Giorgio Carimati, plenipotenziario regista difensivo dei processi Solvay sparsi per la penisola, ha messo a punto con Bernard de Laguiche e Pierre Jaques Joris, i padroni belgi, imputati, una lettera ai giornali, a firma di Stefano Bigini, direttore dello stabilimento di Spinetta Marengo, anche lui imputato ad Alessandria, fra gli otto, per avvelenamento doloso delle acque e dolosa omessa bonifica: anche 15 anni di reclusione.
La lettera della multinazionale a firma Bigini non è una semplice e abbastanza maldestra autodifesa di un imputato, bensì vuole essere l’esplicita offerta manageriale di un finalizzato dialogo con le istituzioni locali. Fa infatti immediato riferimento alla precedente lettera aperta di SEL: “molto apprezzata”. Perché SEL assume questa importanza? Claudio Lombardi (SEL) era presidente della commissione ambiente del Comune di Alessandria: scomodo per le sue iniziative in relazione al territorio inquinato della Fraschetta. Promoveatur ut amoveatur, Lombardi è stato rimosso dalla sindaco Rossa e promosso a inoffensivo o comodo assessore all’ambiente. In più, SEL conta tra le proprie file l’ex assessore all’ambiente provinciale, Renzo Penna.
Se è chiaro questo filo rosso, è altrettanto palese l’oggetto dello scambio di messaggi: la bonifica del territorio dove sono sotterrate migliaia di tonnellate di almeno 21 veleni tossici e cancerogeni. Ovvero i costi di bonifica. Solvay tende a riproporre il famigeratissimo cosiddetto “Piano Amag” che essa aveva confezionato tramite l’ex presidente Repetto, con lo zampino famelico dell’Università locale. Si tratta di un business che, invece di eliminare gli inquinanti all’origine e a totale carico dell’inquinatore, li scarica all’esterno a spese della collettività inquinata, lascia i veleni dove sono sepolti, non li asporta dal terreno per la bonifica, ma cerca di raccoglierli quando sono già penetrati nelle falde acquifere. Però i 10 o 20 o 40 pozzi spurgo, cosiddetta “barriera”, non riusciranno mai a “succhiare” l’intera falda, ad intercettare ed eliminare totalmente i veleni di cromo e solventi clorurati. Mai, nei secoli a venire. Tramite questo palliativo, unito al monito occupazionale, Solvay potrebbe ritardare la prevista chiusura degli Algofreni e continuare a inquinare mentre la riduzione del danno sarebbe scaricata sulle casse pubbliche, con il contributo simbolico dell’azienda.
A parte l’efficacia, la differenza sostanziale fra un piano di bonifica falso e uno vero, quale quello da noi proposto, è il costo. Una differenza enorme, centinaia di milioni. Di qui, la mano tesa tramite SEL di riesumazione del “piano Repetto” e di riproposizione del “piano di azione già condiviso con gli Enti in un clima dialettico” (sic). Siccome “l’osso” della missiva è il costo della bonifica, Solvay piange per “eredità” di malefatte altrui e fa la faccetta innocente del “capro espiatorio”, sorvola sulle responsabilità di aver dolosamente nascosto e provocato il disastro ecologico di cui è imputata al processo, e tanto più sorvola sugli inquinamenti in corso, es. PFIB e PFOA, di fatto così insultando le vittime: ammalati e parenti dei defunti, negandogli i risarcimenti, tacendo sui procedimenti penali, quello in corso e quelli in avvio. Invece il messaggio Solvay ai politici è “politically correct” nella forma ma esplicito nella sostanza: nel passato avete condiviso il piano di azione, dunque le responsabilità sono anche vostre, anche se quelle penali cadono addosso a noi, vi conviene sviluppare con noi il “Progetto di messa in sicurezza già condiviso”, non pensiate che noi subiremo in silenzio “di fare il capro espiatorio di una situazione da voi ben conosciuta” senza mettere tutte le carte in tavola, “ciascuno deve fare la sua parte”. Peccato che il cosiddetto “Piano di azione”, condiviso e riproposto, sia stato un piano di in-azione, che ha portato al disastro eco sanitario sotto gli occhi di tutti, da noi per decenni denunciato. Perseverare è diabolico, soprattutto criminale.
Lino Balza – Medicina Democratica Alessandria