credono al rilancio di questo territorio, oppure anche ad Alessandria chi ha le risorse le sta trasferendo in Svizzera, o al Rotary Club Malindi dei Briatore e delle Melandri?

E. G.