Alcune considerazioni sull’emergenza discarica Quargnento-Solero

Cavalchini nuovadi Pier Luigi Cavalchini
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La discarica – secondo le intenzioni dell’ARAL nel 2011 – doveva rimanere aperta 13 anni “prorogabili di altri due, ma solo con il consenso congiunto dei due comuni interessati”. Si parla di un’area di circa complessivi 100 mila metri quadrati, con una vasta area boschiva a rendere l’impatto il meno invasivo possibile, “e con grande attenzione alla salvaguardia di falde acquifere, aria e terreni” (dichiarazione del Sindaco di Quargnento Benzi in apposita conferenza stampa – 20 giugno 2012). A regime vengono smaltiti (secondo le previsioni 2011) circa 360 mila metri cubi di rifiuti urbani non pericolosi, a cui si aggiungono adeguate politiche di compensazione (che furono, ad esempio, pressoché inesistenti nel caso della discarica di Castelceriolo).

“Non abbiamo accettato per denaro – affermò l’ing. Benzi, sindaco di Quargnento – ma la compensazione economica di 12 euro a tonnellata (di cui il 57,5% spetterà a Solero, e il 42,5% a Quargnento) ci consentirà di avere ‘in cassa’ risorse importanti per la nostra comunità, soprattutto in questo periodo di crisi”. Per Quargnento si parla di circa 150/160 mila euro all’anno, mentre Solero superebbe i 200 mila euro.

Da allora sono passati molti anni e ben due questioni sono emerse con forza: la  discarica-1 difficoltà per un buon numero di Comuni consorziati a tener fede alle quote spettanti e l’errata valutazione dell’ “apertura” ai rifiuti liguri, in buona parte motivo dell’emergenza attuale.

Sullo sfondo di tutta la vicenda c’è la “gara europea” che sta per essere affrontata ad inizio 2017, quindi “domani”. Per questo la variazione di quote appena proposta ( il 42.5% al libero mercato, ovvero ad un partner industriale che voglia appoggiare e sostenere il piano industriale AMAG) fa pensare.

L’andamento complessivo è ancora positivo. Nel 2015 l’utile netto è stato di 37 mila euro, partendo – però – da un utile di gestione di un milione 700 mila euro, cui vanno svalutati i crediti con Barclays e anche quelli con l’Osl. Lo stesso discorso vale per il 2016: utile presunto di 440 mila euro, sulla base di una gestione positiva per un milione di euro, dalla quale si deve però tenere conto delle svalutazioni di crediti. E’ già stato attuato un ribasso del 3.5% ai consorziati per lo smaltimento del rifiuti indifferenziato, che per ARAL significa comunque circa 700 mila euro in meno. Quest’ultima “autolimitazione” deriva dalle crescenti difficoltà di alcuni Comuni (tra cui Alessandria) a far fronte ai propri impegni.

discarica-2Come è noto ben cinque vasche su otto sono già “piene” (in termine tecnico “coltivate”) e per le rimanenti ci sono meno di tre anni di tempo plausibile. Di qui la decisione di spendere circa mezzo milione (per il solo 2017) per arrivare ad un innalzamento di circa tre metri delle possibilità di capienza della discarica.

Altra proposta scaturita in Commissione è quello di poter produrre Css, relativo al Cdr, ovvero il combustibile da rifiuto che oggi non trova centri in Italia per “raffinarlo”, tant’è che viene portato in Ungheria. “Ma qui è il trasporto a far crescere i costi. Così se si potenziassero i due raffinatori Cdr, per una somma di 1 milione, questo investimento potrebbe in breve tempo divenire remunerativo, con un notevole risparmio”. L’intervento virgolettato è dell’ing. De Lucchi, presente in Commissione.

