Quando Adone canta: la lirica di Marino [Quarta di copertina]

Marino di Pietro Mercogliano

 

 

Autore massimo del Barocco italiano e fra i maggiori del Barocco europeo, Giovan Battista Marino è stato uno dei piú influenti scrittori della nostra Letteratura. Fu attivo fra la fine del XVI secolo e il primo quarto del XVII soprattutto a Napoli.

Si tratta di un personaggio dalla biografia tormentata e romanzesca: disprezzato e scacciato dal padre proprio a causa della sua propensione per le Lettere, fa vita di strada – forse proprio nel senso dell’accattonaggio, e certamente avvalendosi di ospizî per derelitti e diseredati e della carità del prossimo – finché di lui e del suo talentuoso genio non si avvedono alcuni letterati e un grande mecenate (il quale ultimo è un gran personaggio, di straordinaria importanza per le cause quasi sotterranee che fondano alcune vicende della Letteratura Italiana); e l’avventura è appena iniziata: l’Accademia degli Svegliati (ancora una volta, tale nome – forse ignoto ai piú – è fondamentale per le storie di alcuni importantissimi fra i genî del nostro Paese), un paio di arresti, la taccia d’omosessualità, Roma, Venezia, l’Accademia degli Umoristi (su cui pure ci sarebbe da dire), il servizio presso il cardinal Aldobrandini nipote di Papa Clemente VIII, Ravenna e Bologna, Torino, l’onore del Cavalierato, l’attentato ai suoi danni da parte di un poeta rivale, il processo aperto dall’alto tribunale della Santa Inquisizione nei confronti suoi e delle sue opere, la permanenza a Parigi presso Maria dei Medici, il rientro trionfale nella sua Napoli che lo accoglie come un divo.

Oggi, poco del pubblico e pochi dei letterati leggono la sua opera: che pure sta tornando di moda presso la critica e l’editoria; ma il successo che essa ebbe nel corso del tempo e l’influenza che ha avuto su tanta Letteratura successiva sono immensi.

Ciò vale soprattutto per il poema “Adone”, opera di folgorante genio e piacevolissima Marino_Adonelettura. Si tratta della lunga (circa tre volte la “Divina Commedia”, cosa di cui il Cavaliere andava assai fiero) storia del processo d’iniziazione sensoriale e sentimentale che il giovinetto Adone compie nell’amore della dea Venere passando attraverso la morte e la luce. Si tratta di un testo bizzarro, semplice nella sua linea narrativa e straordinariamente complesso nell’ampia serie di sensi secondi e terzi che cela.

Ma la caratteristica che immediatamente colpisce nel leggere l’“Adone” è la lingua: le sue ottave lo pongono subito in relazione con l’“Orlando Furioso” (e questo è un accostamento corretto e ben ricercato dall’Autore, che voleva rappresentare il suo come il Poema della Pace di contro al Poema della Guerra di Ariosto), ma per quanto il dettato del poema ariostesco è chiaro e classicheggiante qui siamo di fronte a uno stile nettamente meno sereno. Marino scrive complicato, dimostrando costantemente il valore speculativo della parola e coinvolgendo le sue parole in giuochi retorici e quasi enigmistici senza fine.

Le stesse caratteristiche, forse ancor piú evidenti perché isolate dall’ampia costruzione dell’architettura del grande poema, si trovano nelle molte Rime di Marino. Si tratta di una gran quantità di testi varî e variamente raggruppati: gli epitalamî in un’apposita raccolta, i pezzi descrittivi in una loro, pezzi encomiastici, i (relativamente) celebri idillî di “La Sampogna”, testi satirici in gran quantità.

TizianoVenereAdoneLondraLa raccolta piú famosa è certamente “La Lira”. Si tratta di una silloge assai vasta di componimenti scritti in circa due decennî. L’opera nel suo complesso è suddivisa in tre parti, secondo una partizione bizzarra almeno quanto la materia contenuta: la terza parte si caratterizza semplicemente dal punto di vista cronologico per esser stata scritta dopo una prima edizione in volume delle prime due, la seconda s’intitola sostanzialmente “Parte seconda”, la prima ha il sottotitolo di “Rime amorose, marittime, boscarecce, heroiche, lugubri, morali, sacre & varie”; la suddivisione appare in tal modo abbastanza autocontraddittoria da far domandare sul senso della sua apposizione: e rende ben conto del contenuto della raccolta, barocco in qualunque senso del termine. La lingua, in opposizione all’imperante manierismo petrarchista (e, in sostanza, in contrapposizione a Tasso), è varia e spesso oscura e resa complicata da artificî retorici e giuochi di parole.

Questo stile segnò la lezione per diversi anni a venire. Tanto che Francesco de Sanctis ebbe a scrivere: «Il re del secolo, il gran maestro della parola, fu il cavalier Marino, onorato, festeggiato, pensionato, tenuto principe de’ poeti antichi e moderni, e non da plebe, ma da’ più chiari uomini di quel tempo.».