E adesso che succederà al grano alessandrino, e più in generale italiano? Per diverse settimane la ‘battaglia’ degli agricoltori per ottenere un giusto prezzo di mercato, in grado di garantire la sopravvivenza economica del comparto, ha tenuto banco sulle cronache dei giornali e dei social. Proprio da Alessandria è partita una grande campagna nazionale, per cercare di sensibilizzare chi di dovere, a partire dalla politica, ad intervenire.
A settembre, i primi segnali parlano di aumento graduale delle quotazioni, è vero. Ma sarà sufficiente?
Incontrando Gian Piero Ameglio, combattivo presidente provinciale della Cia alessandrina, non possiamo che partire da lì. Per poi parlare però anche di agricoltura ‘a tutto campo’, fra opportunità, innovazione, oggettive difficoltà di mercato. “Non possiamo solo piangerci addosso, anche noi dobbiamo saper evolvere, darci una mossa”, dice Ameglio, e cerchiamo di capire meglio come, anche considerando una certa ‘ridondanza’ e non allineamento fra le diverse associazioni di settore che proprio la recente ‘guerra del grano’ ha fatto emergere ancora una volta. E poi, in ultimo ma non meno importante, parliamo di agricoltori e referendum…
Presidente Ameglio, pronti a ricominciare la ‘guerra del grano’, o dopo la battaglia è il momento degli accordi strategici? A settembre i prezzi sembrano in leggera risalita…
(sorride, ndr) E’ stata un’estate durissima, e memorabile. Abbiamo cercato di farci sentire a tutti i livelli, perché la situazione era ed è insostenibile. Il prezzo del grano tenero (Alessandria è una delle province che ne produce di più in Italia, dopo Bologna, ndr) è in leggera ripresa, ma ancora scandalosamente basso, così si uccide un intero comparto, mettendo a rischio l’intera filiera del made in Italy. Un po’ meglio va con il frumento ‘di forza’, che ha caratteristiche strutturali particolari: ma non può essere coltivato ovunque, ci vogliono terreni adatti.
Eppure l’Italia non produce neppure il necessario al proprio fabbisogno: importiamo, e parecchio, insomma…
E’ questo l’aspetto scandaloso: in Italia importiamo dall’estero la metà del fabbisogno nazionale, più o meno. E spesso arrivano intere navi di grano da paesi in cui è evidente che non vengono rispettati tutti i parametri di qualità e controllo che sono invece, giustamente, imposti a noi. Viene quindi da pensare che esistono diversi pesi e misure, e c’è da chiedersi come mai. In ogni caso, i dati sull’andamento dei raccolti mondiali dicono che, a parte il Canada, c’è carenza di prodotto un po’ ovunque: quindi un certo recupero di prezzo è prevedibile, nei prossimi mesi. Ma per il futuro serve altro…
Cosa, precisamente?
Un progetto vero, condiviso. Saper fare sistema, come Paese, ma anche come categoria. Noi agricoltori per primi dobbiamo svegliarci, e qui ad Alessandria stiamo lavorando molto seriamente: punto fondamentale sarà l’accordo con 3 cooperative (Produttori mais, Settevie e Centro agricolo San Michele), a cui venderemo il frutto del raccolto 2017, e che avranno il compito di ‘fare prezzo’, ossia occuparsi della commercializzazione con l’industria. Noi stessi, però, dobbiamo partire bene: ossia imparare a seminare il grano di cui il mercato ha bisogno, non quel che ci capita, o che ci propone il consorzio sotto casa. E’ il primo passo, fondamentale, perché la forbice, oggi scandalosa, che c’è tra il prezzo della materia prima e quello finale di pane, pasta e derivati, vada a ridursi.
