Socialisti alla riscossa, o patetico amarcord?

C’è movimento sotto il cielo socialista. Da Alessandria a Volpedo, si moltiplicano i segnali di “resurrezione” di un “marchio” politico che ha alle spalle un secolo di glorie, appena un po’ infangate da un decennio conclusivo non proprio glorioso, conclusosi con il “ciclone” Tangentopoli.

Da lì in poi, storie di scissioni per bande e gruppuscoli, anche se accompagnate da poderose ascese personali, un po’ ovunque, di virgulti provenienti dal vivaio craxiano.

Oggi, però, complice il naufragio della seconda repubblica, eccoli rispuntare, i vecchi socialisti, per riaffermare con tenacia la nobiltà del termine “politica”, e la necessità di riaffermazione di valori come drittura morale e solidarietà sociale.

Ripeto: sarebbe facile fare ironia spicciola, e ricordare che il Psi craxiano con la drittura morale c’entra come i cavoli a merenda, e che anzi tra i partiti d’antan è certamente riconoscibile come il padre culturale dei “mazzettari” di oggi. E’ così, naturalmente, ma andiamo oltre. Diamo per scontata la buona fede di tanti partecipanti ai raduni di Volpedo e Alessandria, e partiamo da lì.

Non vi sembra che i socialisti del 2012 siano gli stessi del 1992, con vent’anni di più sul groppone? La foto qui a fianco gira da giorni sulle bacheche virtuali di facebook, quindi speriamo che nessuno si risenta se la pubblichiamo. E’ bella, ma emblematica: raffigura un quarto Stato (mediamente con un paio di pensioni a testa, a voler proprio “spaccare il capello” in quattro) della terza età, che giustamente ha ancora voglia di esserci, e di farsi ascoltare, ma insomma immaginiamo che tra un’analisi socio politica e un amarcord a questi raduni ci si scambino anche consigli su cure reumatologiche e apparecchi acustici.

Idem con patate ad Alessandria, dove pare che l’ambizioso appello borgogliano “Che disastro, che fare?” sia stato accolto da un pubblico numeroso, ma un po’ incanutito. E le proposte? Poca roba per la verità: un richiamo alla centralità dei partiti, e una sorta di “lavorare meno (o “ancora meno”, diciamo) lavorare tutti”, riferito alla macchina pubblica, che non può che far sorridere.

Lasciamo perdere, naturalmente, definizioni alla moda, ma decisamente offensive, che fanno riferimento ormai stabilmente agli zombie della politica. Però un senso di dejà vu un po’ patetico è lecito provarlo. Ma dove può mai essere diretto un Paese che cammina con la testa (e le idee) costantemente rivolta all’indietro, se non a schiantarsi?
E non chiediamoci, per favore, perché i giovani (ossia i venti/trentenni, non i quaranta/cinquantenni) a queste iniziative non partecipano: sarebbe come chiedersi perché non passano il week end all’ospizio.

Chiediamoci, semmai, perché i ragazzi sono così silenziosi, passivi, rassegnati: quasi che la parola futuro non li riguardasse.

E. G.