Come ci si dovrebbe comportare con i “Rifiuti”

La trasparenza delle procedure di autorizzazione di nuovi impianti per il trattamento dei rifiuti lascia spesso a desiderare. Perciò le associazioni e i comitati di cittadini, stretti dai tempi di queste procedure, si trovano sovente nella necessità di farsi una prima idea sulla pericolosità o meno di un determinato progetto allo scopo di iniziare a preparare tutte le iniziative necessarie per contrastare l’ approvazione di detto progetto: informazione ai cittadini, banchetti, raccolta firme, ecc.

Questa prima valutazione precede un successivo approfondimento da parte di tecnici volontari, passaggio necessario per precisare le critiche all’ impianto. In queste analisi bisogna sempre tenere presenti le direttive dell’ Unione Europea con la relativa scala di priorità: riduzione, raccolta differenziata, riciclo, incenerimento, discarica. Allo scopo di fornire informazioni per questa prima valutazione dei progetti, suggeriamo di focalizzare i seguenti aspetti dei progetti: (*)

1) analisi delle alternative impiantistiche: nei progetti presentati dai proponenti alle istituzioni per le necessarie autorizzazioni questa analisi purtroppo manca quasi sempre. La UE prescrive l’ adozione delle B.A.T. (Best Available Technologies), quindi il proponente deve confrontare la tecnologia proposta con le altre tecnologie disponibili sul mercato, compresa l’ opzione zero, cioè lasciare le cose come stanno. In questo confronto il proponente dovrebbe riuscire a dimostrare, se ne è capace, che la soluzione da lui proposta è la migliore da diversi punti di vista, e in primo luogo per la salvaguardia della salute dei cittadini e per il rispetto dell’ ambiente. Se si tratta di impianti di combustione o di trattamento a caldo, bisogna sempre richiedere l’alternativa di impianti di trattamento a freddo con recupero di materia;

2) dimensione dell’ impianto: è chiaro che un impianto di piccola taglia, a parità di tutto il resto, risulta meno impattante di un impianto di grossa taglia, anche per il problema dei trasporti del materiale in entrata e del materiale in uscita;

3) localizzazione dell’ impianto. Risultano critici: la vicinanza ai centri abitati, e discarica-3in particolare ai luoghi sensibili (asili, scuole, ospedali, ecc.); la vicinanza a parchi naturali o simili; la prossimità nel sottosuolo di importanti riserve d’ acqua, che potrebbero essere compromesse dall’ impianto; la presenza in zona di culture agricole, che potrebbero essere danneggiate dalle emissioni solide, liquide e gassose dell’ impianto e rese pericolose per l’ alimentazione umana e animale;

4) tipologia dei rifiuti entranti nell’ impianto. Le questioni sono due: la prima, che i rifiuti entranti dichiarati dal proponente non siano materiali pericolosi. La seconda questione è un problema di controllo, cioè di chi e come controllerà che i rifiuti effettivamente entranti nell’ impianto siano quelli dichiarati e non altri. Di norma più lungo è l’ elenco dei rifiuti previsti in entrata, più è il caso di stare all’ erta;

5) provenienza di tali rifiuti e destinazione dei materiali in uscita: il problema è il turismo dei rifiuti. Più lunghi sono i tragitti dei materiali in entrata e in uscita, maggiori sono l’ intasamento delle strade e l’ inquinamento prodotto dagli automezzi, che trasportano i materiali;

6) garanzie di continuità del rifornimento dei rifiuti: il proponente deve mostrare accordi o lettere d’ intento dei fornitori di rifiuti, che dimostrino la continuità nel tempo del rifornimento all’impianto del tipo di rifiuti previsti. In mancanza di questa garanzia di continuità, è lecito il sospetto, che prima o poi subentri l’ alimentazione all’ impianto con altri rifiuti, meno costosi e più pericolosi per l’ ambiente;

