[BlogLettera] La primavera araba

Tutto è iniziato il 4 gennaio quando Mohamed Bouazizi, un giovane tunisino di 27 anni, venditore ambulante si è dato fuoco in segno di protesta dopo che la polizia gli aveva confiscato la sua unica fonte di sostentamento. Le proteste, la “Rivoluzione dei gelsomini”, hanno provocato la fine del regime di Ben Ali, costretto ad abbandonare il Paese. Il movimento si è poi esteso all’Egitto (la “Rivoluzione dei giovani”), costringendo il Presidente Mubarak a dimettersi, innescando poi alte manifestazioni e proteste, con repressioni più o meno violente, in Marocco, Algeria, Yemen, Iran, Bahrein, Libia e Oman. Ma non si tratta di fare la cronaca di quanto accaduto e di quanto accade, anche perché andrebbe aggiornata di ora in ora. Per l’occasione vengono proposti solo alcuni punti di riflessione.

1. E’ la rivoluzione di Internet! Spesso nata attraverso una mobilitazione attraverso la rete, con uno scambio di messaggi e comunicazioni tra giovani che hanno familiarità con il mondo e la cultura dei loro coetanei europei ed occidentali con i quali dialogano e scambiano idee e impressioni e gusti e sogni attraverso Facebook, Twitter, i Blogs… Questi movimenti sono più o meno nati in modo spontaneo. C’è una maggioranza di giovani, non ci sono né partiti politici né gruppi organizzati. É una reazione di massa, del popolo.

2. Questi movimenti sono diretti contro regimi che durano da decenni, com’è il caso di Tunisia (21 anni), Egitto (quasi 30 anni), Libia (42 anni), Yemen (21 anni), ecc… La gente è stufa, vuole un cambiamento. I cartelli e gli striscioni inalberati dicono “Vattene!”, come a dire “Basta, adesso”.

3. La motivazione: essenzialmente il fatto di poter trovare un lavoro, formare una famiglia, vivere con un minimo di decenza. In Egitto ci sono circa 30 milioni di egiziani che vivono con meno di due dollari al giorno, una cifra che non permette di vivere. E questa situazione un po’ dappertutto anche negli altri Paesi. Mentre i governanti e i loro familiari e accoliti conducono una vita lussuosa, ed hanno accumulato milioni o addirittura miliardi di dollari.

4. – Anche quello che è successo in Libia può ben essere definito una “primavera”. In questo caso si sono sommati due fattori, l’impossibilità di continuare ad avere come “rais” un personaggio instabile come Mouammar Al Gheddafi e il nuovo ruolo che è venuta ad assumere la Libia, non solo per le risorse petrolifere ma anche per la sua condizione di “terminal” del traffico di uomini e donne proveniente dal Sahel e dal Corno d’Africa.
Sappiamo tutti come è andata a finire e sappiamo, altrettanto, che il nostro intervento diretto era più legato alla presenza del petrolio e del gas che ad altro. Diversa, diversissima la situazione della Siria. Qui un popolo, soprattutto giovani, si è letteralmente ribellato alla pluridecennale satrapia del partito “Baath” siriano. La scelta nepotista di mettere un altro Assad al potere, sperando nella proverbiale tolleranza medio-orientale non ha fatto altro che provocare un lento inesorabile scollamento fra governo e popolo, al punto di arrivare alle cannonate contro le case e a più – pare – di otto mila morti. In Siria, però, nessuno pensa di intervenire e non si va oltre pressioni di facciata utili per un incontro del te’ o poco più. Forse la svolta costitutita dalla presenza di osservatori arabi non siriani accettati da entrambe le parti, può costituire un buon segnale. Per il momento, però, non possiamo andare oltre un convinto auspicio.

5. In tutte queste “primavere” non  c’è stata aggressività, contro nessuno. Nessuno ha attaccato l’America, o l’Occidente, non si è calpestata la bandiera americana o quella israeliana. Non hanno neppure tentato di uccidere o di mettere in prigione i capi: li condannano ma li lasciano andar via, o addirittura gli permettono di restare nel Paese, come per Mubarak. E’ cioè un movimento che non è “contro” ma è per la vita, per una vita decente, dignitosa. E’ una vera primavera del mondo arabo!

