Sapete qual è la ricetta italiana per uscire dalla crisi? Studiare meno, rinunciando ad acquisire strumenti di comprensione critica della realtà. Sembra una barzelletta, lo so. E invece è la realtà di un Paese da cultura della barzelletta. In cui le persone con un bagaglio professionale più solido (soprattutto in ambito tecnico scientifico) cercano di andare a sfangarla altrove in giro per il mondo, mentre qui da noi si esortano le nuove generazioni a percorsi formativi brevi, e di tipo tecnico. Del resto, un mio amico filosofo a chi gli chiedeva a cosa servisse studiare filosofia, rispondeva serafico: “beh, a non fare domande come questa, ad esempio”.
Così, mentre l’Istat ci informa che nel 2013 i consumi andranno peggio di quest’anno, e che la propensione al risparmio degli italiani crollerà (ma va? E la luce in fondo al tunnel di Monti? Attenti al treno in arrivo!), la ricetta che sempre più viene propugnata come vincente è “per uscire dalla crisi basta liceo: istituti tecnici e poi a lavorare“.
Dove e come, poi, non si sa, con l’aria che tira. Ma intanto che i figli dei poveri la smettano un po’ con tutte le loro insane aspirazioni di emancipazione, e poi si vedrà. Mamma mia!
Vi cito un caso esemplicativo di quanto siamo mal messi, e anti occidentali. Anche gli Stati Uniti conoscono la crisi: ma la loro è una crisi ben diversa dalla nostra, perché inversa è la loro forma mentis, e la loro capacità di reazione, e di valorizzazione di chi sa fare, ne ha voglia e ha competenze da vendere.
Mi raccontava l’altro giorno un amico che frequenta gli States abitualmente che nel distretto di Boston (una delle aree tecnologicamente più evolute del mondo), ma un po’ in tutto il Paese, il prezzo delle case è determinato dalla qualità delle Università presenti sul territorio. Più si produce eccellenza, a livello di cervelli, e più l’area è considerata appetibile, quindi costosa.
Ma, soprattutto, negli Stati Uniti uno scienziato non guadagna tanto quanto un bidello o un commesso del supermercato; mentre da noi, soprattutto per le nuove, disperate generazioni è la norma.
Non solo: udite udite, pare che in quello strano Paese la mobilità sociale (attenzione: ascendente, ma pure discendente) esista davvero, e che ad un qualsiasi lavoratore chiedano di dimostrare cosa sa fare, e non chi lo manda.
In tale contesto internazionale, quest’Italietta feudale che ha fatto delle caste e castine (spesso miserabili) il proprio biglietto da visita e la propria ideologia, e che invita ora le classi popolari a disinvestire rispetto all’istruzione dei propri figli, che futuro volete che abbia? E come pretendete che sia considerata agli occhi dei tedeschi, degli americani e persino dei cinesi?
Mi torna alla mente il ricordo di un anziano del mio paese, che tanti anni fa, per prendere garbatamente in giro il ventenne con idee (ed illusioni) di sinistra che aveva davanti, canticchiava, su un’aria musicale d’antan: “avanti popolo, che siamo in tanti. Tutti ignoranti, tutti ignoranti”. Lì torneremo, a quanto pare.
E. G.