La notizia è di quelle che si commentano da sole: una quarantina di lavoratori marocchini retribuiti un euro all’ora, e costretti a guadagnarsi la sopravvivenza quotidiana al di fuori di qualsiasi rispetto delle normative vigenti. Più schiavi che braccianti, insomma.
Il fatto che stavolta i riflettori siano puntati sulle nostre campagne, e non sul profondo sud, dovrebbe far riflettere doppiamente, ma soprattutto agire.
In questi casi la retorica sterile e un po’ stucchevole è infatti sempre dietro l’angolo, e in questi giorni mi è capitato di leggere attestati di solidarietà “in poltrona” tanto retorici da far venire il latte alle ginocchia. Non li riporto, perché sarebbe accanimento: però, per associazione mentale, vi propongo una foto che una mia amica ha condiviso ieri su facebbok, e che in fondo ben rende l’idea.
La riflessione insomma è: se l’imprenditore agricolo (chiamiamolo così) non avesse esagerato, e si fosse “accontentato” di uno sfruttamente più “velato”, e numericamente meno evidente, per quanto avrebbe potuto continuare ad usare questi poveracci, nell’indifferenza di noi tutti, e soprattutto di chi per mestiere dovrebbe dedicarsi ai controlli? E quanti sono i casi analoghi (magari appunto solo un po’ meno eclatanti) disseminati nelle nostre campagne?
Giusto ieri chiacchieravo con un sindacalista serio, che mi diceva “il clima di antipolitica rischia di diventare anche antisindacale: siamo ad un passo”.
Forse è così, e il qualunquismo è davvero una brutta bestia. Però dal canto loro i sindacati, ma anche i funzionari pubblici addetti alla vigilanza, e noi stessi come osservatori, siamo tutti quanti certi di fare sempre e fino in fondo il nostro dovere sul fronte della tutela di questi lavoratori “invisibili”?
O invece il sommerso illegale a costo quasi zero fa comodo a tanti, e poi pensiamo di lavarci la coscienza con un bell’attestato di “pelosa” solidarietà via web?
E. G.