6. Gli studiosi dell’argomento negli anni scorsi più volte hanno insistito su un concetto, parlando allora soprattutto dell’Iran: l’Iran, ma ciò vale per tutto il “mondo arabo” (l’Iran non è arabo!), ha una popolazione che quasi per il 70% è fatta di giovani sotto i 30 anni. Giovani con un alto tasso di scolarizzazione e ancor più di formazione universitaria (un livello ben più alto del nostro!), giovani come ho già sottolineato avvezzi all’uso della “rete”, molti con parenti e amici che vivono nella vicina, vicinissima Europa e che possono godere di un sistema di vita per loro inimmaginabile e precluso per la bramosia di accumulo di pochi. Hanno sempre detto che questa massa di giovani è come il magma ribollente di un vulcano che sta cercando di farsi strada in qualche bocca con il diaframma più fragile: il diaframma ora sta saltando.

7. Da noi si continua a “insinuare”, ci pare il verbo adeguato, di un pericolo di “estremismo islamico”. Vedendo le foto e i video è chiaro che non sono manipolati da movimenti radicali, da estremisti. In Egitto per esempio musulmani e cristiani erano mano nella mano, e gli estremisti non sono riusciti a metterli gli uni contro gli altri. Tutti desiderano più democrazia, e non quella “esportata” da noi in Iraq e Afghanistan! La gente è consapevole  che il mondo arabo sta molto male ed è fortissima l’aspirazione a poter vivere come negli altri paesi. I movimenti radicali (che siano religiosi, oppure comunisti, o altro) non sono affatto rappresentativi in questa rivoluzione. E infatti non sono rappresentati. Scorrendo qualche blog è facile trovare dominante un desiderio di operare una distinzione tra religione e Stato, è un sentimento comune. La religione è una cosa buona in sé purché rimanga nel suo ambito. La gente comincia a distinguere tra la religione, che ha dei principi etici, ed i diritti che sono la base fondamentale della vita, sia per l’individuo che per la comunità. Ai diritti umani non possiamo rinunciare. E se la legge religiosa va contro i diritti umani, allora preferiamo i diritti umani anziché la sharia.

8. Un ultimo pensiero. Ascoltare la gente e leggere i giornali in questi giorni ci conferma in un pensiero che da molti anni ci portiamo dentro e che abbiamo anche espresso più volte facendo irritare più di uno. Noi guardiamo al mondo arabo attraverso il filtro di lettura dello stereotipo dell’arabo: intabarrato in abiti strani, con una kefia in testa, con la barbetta appuntita, con un naso adunco e occhi fanatici e spiritati! Un personaggio di cui diffidare e di cui avere paura perché o vuole farti esplodere o pugnalarti alle spalle. L’arabo colto, che studia, che ha le nostre stesse professionalità, che legge i nostri stessi libri, credente e non fanatico, religioso ma non bigotto e integralista, rispettoso della donna, desideroso di un amore per la vita, che vive i nostri stessi sentimenti, sogni, desideri, aspirazioni, razionale e ragionevole per noi non si dà! Perché? Perché negli anni abbiamo sostituito al colonialismo sostenuto dagli eserciti che portavano la civiltà a popoli che consideravamo inferiori, il colonialismo del “capitale”, che opportunamente usato a sostegno di dittatori malleabili ai nostri interessi economici, ci ha permesso di continuare lo sfruttamento di popoli interi a nostro esclusivo vantaggio. Il ventesimo secolo non ha visto la scomparsa del colonialismo, ma una sua astuta (per noi) trasformazione. Ed è questo sguardo colonialista che ci portiamo dentro che ci impedisce di cogliere la bellezza di quanto sta accadendo. Dovremo finalmente trattare alla pari anche il mondo arabo soffocando la nostra spocchia colonialista e razzista.

Di qui parte il riscatto anche per l’altra parte del Mediterraneo, la nostra, che ha solo in parte capito che i tempi sono cambiati, che i muri, i fili spinati con l’elettricità, le barriere di ogni tipo hanno fatto il loro tempo. Oggi non è più questione di scelta, ma di necessità. Ci si deve salvare tutti e non può restare indietro nessuno.

Maria Teresa Gavazza
testo letto in occasione della tradizionale “Marcia della pace” del 31 dicembre 2011 ad Alessandria