Intanto, però, non pochi coltivatori si stanno orientando anche su mercati di nicchia, in apparenza più redditizi di quello dei cereali: dai pomodori alle nocciole, per intenderci…
La diversificazione è fondamentale, e del resto nella nostra provincia esistono da tempo distretti con vocazioni specifiche: si pensi agli ortaggi in bassa valle Scrivia, a Castelnuovo e dintorni, per intenderci. Le nicchie però hanno le loro regole, e necessità: i pomodori, ad esempio, necessitano di un acquirente/trasformatore a breve distanza: com’è la Tomato Farm di Pozzolo per tutta l’area del tortonese, e parte dell’alessandrino, per intenderci. Le nocciole sono un altro mercato interessante, più per la collina che per la pianura: ed esistono anche incentivi non trascurabili, ma con la necessità di un investimento di medio lungo periodo, pluridecennale. Ci vogliono piantagioni idonee alla raccolta meccanica naturalmente: quella manuale avrebbe costi improponibili. Altra nicchia è quella della canapa, che ha un mercato diversificato, dal seme per uso alimentare alla cosmesi. Ma sono sempre volumi ridottissimi, in rapporto ai cereali.
Poi c’è il vino, presidente Ameglio: che vendemmia sarà quella che comincia in questi giorni?
Sempre incrociando le dita sul fronte meteorologico, ci sono tutti i presupposti perché sia un’ottima annata, di qualità. Flavescenza dorata permettendo, in qualche zona. Il vino è un altro settore strategico per la nostra provincia, e ci sono distretti, come il tortonese, che in questi anni hanno saputo fare passi da gigante sul fronte della valorizzazione di quel che producono, puntando su qualità e tipicità: penso al Timorasso (con il traino straordinario di Walter Massa), ma anche a croatina e ad altri vitigni autoctoni. Ci sono altre zone che fanno più fatica, lo sappiamo bene. Ma anche due grandi vini, come Gavi e Moscato, che sanno muoversi con forza sui mercati internazionali. Quando si parla di vino, c’è poco da fare, è l’export la vera strada per il successo: saper conquistare sempre nuovi mercati, con una geografia che cambia quasi di anno in anno, sia pur progressivamente. Serve quindi una strategia, e saper fare squadra, con vere reti di impresa.
A proposito di fare squadra: in occasione delle proteste estive sul prezzo del grano, ancora una volta si è avuta la netta impressione che le diverse associazioni di categoria degli agricoltori andassero un po’ ognuna per conto proprio: talora nelle redazioni dei giornali arrivavano tre comunicati in un giorno, per ribadire concetti simili. Certe battaglie non dovrebbero essere davvero unitarie?
E’ verissimo, e con Agrinsieme sempre più cerchiamo di muoverci in questa direzione. Onestamente, con Confagricoltura la collaborazione c’è , ed è forte. Con Coldiretti si fa più fatica, anche per scelte organizzative interne differenti. Ma è certamente un fronte su cui lavorare.
Un cenno politico, presidente Ameglio: agli osservatori non è sfuggita la sua presenza in piazza, ad Alessandria, al fianco del ministro Boschi alla serata organizzata dal comitato per il Sì al referendum. Cia renziana e boschiana, senza esitazioni?
Precisiamo: quella sera ero lì soprattutto perché, grazie all’interessamento del sindaco Rossa, ho cercato di illustrare, sia pur brevemente, al ministro Boschi la situazione di emergenza di casa nostra sul fronte grano: ha ascoltato, ha annotato, nelle prossime settimane aspettiamo la visita del ministro dell’Agricoltura Martina. Però certamente Cia, come anche le altre associazioni agricole, sostiene le ragioni del Sì al prossimo referendum sulle riforme. Ma non per ragioni ideologiche: semplicemente sono diversi decenni che nel nostro paese si parla di necessità di riforme in grado di modernizzare la macchina pubblica, e di renderla più efficiente. Fermarsi adesso sarebbe sbagliato.
C’è in cantiere qualche nuovo progetto specificamente alessandrino, con cui può congedarci?
(sorride, ndr) Certo che c’è, vi offro una chicca: Ascom, l’associazione dei commercianti, ci ha proposto su Alessandria una collaborazione molto interessante, che speriamo di concretizzare a brevissimo. Ossia attiveremo in via Dante un mercato di prodotti agricoli che, se non proprio permanente, avrà comunque caratteristiche di forte presenza, costante. Non dico di più, se non che abbiamo incontrato l’adesione entusiasta di diversi commercianti della via, e questo ci convince sempre di più che la collaborazione tra agricoltura e commercio possa crescere, e fare da vòlano di crescita per tutti i soggetti coinvolti, facendo al contempo rifiorire le nostre città.
Ettore Grassano