Ancora poche ore e, a quanto pare, il dilemma del dissesto del comune di Alessandria sarà definitivamente sciolto. Stavolta dovremmo davvero essere all’ultimo giro di valzer, o agli ultimi petali della margherita. Difficile cioè immaginare che la Corte dei Conti di Torino possa ancora una volta posticipare la decisione, magari chiedendo l’ennesima integrazione documentale.
Tra gli addetti ai lavori le ipotesi si accavallano, e in pochi, nell’incertezza del rush finale, si sbilanciano in un pronostico ufficiale.
La verità, però, è che all’interno del centro sinistra prevale la sensazione che il dissesto sia inevitabile, e che oltretutto sia uno strumento tecnico che consentirebbe un percorso completamente codificato, che se da un lato “depotenzierà” la politica, dall’altro la alleggerirà da una serie di responsabilità e di decisioni gravose, in ogni caso difficilmente evitabili. Per quanto impopolari.
Il centro destra, dal canto suo, tende a far notare che ci sono realtà con situazioni apparentemente anche più gravi di Alessandria (Parma, tanto per fare un esempio) in cui il dissesto sembra assai meno probabile che da noi. E rimarcano che le conseguenze di un simile provvedimento sarebbero pesantissime. Ma il tutto viene affermato blandamente, e con una certa rassegnazione sull’esito finale della vicenda.
E, in camera caritatis, in pochi anche fra gli esponenti alessandrini del Pdl sono disposti a difendere il percorso gestionale e contabile degli ultimi anni a Palazzo Rosso, attribuito però, almeno a posteriori, esclusivamente alle scelte di Piercarlo Fabbio e di pochi fedelissimi. Ma gli altri dove stavano?
Sicuramente Rita Rossa dice una verità quando afferma che, in un caso o nell’altro, il risanamento dei conti del comune di Alessandria necessita di tempi lunghi. E, aggiungiamo noi, probabilmente di scelte che avranno effetti spiacevoli sulle tasche dei contribuenti, ma anche sul futuro di una parte dei dipendenti della galassia municipale (controllate comprese).
In caso di dissesto, comunque, sarebbe tracciata una linea netta tra il pregresso (fino al 31 dicembre 2011), di competenza di un pool di (tre?) tecnici di nomina ministeriale, individuati con la collaborazione della Prefettura (e non è chiaro se si tratterebbe comunque di alessandrini, o di “stranieri”), e la gestione ordinaria dell’esistente, di competenza della politica. Anche se naturalmente con il freno a mano “tirato”, e risorse ridotte all’osso.
La gestione del dissesto può durare fino a cinque anni, nel corso dei quali si dovrebbero individuare le risorse per pagare i debiti contratti con i fornitori (in una misura in genere tra il 40% e il 60%). Nel frattempo naturalmente zero assunzioni, e aumento dei costi dei servizi, delle rette, delle tasse comunali. Oltre all’eventuale vendita degli ultimi gioielli di famiglia.
Ma non è che, senza dissesto, gli oneri a cui saremo sottoposti noi cittadini saranno gran che diversi, a dire il vero.
Per cui prepariamoci: risanare Alessandria, vada come vada, toccherà a tutti noi.
E. G.