[BlogLettera] In ricordo di Don Luisito Bianchi

E’ morto a 84 anni. E’ stato per qualche anno nostro concittadino, un personaggio unico, un caso letterario. Proprio Alessandria rappresentò una tappa fondamentale nella vita di don Luisito Bianchi, oggi definito dalla critica “una rivelazione non solo come teologo scomodo o come sacerdote inquieto, ma anche come narratore” e paragonato a Rosetta Loy e Pupi Avati. Il suo romanzo “La messa dell’uomo disarmato” (2003, edizioni Sironi pp. 860, euro 19), infatti ha  guadagnato “terze pagine” nazionali del tenore: “E’ un capolavoro, sì un capolavoro complesso e multiforme, che affronta la Resistenza sia nella sua accezione storica sia in senso civile e filosofico, anzi teologico”. Resterà nella storia della cultura e della letteratura, non solo ecclesiale. Ma è anche un romanzo storico di personaggi raccontati “dal basso”.

Per noi alessandrini non è (non dovrebbe essere) una scoperta né come scrittore, né come uomo, né come prete. Prima di approdare, quarantenne, nel febbraio ’68 alla Montecatini Edison di Spinetta Marengo don Luisito non si sente a suo agio nel ruolo di prete come viene inteso dalla Chiesa. Neppure gli anni trascorsi dopo il seminario e la laurea (sui contadini della Val Padania) come vice presidente alle Acli di Roma lo hanno rasserenato: “Riflettevo su una Chiesa come fonte di denaro e potere: io non volevo essere pagato in quanto sacerdote, perché l’annuncio del gratuito deve essere fatto gratuitamente”. Così fu prete operaio, turnista al reparto Titanio della Montecatini.

L’ultima sua visita ad Alessandria è di pochi anni fa, fra un folto pubblico di ex compagni di lavoro nel salone della sua ex fabbrica di Spinetta. “Lavoravamo nello stesso reparto, addirittura nello stesso turno.” raccontava Salvatore Del Rio, in seguito segretario generale della Camera del lavoro “Una persona riservata, che non lasciava trapelare il suo travaglio interiore. Benché io tentassi con lui il proselitismo sindacale, non mostrava impegno o interesse politico e sociale”. Giovanni Carpenè, prete operaio e funzionario della CGIL da sempre impegnato nel sociale, ricordava: “Eravamo entrambi assistiti dal vescovo Almici. Lo accompagnai io stesso presentandolo al direttore della Montecatini. Abbiamo vissuto tre anni nella stessa casa in via Volturno. Si divideva fra i turni e il padre ammalato a Cremona.  Da allora ci siamo sempre mantenuti in contatto. Ogni tanto mi manda un libro. Apprendo e sono contento del suo successo”.

Di questa esperienza spinettese, la svolta della sua vita, don Bianchi fornì testimonianza in un libro scritto di getto in due mesi, “a testa bassa” come ha sottolineato con modestia, edito nel ’71 da Morcelliana (pp. 281): “Come un atomo sulla bilancia. Storia di tre anni di fabbrica”. Chi scrive ha voluto più volte negli anni seguenti recensire l’opera prima di don Luisito e l’ha raccomandata alla lettura non solo quale prezioso patrimonio della storia operaia locale ma soprattutto per le qualità di romanziere del suo autore: che senza complicazioni teologiche o sociologiche racconta. Semplicemente e splendidamente racconta la vita in fabbrica, l’amicizia, l’amore per il prossimo. Con passione religiosa, poesia, ironia.

Ha teorizzato e praticato la povertà della chiesa cattolica. A partire da quella prima busta paga della Montecatini Edison di Spinetta Marengo, don Luisito Bianchi non percepirà più un centesimo come prete. Farà poi, per vivere, il benzinaio, l’inserviente in ospedale, l’infermiere, il traduttore, ecc. per concludere come è cappellano all’Abbazia di Viboldone nel milanese. E continuerà a scrivere molti libri. “La messa dell’uomo disarmato” uscì nell’89 in una edizione semiclandestina, 1.500 pagine rifiutate da alcuni editori cattolici. Riscritto, ha conosciuto finalmente il successo. Successo che, siamo convinti, arriderebbe anche alla ristampa del suo primo libro. Entrambi romanzi “nati dal desiderio di dare un senso alla mia vita, storie che ho vissuto come avventure interiori”, narrati con stili differenti ma con stesso sentimento. Cristiano. Suo padre gli disse: “Se proprio vuoi fare il prete, almeno fallo giusto”. Pensiamo che ci sia riuscito.

Lino Balza