“I tempi tecnici per arrivare ad una modifica dell’Italicum in commissione, e in aula, ancora ci sarebbero, o ci sarebbero stati al momento della nostra proposta. La volontà politica di una parte del PD, mi pare, molto meno”. Il senatore Federico Fornaro è, oramai, una stella di prima grandezza della nostra politica nazionale, vero esperto di leggi e flussi elettorali non solo all’interno della cosiddetta ‘minoranza Dem” del Partito Democratico, ma anche punto di riferimento per il mondo dei giornali, che a lui fanno riferimento, quasi quotidiano, quando necessitano di chiarimenti e spiegazioni su una materia che spesso risulta ‘nebulosa’ agli stessi addetti ai lavori.
Del resto nel suo libro più recente, Fuga dalle urne, il senatore alessandrino mostra di conoscere a fondo, e come pochi, le dinamiche storico sociali che hanno determinato, in Italia, la partecipazione/astensione degli elettori, e lo fa non solo guardando al passato, ma proiettandosi in avanti, per cercare di capire cosa potrà succedere, e quale sarà, nel nostro paese, l’evoluzione del concetto di partecipazione, e di democrazia.
“Ma non esageriamo – premette Fornaro – con le interpretazioni manichee, o apocalittiche: il prossimo referendum è un appuntamento importante, il passaggio finale di un percorso intrapreso per cercare di riscrivere, in teoria migliorandole, le regole del gioco. Invece lo si sta trasformando in uno scontro tra guelfi e ghibellini, e questo non va bene: comunque finisca, l’appuntamento di dicembre rischia di consegnarci un paese ancora più spaccato e conflittuale”. Già, ma come finirà? Ci sono ancora margini per modifiche pre-consultazione della legge elettorale, e soprattutto gli italiani sanno per cosa si vota, o si muoveranno solo sull’asse pro-contro Renzi? E quali saranno, in ogni caso, le conseguenze politiche del referendum di dicembre? Proviamo a farcelo spiegare dal senatore Fornaro, che peraltro non si sottrae neanche a puntuali valutazioni e considerazioni su scala alessandrina, in vista delle elezioni amministrative di primavera.
Senatore Fornaro, a che punto siamo? Ossia, ci sono ancora spazi per la modifica della legge elettorale, nella direzione da voi richiesta, prima del referendum? Aleggia tensione, e anche un po’ di confusione….
Facciamo chiarezza allora: il tempo tecnico per modificare l’Italicum ancora ci sarebbe, volendo. La concreta volontà politica mi pare di no. Noi come minoranza Dem una proposta chiara l’abbiamo avanzata, ed è il cosiddetto Mattarellum 2.0 (in realtà ormai da molti chiamato Fornarellum, proprio perché elaborato dal senatore Fornaro, ndr): in sostanza è una proposta basata sulla suddivisione del territorio in 475 collegi mediamente da 126 mila abitanti, contro i 100 collegi da 600 mila abitanti dell’Italicum. Si tratta di un maggioritario a turno unico: chi prende più voti viene eletto. In provincia di Alessandria ci sarebbero 4 collegi, per capirci: il che andrebbe nella direzione di quella ‘ricostruzione’ del rapporto diretto tra elettori ed eletti che oggi si è drammaticamente perso. In più, per cercare un equilibrio tra rappresentanza e governabilità, si prevede un premio di maggioranza di 90 seggi per la lista (o coalizione: ognuno sceglie come presentarsi) che prende più voti a livello nazionale, 30 per la seconda, 23 ripartiti tra tutti coloro che superano il 2% dei consensi.
Sparirebbero i ‘capolista bloccati, tanto cari al nostro premier?
Certo, nessun eletto senza preferenze. E la legge, pensata per la Camera, sarebbe facilmente adattabile anche per il Senato, volendo.
Vedremo Senatore: ci pare di capire che la strada strada è in salita. Atteniamoci all’oggi: referendum del 4 dicembre, non solo sulla legge elettorale, ma su un pacchetto importante di riforme costituzionali. C’è chi dice però che il quesito referendario sia scandalosamente di parte: tipo vuoi che tutto migliori e costi meno, o che l’Italia rimanga lo schifo che è…
(sospira, ndr) Certamente, se facciamo un raffronto con quesiti analoghi del passato anche recente, siamo di fronte ad una formulazione meno asettica, non neutra. Ma non stracciamoci le vesti: i cittadini che sceglieranno di andare a votare il 4 dicembre sanno benissimo perché ci vanno, e cosa significa votare sì, come votare no.
