Alterne e complesse sono le vicende che interessarono la Repubblica Fiorentina sul finire del XV secolo e nella prima metà del XVI: Lorenzo il Magnifico morí nel 1492, la sua famiglia – i Medici – ricevette la cacciata due anni dopo, fino al 1498 durò l’avventura di Girolamo Savonarola (il celebre frate che da Firenze usò il suo carisma ed il suo furore profetico in un tentativo politico e religioso di riforma della Chiesa, e che fu giustiziato con singolare ferocia nella pubblica piazza), nel 1512 i Medici rientrarono in città rovesciando la Repubblica di Soderini, nel 1527 a seguito di gravi eventi in tutt’Europa (è di quest’anno, ad esempio, il Sacco di Roma) i Medici ricevettero una nuova cacciata e venne proclamata nuovamente la Repubblica, nel 1530 la Repubblica cambiò guide e passò ai piú accesi fra i Repubblicani; eccetera. Ce n’è abbastanza per costruire un manuale di Storia noiosissimo o un divertentissimo romanzo fatto d’intrighi e colpi di scena.
Al primo periodo repubblicano (1498-1512) risale l’inizio della carriera politica di due grandi della nostra Letteratura: Niccolò Machiavelli e Francesco Guicciardini; il primo iniziò proprio sul principio di questa fase ad ottenere cariche pubbliche e fu (allora ventinovenne) nominato Segretario della Cancelleria nel 1498, il secondo (di quattordici anni piú giovane) ottenne invece la sua prima carica alla fine del medesimo periodo divenendo nel 1512 Ambasciatore Unico presso il Re di Spagna.
I diversi rivolgimenti successivi hanno coinvolto i due in maniera assai differente. Machiavelli, come s’è visto, aveva legato totalmente la sua carriera all’esperienza repubblicana, ed al ritorno dei Medici fu allontanato da Firenze; il lento tentativo di riavvicinamento gli procurò, alla vigilia della morte nel 1527 stesso, il sospetto del neorinato Governo repubblicano ed un nuovo allontanamento. Guicciardini, per contro, fu sempre vicino alla Signoria medicea, e giovò soprattutto delle fasi di quiescenza della Repubblica.
I due Autori sono noti soprattutto per le loro opere di carattere politico: delle amplissime messi di testi – tutti importanti, molti belli –, di Machiavelli sempre si ricorda il geniale “Il Principe” (“De Principatibus”) e di Guicciardini il profondissimo “I Ricordi” (“Ricordi politici e civili”); in realtà – al di là di qualche rara eccezione nell’epistolario – tutti gli scritti di Guicciardini trattano di temi strettamente politici, mentre per Machiavelli devo qui ricordare almeno l’importante ruolo (simile, per certi versi, a quello svolto da Ariosto) nella Storia del Teatro italiano – si pensi, come esempio eminente, a “La Mandragola” –.
La nostra Letteratura ci regala spesso miracoli inaspettati. Ad avere la pazienza di dedicarsi ad una simile lettura, è possibile assistere ad uno straordinario dialogo fra Niccolò Machiavelli e Francesco Guicciardini: e non un dialogo qualsiasi, ma un doppio ragionamento sul ruolo della Storia e sui suoi eventuali insegnamenti; e, come se non fosse ciò sufficiente, a questo dialogo è presente – muto ma eloquente come non mai – un importante (forse il fondamentale) storico della Latinità classica.
Machiavelli attese fra il 1513 ed il 1519 alla stesura dei “Discorsi sopra la prima Deca di Tito Livio”, silloge ordinata ma libera di ragionamenti ed appunti svolti a partire dalla prima decade di Libri scritti da Tito Livio sulla Storia di Roma. L’opera machiavelliana tratta sia di questioni di Politica Interna che di Politica Estera; individua rispetto alla prima nella religione cristiana un’importante causa dell’impoverirsi dell’amor patrio, e rispetto alla seconda nella virtú dei cittadini la forza principale dello Stato; rimpiange le istituzioni della Roma Antica, e ragiona sul complicato tema del “ritorno a’ principii”.
Ad ogni modo, al di là delle considerazioni particolari, ciò che emerge da questo capolavoro è la concezione della Storia come sestante e stella polare del pensiero e dell’azione politici: al netto della virtú, che sola determina i destini umani, “tutti li tempi tornano, li uomini sono sempre li medesimi”.
In netta opposizione a quest’idea della Storia come magistra vitæ (‘maestra di vita’), Guicciardini propone con forza la sua della “discrezione”. Nell’incompiuta opera “Considerazioni sui Discorsi del Machiavelli”, Guicciardini respinge l’idea che dal Passato si possano ricavare idee e modelli: l’esperienza umana è relativa e frammentata, e solo la “discrezione” (‘capacità di distinguere’) del singolo può essere in grado di orientare di momento in momento le scelte.
La portata di una simile disquisizione va al di là delle idee sul Tempo di due pur importanti signori che non erano però filosofi di mestiere: quello che qui è in giuoco è il concetto stesso di Classicismo, fondante – in positivo come in negativo – di tutta la Storia del Pensiero Occidentale. Anche il nostro, come ogni altro, è Secolo sia di mescidanze sconsiderate sia di scismi anacronistici (questi ultimi d’invereconda attualità in questa settimana); leggere un poco non farebbe male a nessuno.