Come gli Ultracorpi sono ovunque. Non si conoscono fisicamente tra loro ma sono ben consapevoli di esistere come comunità. Se la loro meta sta a Torino in un quartiere che pare (ah, che bello!) il Distretto 13, loro partono dai quattro punti cardinali dell’Italia del Nord e raggiungono la destinazione con ogni mezzo e con molto anticipo.
Individuata la fabbrica dismessa in cui a mezzanotte inizierà il concerto – e avvistata con terrore una chilometrica coda di ragazzini che per fortuna riguarda un altro concerto dello stesso Festival Todays -, i Carpenteriani vanno alla ricerca di un bar non troppo lontano ove sbranarsi un panino e far passare pure l’oretta scarsa che manca all’apertura dei cancelli.
Il Trio sotto la nostra lente d’ingrandimento sociologico annota: Edoardo Rosati da Milano, giornalista e scrittore di medical thriller, Stephen Priapone da Ovada (in verità si chiama Priarone, ma da quando è stata vittima di un simpatico refuso, esige che il suo cognome sia cambiato a imperitura memoria di vigore sessuale…), giornalista e saggista di rango, e Danilo Arona, vecchio, quasi vecchissimo, carpenteriano della primissima ora, che proviene da Alessandria, in arte Bassavilla. Su quest’ultimo posso affermare che, se non è stato il primo a scrivere in Italia sul Big John, di sicuro è stato il secondo. Ne fanno fede l’articolo La notte del Grande Cocomero pubblicato nel 1979 sull’ultimo numero della prima serie della Rivista “Robot” e il catalogo curato da Giulia D’Agnolo Vallan e Roberto Turigliatto in occasione del Torino Film Festival del 1999, sempre dedicato a John. Danilo ebbe buon gioco perché vide Halloween a Parigi nella primavera del ’78 e ne restò folgorato. Scrisse su “Robot”: Carpenter sarà uno degli autori-chiave degli anni a venire… Per una volta ci azzeccò.
Allora, il trio scopre un sinistro bar aperto 24 ore al giorno non troppo lontano dall’evento e che sembra la copia sputata del bar Chock Full O’ Nuts dove Jena s’intrattenne con Season Hubley in 1997 Fuga da New York (ma chi si ricorda che nel 1981 Kurt Russell e la bionda Season erano marito e moglie?). Qui, a una giovanissima barista dell’Est chiedono di addentare un panino, e lei risponde con candore: «Ne abbiamo solo più tre» e Priapone risponde con enfasi «Aspettavamo giusto noi!».
Mentre attende le cibarie sorseggiando una birra Corona, Danilo nota un tipo che sta chiedendo informazioni al banco. Il ragazzo è conciato come Alice Cooper ne Il Signore del Male e vuole qualche dritta dalla ragazzina, intenta a scaldare i panini, sulla fabbrica INCET e su una certa via Cigna, indirizzo con doppio numero 96/ 17. Danilo capisce al volo e, dato che la barista sembra cadere dal pero (anche se via Cigna dista un centinaio di metri), si alza e raggiunge il tipo. Lo squadra e chiede solo: «Carpenter?» e gli occhi zombeschi dell’hombre si illuminano. Così Danilo gli spiega per filo e per segno la strada da percorrere e lui svanisce verso la meta.
Arrivano i panini, tutti al salame piccante ungherese, il giusto per presagire una serata calda sotto ogni aspetto. Al primo morso Priapone si accorge che tutta l’altra gente dislocata sotto il dehors di quel bar è a prima vista non così raccomandabile. «Sembrano quelli della Voodoo Band», dice Danilo in una citazione carpenteriana che neppure andrebbe specificata, «meglio non guardarli». Così sarà. E, una volta inghiottiti panini e birra, il trio paga e si dilegua verso via Cigna.
Al n° 96/ 17 ci si accorge che i cancelli sono stati aperti in anticipo. Almeno un centinaio di carpenteriani sono già assiepati in pole position prima di loro. La coda durerà un’ora tonda. Alle spalle migliaia di altri figli di John. Composti ma impazienti Rosati, Arona e Priapone travolgono le truppe distratte dal banchetto del merchandising e si ritrovano in seconda fila, a uno sputo dal palco. Situazione ideale per sentire e vedere bene, se non benissimo.
Qui in questa posizione il trio ci resterà ancora più di un’ora. Godendo, assieme alle altre migliaia di umani distribuiti nell’enorme salone che sa di metallo urlante, dell’esibizione di apertura (notevolissima) di Paolo Spaccamonti, eccellente chitarrista sperimentatore, che introduce da par suo all’atmosfera gotico-spaziale delle musiche del maestro.
Infine, ben oltre la mezzanotte, lui arriva. Anzi, arrivano. Perché, John compreso, sono in sei. Formazione molto rock: tastiere e sint, chitarre, basso, batteria. Tutti vestiti di nero. John, un ragazzino di 68 anni, si muove da rock star consumata. E quando il concerto ha inizio con Fuga da New York il profondo senso artistico dell’operazione appare chiaro a chiunque: John Carpenter sta quintessenzializzando (verbo inesistente ma rende l’idea) il suo cinema in musica potente ed astratta che si disperde nell’aria e va a cementarsi nei mattoni molecolari degli organismi presenti. Così i Carpenteriani diventeranno Cose perennemente collegate all’anima e alla mente del Demiurgo.
Tutto il resto che segue (la goduria estrema, l’elenco dei pezzi, l’evento storico, il gossip), se cercate un minimo con le parole giuste, lo trovate a più riprese in rete ed è inutile che sia io a riproporvelo qui. Dico solo che quando John & Company attaccano Halloween, la gente giù si mette a saltare, ballando sul mondo e sul tempo della nota musica. Michael Myers nel ’78 non se lo sarebbe mai immaginato.
Per citare il titolo di un altro film, una notte da leoni. Soprattutto per i coetanei di John…