Exit

Soro Bruno 1di Bruno Soro
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“Chi è causa del suo mal pianga se stesso.”
Antico proverbio – si legge su Wikipedia – (il cui) significato mira ad ammonire colui che ha prodotto la causa del proprio danno: costui dovrà prendersela esclusivamente con se stesso, e non addossare la responsabilità ad altri.

 

Più di una persona ha chiesto la mia opinione venerdì mattina sull’esito del referendum sull’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea. La mia risposta è la stessa che diedi il 9 maggio 2014, in vista delle elezioni del Parlamento Europeo, in un seminario organizzato da Città Futura, alla presenza di numerose persone e dell’allora candidata alle elezioni europee nelle liste del PD la dr. Carlotta Gualco, direttrice del Centro in Europa con sede a Genova. Sostenevo allora, non smentito oggi dai più avveduti commentatori dell’esito del referendum, che se la permanenza nella moneta unica è strettamente legata alla permanenza nell’Unione Europea, ai sensi dell’art. 58 del Trattato di Lisbona, entrato in vigore il 1° gennaio 2009, “ogni Stato membro può decidere, conformemente alle proprie norme costituzionali, di recedere dall’Unione”.

Ciò significa, con riguardo all’esito del referendum inglese, che “lo Stato membro che decide di recedere notifica tale intenzione al Consiglio Europeo.” Dopo di che l’Unione “negozia e conclude con tale Stato un accordo volto a definire le modalità del recesso, tenendo conto del quadro delle future relazioni con l’Unione”.

Per coloro che non avessero dimestichezza con il linguaggio del Diritto comunitario, Cameronchiarisco che nell’arco dei prossimi due anni (tanto può durare la procedura per il recesso) tutto resterà come prima. E’ vero, a cominciare dall’andamento delle borse di questa mattina, ci sarà un periodo di turbolenza nei mercati finanziari, turbolenza che avrà ripercussioni sulla finanza di coloro i quali, avendo scommesso in un modo o nell’altro sull’esito del referendum, si ritroveranno a dover regolare (incassando o pagando) il buono o il cattivo esito della loro scommessa. Per contro, nel medio termine, le ripercussioni maggiori le avrà il Premier inglese David Cameron, il quale, avendo indetto l’infausto referendum pensando di vincerlo, così da regolare i conti con la minoranza del suo partito (uomo avvisato … per chi volesse ripetere l’esperienza), sapeva benissimo che qualunque fosse stato l’esito del referendum avrebbe avuto inizio una nuova trattativa con l’Unione Europea. Ora, è chiaro che se l’esito fosse stato quello pronosticato dall’exit poll della prima ora (poi ribaltato dai risultati finali), la trattativa sarebbe avvenuta da una posizione di forza, mentre ora non potrà che avvenire da una posizione di debolezza. Tant’è vero che lo stesso Cameron si è precipitato a chiedere qualche mese di tempo per dare avvio alla trattativa, mentre i responsabili dell’Unione vorrebbero iniziarla quanto prima.

Pertanto la prima ripercussione negativa è la perdita di status del Premier inglese. “Chi è causa del suo mal …”

monti-pugni-chiusiUn giudizio analogo, in verità molto più pesante del mio, l’aveva dato qualche giorno prima, in una intervista apparsa su La Stampa del 18 giugno scorso, il prof. Mario Monti. Essendo un buon conoscitore del funzionamento della macchina europea, ha accusato il Premier inglese di avere “abusato della democrazia”. Ciò, per aver giocato una partita tutta interna al Partito conservatore “per levarsi d’impiccio il blocco euroscettico fra i Tory e rafforzare la (sua) leadership”. Il danno più grave, ha pronosticato il prof. Monti, facile profezia, è stato quello di avere aperto “una corsa alle rivendicazioni al di qua della Manica”.

Prova ne sia che in Francia e in Italia si sono subito levate voci a favore dell’indizione di altrettanti referendum sulla permanenza dei rispettivi paesi nella UE. In Francia non so, ma sono anch’io contento, al pari di Monti, “che la nostra Costituzione, quella vigente e quella che forse verrà, non prevede la consultazione popolare per la ratifica (e/o la rescissione) dei Trattati internazionali”. Con buona pace di Salvini, non contento, evidentemente, dell’esito non certo brillante per la Lega nelle recenti elezioni amministrative.

Beppe Grillo, più astutamente, ha anticipato l’esito del referendum inglese, sostenendo in un suo tweet che il M5S non intende uscire dall’Unione, ma riformarla dall’interno. Forse sente già l’odore delle elezioni politiche e si affretta ad ammiccare al popolo riformista che ha rifornito il suo movimento di abbondanti voti ai ballottaggi. Al tempo stesso, il nostro Presidente del Consiglio pare abbia fatto qualche passo indietro sostenendo che il referendum confermativo non l’avrebbe indetto Lui, in quanto previsto dalle norme di revisione costituzionale.
E’ vero, infatti, che la revisione costituzionale è stata approvata dai due rami del Parlamento, ma su iniziativa del Governo. Qualche esponente di spicco del suo Partito lo aveva già da tempo messo in guardia sui rischi di far diventare il referendum costituzionale un referendum pro o contro Renzi. Ma tant’è, come nel caso dell’indizione del referendum inglese (che è facile pronosticare provocherà in casa tensioni separatiste quanto meno in Scozia e in Irlanda, dove gli elettori si sono schierati in maggioranza per il Remain), la frittata ormai è stata fatta.

A dire il vero, con ogni probabilità David Cameron ha perso il referendum perché non ha fatto i conti con l’iniqua distribuzione del reddito tra le regioni del suo paese: al di fuori della Grande Londra, infatti, il livello del reddito pro capite della popolazione inglese è prossimo a quello delle regioni del Centro Italia.

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Analogamente, ad eccezione di Milano e della regione Lombardia, che al pari della Grande Londra figurano tra le aree a più elevato reddito pro capite in Europa, oltre a pagare lo scotto della perdita di credibilità della classe politica, Matteo Renzi non ha fatto i conti con le periferie delle grandi città: avendo avuto riguardo unicamente per i collegi elettorali dei centri storici, gli elettori hanno punito quella disaffezione e questa disattenzione con un voto di protesta. “Chi è causa del suo mal…”.