7) impianti a biomasse: è necessario prestare molta attenzione alla materia prima entrante nell’ impianto. In generale lo scopo di questo tipo di impianti è ricavare da rifiuti organici il metano e quindi l’ energia elettrica tramite la combustione del metano. Ma non sempre questi rifiuti organici sono avanzi di cucina (es. bucce di banana o pelli di patata), bensì sono spesso rifiuti organici provenienti da lavorazioni industriali, eventualmente contenenti sostanze pericolose, come ad esempio il cromo negli scarti della lavorazione delle pelli, oppure sostanze putrescenti, come nel caso degli scarti della macellazione delle carni;

8) coltivazioni dedicate per produrre biocarburanti (es. etanolo prodotto da canna da zucchero) o per alimentare inceneritori (es. mais per produrre energia elettrica). In linea di massima riteniamo che usare terreni agricoli fertili per produrre carburanti anziché cibo sia una scelta profondamente errata, perché in questo modo si è scelto di alimentare macchine anziché persone. Altra cosa è invece trattare scarti agricoli (es.lolla del riso) o residui di manutenzione boschiva per produrre energia, una volta accertata l’impossibilità di produrre compost con questi scarti, che invece sarebbe la soluzione migliore;

9) tecnologia proposta: fondamentali risultano le referenze su impianti costruiti dal proponente e funzionanti da tempo senza problemi in Italia o almeno in altri paesi europei. Se mancano queste referenze unitamente alle competenze tecniche dimostrabili del personale della ditta proponente, allora è il caso di aprire gli occhi. Domande cruciali da fare al proponente: chi si occuperà della manutenzione dell’impianto? Quali sono le procedure per interventi urgenti in caso d’ incidente, tipicamente in caso d’ incendio? Gli impianti da cui difenderci sono principalmente:
– nuove discariche o ampliamento di discariche esistenti
– nuovi inceneritori o ampliamento o ristrutturazione (revamping) di inceneritori esistenti
– cementifici che bruciano rifiuti- pirolizzatori
– tutti gli impianti che trattano rifiuti pericolosi.

10) materiale uscente dall’impianto (CDR, CSS, combustibili vari, compost, ecc.): può essere di quattro tipi: materia prima seconda, da reimpiegare nel ciclo produttivo ( carta, plastica, metalli, vetro, ma anche il compost per l’agricoltura); combustibili fossili (metano, miscele di idrocarburi, nafta); combustibili spuri (CDR, CSS, destinati agli inceneritori); materiali inutilizzabili perchè non riciclabili. L’obiettivo da raggiungere è di arrivare a riciclare oltre il 95% del rifiuto solido urbano, quindi la materia prima seconda uscente dagli impianti di riciclo dovrebbe costituire intorno al 95 % in peso rispetto al materiale entrante. Ottenere metano potrebbe costituire un’opzione accettabile solo in alcuni casi particolari, come il trattamento delle deiezioni zootecniche, in caso d’impossibilità per l’ impiego come fertilizzante. I combustibili spuri (CDR e CSS) sono prodotti destinati agli inceneritori, e quindi da evitare. I materiali inutilizzabili sono oggi nelle migliori situazioni al 15 % e tra 5-6 anni verranno ridotti al 5%. Le aziende e gli istituti di ricerca dovranno impegnarsi per fare sparire i materiali non riciclabili dai manufatti presenti sul mercato

11) emissioni solide, liquide e gassose e impatto sull’ ambiente: come prima cosa si tratta di verificare l’effetto accumulo delle sostanze pericolose sul terreno, specialmente nel caso in cui, come spesso accade, in vicinanza dell’ impianto si trovino terreni coltivati a cereali, ortaggi, ecc., che possono assorbire metalli pesanti (es. il cadmio nel riso), oppure altre sostanze pericolose, come PCB ( policlorobifenili) o IPA (idrocarburi policiclici aromatici) o diossine. L’ altro aspetto critico è l’ assorbimento delle sostanze pericolose da parte delle persone e l’ effetto sul loro stato di salute. Si deve notare che il soddisfacimento da parte delle sostanze inquinanti dei limiti di legge non è sufficiente per due ragioni: prima, perchè questi limiti hanno natura empirica e non sempre dimostrata scientificamente; seconda, perché questi limiti di legge vengono espressi per unità di volume degli inquinanti gassosi (es. microgrammi al metro cubo) e non tengono quindi conto di un elemento essenziale, e cioè il volume degli inquinanti emessi nell’ ambiente. In altre parole questi limiti non tengono quanto di quanto grosso sia l’ impianto;

