“Qui i perchè non li vieni mai a sapere”
Richard, un giornalista americano sulla quarantina dalla vita caotica e appena abbandonato dalla moglie, decide di partire per El Salvador con lo scopo di realizzare un buon reportage di guerra. Inizialmente è mosso solo da interesse personale, spera infatti di ricavare un buon profitto dalle immagini, inoltre conta di poter condurre sul posto una vita più semplice, pensando di ritrovarsi in ambiente in cui non vi sono particolari norme a cui sottostare.
Con poco denaro e alla guida di una vecchia auto, si avvia verso la meta convincendo a far parte del progetto anche l’amico Rock, dedito all’uso di stupefacenti ed inizialmente scettico, vista la fama non felice di cui gode El Salvador, della quale invece Richard non sembra preoccuparsi troppo.
Appena giunti nel territorio, i due capiranno sulla propria pelle come la situazione sia realmente allarmante, trovandosi nel bel mezzo di una spietata guerra civile, e confrontandosi quotidianamente con la brutalità di un conflitto in cui molti innocenti vengono uccisi barbaramente. Pian piano l’uomo inizierà a provare sdegno e sincero interesse verso la realtà che vede, e resterà turbato dall’atteggiamento dei colleghi giornalisti, attenti solo a raccontare la verità che fa comodo ai potenti.
Nel corso della vicenda Richard avrà modo di interessarsi sempre di più alle questioni politiche del paese, tanto contorte da mettere in ginocchio l’intera popolazione, che ormai vive nella paura e nel disagio. In questa drammatica avventura ritroverà una giovane donna del posto con cui aveva avuto una storia d’amore, e John, un suo amico giornalista, uno dei pochi ancora mossi da sani ideali. Tornare a casa non sarà semplice, complice il carattere brusco dell’uomo, che lo porterà a scontrarsi più volte con personalità influenti del posto.
Ambientato in El Salvador degli anni ’80, si rivela audace e coraggioso questo film del 1986 di Oliver Stone, che realizza una pellicola dal ritmo veloce e toccante, e fornisce una riflessione cruda e forte sulla situazione di grave crisi e violenza, che da anni ha condannato la popolazione Salvadoregna ad un clima di terrore, dove abusi e violenza erano all’ordine del giorno. Il regista, che cerca di raccontare la storia senza essere troppo di parte ma strizzando ugualmente l’occhio alla sinistra, è molto abile nel disegnare con la macchina da presa la figura un paese martoriato, in cui non vi sono più speranze, dove ormai i principali diritti di ogni essere umano possono essere calpestati, in cui il popolo è palesemente costretto a votare un candidato politico pena la morte.
Scenografia avvincente e curata da Stone e Richard Boyle, il fotoreporter che ha realmente vissuto le vicissitudini poi narrate nel film. Diverse le scene degne di nota, in particolare quella battaglia di Sant Ana, e quella dello studente punito amaramente, dopo che durante una perquisizione viene scoperto a non essere in possesso della “cedula”, il documento necessario per partecipare alle votazioni. Ottima l’interpretazione di James Wood, a suo agio nei panni del fotoreporter irruento e sincero, troppo scosso dalla bruttura che lo circonda per starsene in silenzio.
Bravo e convincente anche Jim Beluschi nel ruolo dell’amico irriverente e complice, di quelli che si lamentano di tutto ma su cui si può sempre contare. I dialoghi fra i due si rivelano una piacevole parentesi in grado di smorzare la tensione che aleggia in tutto il film, senza tuttavia sminuirne l’efficacia.
Da notare anche il tocco di realismo che viene dato dalla colonna sonora, in particolare la canzone “El Salvador ta venciendo” del gruppo locale Yolocamba, che contribuisce a trasportare lo spettatore in un atmosfera dai toni popolari, una desolazione in cui ancora qualcuno si mette in marcia e cerca di lottare, mentre nei volti di donne e bambini, si legge la speranza di vedere finalmente un “salvatore” che riporti la pace.