Un pisciatoio a cielo aperto [Il Superstite 298]

Arona Danilo nuovadi Danilo Arona

 

Se percorrete Alessandria, soprattutto nelle vie del centro, fateci caso. Le visibili e incancellabili tracce delle minzioni contro i muri, a fianco anche – in corso Roma – di prestigiosi negozi, si vedono ovunque, ogni 3- 5 metri. Non sono soltanto pisciate di animali portati diligentemente a spasso da padroni griffati nelle ore serali. Si tratta soprattutto di pipì umana perché l’altezza della traccia a livello bacino non mente. Ergo: di notte una larga fetta di umanità incontinente (e un po’ vandalica) alessandrina ci da dentro per battezzare con le proprie tracce organiche le mura del cuore cittadino.

Ma ci può stare un pezzo della media lunghezza di questa rubrica a partire da un presupposto così poco gradevole e, tutto sommato, evitabile. Secondo me sì. Alcune considerazioni sociologiche – ok, siamo generosi – sono quasi necessarie.
Innanzitutto: il whodunit del pisciatore notturno, ovvero chi la fa nel bel mezzo delle tenebre. Due le categorie a rischio identificativo: extracomunitari che non hanno una toilette a immediata disposizione e frequentatori, più o meno giovani, di pub e birrerie di tendenza nelle cui aree di pertinenza pisciare in compagnia alimenta il famoso rituale del ladro e della spia.

Non sono qui a infornare giudizi morali, men che meno vespasianorazzisti. La mia è una constatazione quasi “tecnica”, da un lato supportata dal possedere un esercizio commerciale contro le cui pareti esterne ogni mattina sommiamo le deiezioni della notte (cacche comprese, ma quelle generalmente sono soltanto di cane) e dall’altro di lavorare dalle parti di un bar modaiolo stipato di giovane umanità sino al primo canto del gallo. Tra bottiglie vuote di Corona e bicchieri di plastica abbandonati le pisciatone, ancora fresche per non dire fumanti, ci accolgono come preziose testimonianze di un’Alessandria tutt’altro che grigia e spenta bensì attiva e vitale soprattutto sul fronte della vescica.

Tra l’altro non essendo un chimico non sono in grado di formulare ipotesi fattoriali, ma reputo che l’indelebilità delle tracce sia dovuta alla pessima alimentazione, quella liquida compresa, dei pisciatori. Se si facessero le analisi o extra moenia o prelevando le acque direttamente dentro il Tanaro scopriremmo, a parte un po’ di cocaina che fa sempre bene, un’abbondanza notevole di grassi saturi, OGM, conservanti di bassa lega, derivanti dal cibo che va per la maggiore con bevande annesse.

“Oh, queste pipì non vanno proprio via”, sento spesso smadonnare donne e ragazze intente a spazzolare di prima mattina e forse un’ipotesi di spiegazione sta lì. In ogni caso, come greche ornamentali, le minzioni stanno lì a confermare i vaneggiamenti del Superstite.

Una notazione supplementare per quel che riguarda l’enuresi irrefrenabile dei cittadini extracomunitari. Sino a poco tempo fa, sull’angolo tra via Legnano e via San Francesco d’Assisi (lato est dell’Unione Industriale) si ergeva, monumento a un bel tempo che fu, una cabina telefonica destinata all’inevitabile dismissione. Questo piccolo luogo negli ultimi tempi della sua esistenza si impose come vespasiano per migranti, a volte con code di 4-5 persone all’esterno che dovevano farla, e a volte, purtroppo, non soltanto come ricettacolo per orina.
Montagnole nerastre di sterchi con tutte le conseguenze odorose del caso hanno infatti caratterizzato le ultime settimane di vita dell’abitacolo che, nel mio immaginario, resta ancora un luogo mitico per la grandiosa scena di Tippi Hedren imprigionata dentro con i gabbiani infuriati tutt’attorno nell’immortale Gli uccelli.

Qui giunti, come porsi di fronte al dilemma? Innalziamo un peana come lode dei vespasiani perduti? In effetti, un tempo in cui eravamo stupidi esistevano i “diurni”, anche notturni, che disseminati per la città offrivano un servizio minimo ai prostatici e agli sporcaccioni. Ricordo il double face dei giardini, accanto al baracchino del cocco, spesso vera e propria salvezza per non farla nei pantaloni. Sì, a volte, di sera per un ragazzino non era il massimo perché il pedofilo piscione spesso se ne stava in agguato nell’ombra, ma io mi sapevo difendere imitando l’urlo di Godzilla.

Non avanzo proposte. Neppure protesto. Ma una metafora fra tante parole si fa strada. Un tempo un operatore dell’occulto, da me intervistato, dichiarò che la conca in cui si adagia Alessandria era – e penso lo sia ancora – una zona atta a raccogliere “spazzatura larvale”, una sorta di cloaca per fantasmi di serie B, maledizioni del piffero e fatture di bassissima lega tipo far cadere i capelli a una vicina troppo sexy. Non so se ci sta un paragone con l’orina di cui sopra, ma mi pare innegabile che l’Alessandria by night si stia distinguendo, sempre più, per la quantità in espansione di secrezioni renali. Che in linguaggio esoterico sono parti abbandonate del sé che parlano a lungo, a loro modo, di chi le ha emesse con il massimo sollievo pensabile. Come recitava lo slogan di un mio vecchio romanzo: «Quando le città hanno la vescica debole, i muri parlano».