Per quanti sforzi Renzi possa fare, però, è indiscutibile che gli italiani esprimeranno attraverso il referendum anche un gradimento/sgradimento all’operato del suo governo. Non per niente sta schierando in prima linea tutto l’esecutivo…
Ribadisco: lo spirito che aleggia attorno a questo referendum non mi piace, e certamente il premier ha serie responsabilità di impostazione, diciamo così. Il popolo italiano dovrebbe essere chiamato ad esprimersi sull’opportunità o meno di ridisegnare le regole del gioco, diciamo così, e invece sembra uno scontro tra guelfi e ghibellini, dalle conseguenze immaginabili.
Ossia? Proiettiamoci al 5 dicembre: cosa potrà succedere dopo, in un senso o nell’altro?
I sondaggi ipotizzano una partecipazione al voto tra il 55% e il 60% degli aventi diritto, e danno il no in vantaggio, risicato. Comunque vada, non sarà una scelta plebiscitaria, e il rischio vero è che il clima conflittuale permanga, e anzi cresca ancor più. Dal punto di vista delle conseguenze politiche, se vincesse il no, chiaramente l’Italicum decadrebbe ipso facto, come le altre proposte di riforma della costituzione. A quel punto occorrererebbe mettere a punto una nuova legge elettorale, e credo che questo significherebbe comunque elezioni nella primavera del 2018.
E se vincesse il sì?
Situazione complicata, ad esempio, per diverse regioni che saranno chiamate al voto nel 2017. Come noto la riforma prevede, tra gli altri elementi, che il Senato non sia più eletto dal popolo, ma con un ruolo centrale dei consigli regionali. Lì, per meccanismi tecnici che qui sarebbe lungo spiegare, molto rimane da chiarire. E, tra l’altro, sarebbe bello che gli elettori chiamati ad esprimersi al referendum potessero saperne di più prima, non dopo. Ma la vera conseguenza politica della vittoria del sì potrebbe essere la tentazione, da parte di Renzi, di mettere subito ‘all’incasso’ la vittoria, con elezioni anticipate nel 2017.
Comunque vada turbolenze in arrivo, senatore Fornaro…
Temo di sì: quel che possiamo e dobbiamo fare, da qui al 4 dicembre, è spiegare, spiegare, spiegare. Non deve essere uno scontro tra tifoserie però: mi auguro che possa emergere la volontà di essere chiari, trasparenti e onesti. Altrimenti si tradisce lo spirito dell’articolo 138 della costituzione. Non solo: chiariamo anche che, se vince il no, non è che spariscono in un botto tutti i problemi che oggi l’Italia ha, a tutti i livelli. E, d’altra parte, se vince il sì non è la fine della democrazia. Insomma, cerchiamo di essere equilibrati.
Ma in caso di vittoria del no secondo lei Renzi dovrebbe dimettersi?
Sicuramente dovrebbe salire al Quirinale, e rimettere ogni decisione nelle mani del Presidente della Repubblica. Mattarella a quel punto potrebbe rimandare Renzi alle Camere, per verificare se esistono le condizioni per un suo nuovo esecutivo, oppure affidare il compito ad un’altra figura.
E poi si aprirebbe per Renzi anche la partita della segreteria del partito…
Quella è un’altra storia. Vedremo.
Buttiamo uno sguardo su Alessandria, senatore. Come sa il clima, in vista delle comunali di primavera, si sta già scaldando parecchio. Cosa si aspetta dal Partito Democratico?
Mi auguro che si capisca che, per vincere, serve un’alleanza ampia, e un forte dialogo con la città, e con le forze di sinistra, e del mondo civico. Non dobbiamo presentare il candidato o candidata e la squadra del PD, ma di una coalizione. E dire chiaramente cosa faremo, senza ragionare ancora col torcicollo: il dissesto c’è stato, dichiararlo era inevitabile, in questi anni i conti sono stati sistemati, ma ora agli elettori interessano altri temi e priorità. Costruiamo ponti e non abbattiamoli, per usare una metafora che ad Alessandria è attuale.
Lei studia con attenzione i flussi elettorali: i dati dicono che il Pd nel 2016 ha perso al ballottaggio con i 5 Stelle in 19 comuni su 20. Sono loro la vostra ‘bestia nera’? Meglio il centro destra?
I dati dicono anche che in molti altri casi i 5 Stelle al ballottaggio non ci sono arrivati, così come ci sono casi, ad esempio le non lontane città di Novara e Savona, dove al ballottaggio ci ha battuti il centro destra. Il PD deve fare la sua partita e proposta alla città senza timori, con forza e trasparenza. I 5 Stelle, là dove amministrano come nel caso di Roma, stanno cominciando a rendersi conto quanto è complicato passare dagli slogan alla realtà quotidiana. Credo che gli italiani, alessandrini compresi, sappiano benissimo che nessuno ha l’esclusiva dell’onestà, e può proporsi a priori come migliore degli altri. Così come competenze e capacità di gestione non si improvvisano. Il resto dipende da noi: dobbiamo dire no all’autosufficienza del PD, ma anche all’autolesionismo. E tornare a guardare a sinistra.
Ettore Grassano