L’abbiamo capito e l’abbiamo già scritto: la prevalenza del NO al Referendum contiene un giudizio sulla proposta di modifica Costituzionale e un giudizio politico con sfumature diverse sull’azione dell’ormai ex Governo Renzi. Proviamo ad approfondire le sfumature diverse.
Esiste il NO di un’ampia fascia popolare in difficoltà che continua a pagare un prezzo troppo alto a causa di una crisi infinita. E’ un No di rivolta contro un sistema che non sa o non può cambiare le condizioni di indigenza o di insicurezza. Domenica 4 dicembre è stata un’occasione per partecipare restituendo con un NO i tanti NO ricevuti. Sia chiaro, ci sarà sempre, perché c’è sempre stata, una parte più o meno marginale della popolazione pronta a votare contro i Governi, di destra o di sinistra. Ma in questo particolare momento di difficoltà per tutte le (non sempre efficaci) politiche di sinistra in Europa risulta ancor più vincente la via breve del rifiuto, del “vaffa”, del muro da costruire.
Eppure quel NO è genuino, direi comprensibile, quasi un messaggio da cui ripartire. E poi ci sono i NO di tutta la politica che voleva la fine del Governo Renzi per tornare ad essere protagonista. Anche quei NO sono molto comprensibili, forse non genuini, basta leggerli per quello che sono. In questo senso pure per la sinistra ai margini, dentro e fuori il PD, per le destre aziendali, per quelle post fasciste o liberali il 4 dicembre ha rappresentato un’occasione politica evidentissima. Inoltre, ci sono i NO della maggioranza dei cosiddetti “corpi intermedi organizzati”, i sindacati dei lavoratori per esempio, che hanno vissuto con malessere questa stagione. Infine ci sono i NO al quesito referendario, ma sono in netta minoranza.
Colto il segnale sociale dobbiamo ripartire. Più di 13 milioni di italiani con il loro Sì hanno dimostrato di volere le Riforme Costituzionali contenute nel quesito referendario e proprio da lì, per coerenza, dovremmo ricominciare il confronto, per coniugare poi con i verbi giusti le nuove politiche ancora più attente alla scuola, alla sanità, al lavoro, alle pensioni. Ecco perché è fondamentale un Congresso del PD: quali riforme e quale politica dopo il referendum?
Il Congresso serve perché abbiamo bisogno di tutto fuorché di una ripartenza ipocrita dove tutti restano a navigare per interesse nel mare magnum del 30% ( e più) dei consensi salvo non assumersi fino in fondo le responsabilità nelle “partite difficili” dei tanti cambiamenti che abbiamo avviato in giro per l’Italia. E se ci sarà chiarezza il Congresso rifondativo del PD sarà utile per gli italiani; dobbiamo solo capire se tra noi è ancora maggioritaria l’idea di cambiare l’Italia, (per esempio superando il bicameralismo perfetto), con una politica che si assume la responsabilità delle proprie azioni o se prevale un’altra posizione, legittima, per carità, ma che non vuole superare l’unica resistenza detestabile: la resistenza al cambiamento. E dobbiamo capire se queste posizioni possono coesistere nel medesimo Partito o se possono, magari con più chiarezza, allearsi da contenitori differenti. Nel frattempo tutto è un po’ più complicato. Con il NO restano Camera e Senato a fare le stesse cose, resta il conflitto di competenze tra Regioni e Stato, restano nel limbo Costituzionale le Province e al CNEL fanno festa. Ma soprattutto, mentre stiamo lì a sostenere Paolo Gentiloni chissà fino a quando con la stessa maggioranza con cui sostenevamo Renzi, si è rafforzata l’idea che in Italia la Conservazione prevale sul Riformismo e che un “vaffa” ha più efficacia di un pensiero profondo.
* consigliere regionale Partito Democratico