12) rischi d’ incendio: sono presenti più spesso di quanto si possa pensare, e quindi la vicinanza ai molti luoghi sensibili deve essere oggetto di particolare attenzione . Deve essere valutato il carico d’ incendio dei depositi e dei magazzini dei materiali ( kCal/ m2) e il rischio connesso al processo (materiali coinvolti, temperature utilizzate, ecc.)

13) conti economici del progetto: costi, ricavi, investimenti, finanziamento: può sembrare incredibile, ma molto spesso le richieste di autorizzazione di un impianto di trattamento rifiuti non riportano i fondamentali dati economici, dai quali si possa ricavare la fattibilità economica del progetto. Se mancano questi dati, è lecito dubitare fortemente sulla trasparenza e sull’attendibilità dell’intero progetto;

14) completezza del progetto: spesso i progetti presentati alle Province per il V.I.A.( Valutazione Impatto Ambientale) e per la relativa autorizzazione presentano gravi incompletezze, a volte addirittura mancano completamente della parte essenziale, cioè della parte riguardante le emissioni e l’ impatto ambientale. In tal caso, secondo noi, il progetto andrebbe immediatamente bocciato da parte della Conferenza dei Servizi, senza la richiesta da parte di questa di modifiche al progetto.
Purtroppo la pratica invalsa consiste nella presentazione da parte del proponente di un progetto ridotto all’ osso, nell’ attesa di suggerimenti o “ aiutini” da parte dell’ ente pubblico. In sostanza il proponente intende spendere il meno possibile per il progetto e avvalersi delle osservazioni della Conferenza dei Servizi e delle Associazioni dei cittadini per completare il progetto. A nostro avviso questa pratica è assolutamente negativa e va abbandonata. Se il progetto è insufficiente, va bocciato subito in caso di carenze gravi, va “ rimandato ad ottobre” in caso di carenze secondarie. In ogni caso, niente “ aiutini”, solo valutazioni si/no delle varie parti del progetto;

15) credibilità della ditta proponente: spesso ci si presenta questa domanda: come può un’ azienda con 1.000.000 € di capitale sociale presentare un progetto del costo previsto di 20.000.000 o 30.000.000 €? Quale credibilità può avere un’ azienda del genere? Quale garanzie abbiamo che ad un certo punto, di fronte alla prima avversità imprevista, l’ azienda non abbandoni tutto, e poi tocchi all’ ente pubblico bonificare il sito con i nostri soldi? A nostro avviso è importante verificare la credibilità della ditta proponente sotto tutti gli aspetti, quindi economico e finanziario, ma anche tecnico e manageriale;

16) garanzie per le bonifiche del sito a fine vita dell’ impianto: questo è un punto particolare rispetto al punto precedente. Accade spesso, che lungo la vita dell’ impianto( ad es, 20 o 30 anni) si avvicendino diverse aziende a causa di svariati fallimenti. Alla fine della vita dell’ impianto, se non è stata sottoscritta un’ adeguata garanzia iniziale da parte del proponente, il cerino della bonifica del sito con i relativi costi rimane in carico all’ ente pubblico;

17) previsione di posti di lavoro: a parità di tutto il resto e nonostante numerose opinioni contrarie, siamo dell’avviso che tra due progetti di impianti equivalenti è da preferire quello che crea un numero maggiore di nuovi posti di lavoro.

 

(*) – Coord. Ambientalista Rifiuti Piemonte 20161221 /a