di Dario B. Caruso.
La mia macchina ha appena varcato la soglia dei duecentomila chilometri.
Autostrada Savona-Torino.
Direzione sud.
Al ritorno da un giro nel basso Piemonte, con mio papà a fianco e dopo un breve pranzo innaffiato col dolcetto delle Cantine Einaudi, mi accorgo che mancano una manciata di minuti al solenne traguardo.
“Meglio che accosti per fare la foto….” come se lui avesse la mia età e io appena ventenne.
Rallento solamente, ventenne ancora oggi ribelle a metà, e lui mi tiene il volante. Tanto il traffico è praticamente uguale a zero.
Scatto la foto allo scattare della cifra tonda.
Ci sono persone per cui duecentomila chilometri sono un battito di ciglia.
Altre che non li percorreranno mai, nemmeno in dieci vite.
Pochi o molti chilometri che siano, ciò che conta è con chi trascorri il tragitto. Oltre te stesso.
Allora rivedo molti volti che hanno condiviso il mio personale percorso.
Ed è un vero piacere.
Vedo sorrisi carichi d’amore, vedo occhi pieni di speranza, mani aperte e cuori attenti.
Ascolto tante note musicali.
Il vantaggio dei musicisti, almeno uno dei tanti, è che i suoni ti accompagnano in maniera profonda.
Non è solo il brano che hai ascoltato in quel determinato frangente.
La colonna sonora della vita di un musicista è molto più complessa, è polidimensionale.
Il mio rammarico sarà proprio di non riuscire a scrivere, suonare e cantare tutto ciò che vorrò.
Lo so, lo sento.
Pur registrando ogni file sonoro nella mia memoria centrale non sarò in grado di trasmettere le mie sensazioni integralmente.
Mai.
Il musicista è un fotografo che fotografa la realtà ma non può mostrare la foto ad altri se non a se stesso. Per quanto grande sia il musicista.
Figurarsi io, piccolo.
Mi limito quindi a scattare la foto ad un tachimetro che mi guarda in silenzio.
Per fortuna c’è mio padre che tiene il volante.