Il ritorno [Il Superstite 288]

Arona Danilo nuovadi Danilo Arona

 

Anni fa, ai tempi dell’uscita de L’estate di Montebuio, durante un’intervista irrituale e non scontata, l’amico Francesco Cascione mi pose la seguente domanda:

Il libro è un continuo sovrapporsi di piani temporali a cui si aggiungono storie nella storia, il romanzo di Perdinka e le composizioni di Miss Continental. Qual è stata la genesi de L’estate di Montebuio?

La risposta fu questa:

Personalmente sono assai affascinato da certe strutture narrative che permettono l’alternanza tra il linguaggio dell’inconscio e quello dell’Io cosciente e narrante. È una tecnica che viene da lontano, dal cinema (Alain Robbe-Grillet) e dal teatro (Jean Genet) e che oggi ha il suo esponente per definizione in David Lynch, non a caso amatissimo dal protagonista del libro, lo scrittore Morgan Perdinka. Si tende alla creazione di una dimensione “perturbante” non necessariamente legata all’horror, ma senza dubbio coinvolgente perché non ti manda il cervello in vacanza. A mio parere è l’unica tecnica possibile per la storia raccontata ne L’estate di Montebuio, dove il mondo immaginario di uno scrittore giunge a collidere con la realtà al punto tale che le due dimensioni si fondono più e più volte, costringendo il lettore a chiedersi quale sia – scusa l’ossimoro volontario – la vera realtà. Che può esistere di più terrificante? Per quel che riguarda la genesi di questo libro, l’ho raccontata parecchie volte e non ho problemi a ripetermi. Un po’ di tempo fa tenni in Alessandria una conferenza presso la locale Università della Terza Età. Mi “assegnarono” un titolo men che generico (“Un’avventura per le vie della paura e dell’inconscio”) e io un paio di settimane prima dell’incontro chiesi alla dirigente che cosa in realtà dovessi raccontare… Lei mi rispose: «Ci spieghi perché scrive e perché scrive sulla paura». Iniziai a rimuginarci seriamente e, in una sorta di prolungato training autogeno, mi tornò alla mente una vacanza con i miei risalente all’estate del 1962 fatta in un piccolo paese dell’entroterra ligure, delizioso tutt’oggi, che si chiama Montemaggio di Savignone. Per qualche giorno fu veramente una sorta di autoipnosi (conosco qualche trucco in merito…) e particolari da me ritenuti “sepolti” nell’inconscio tornarono alla superficie, stupendomi anche non poco. Piccoli eventi, volti, nomi, forse la prima infatuazione preadolescenziale. Mia madre poi mi venne in soccorso con qualche foto di quella vacanza. Ma che c’entrava quell’estate, ti chiederai giustamente, con il titolo della relazione? C’entrava perché lì, durante il mese di agosto, m’impossessai temporaneamente di una vecchia macchina da scrivere, la mastodontica Continental che si vede nella copertina del libro, e iniziai a “smanicarmi”, tentando persino qualche bozza di racconto. Così preparai una congrua relazione di dodici cartelle per due ore di “parlato”, dove mescolavo ricordi, mezze verità, zone morte e riti d’iniziazione, con tanto di personaggi “veri” (alla Stand By Me, per capirci, anche se l’accostamento è soltanto strumentale…). L’incontro andò benissimo. Le signore si dimostrarono entusiaste di quella storia molto tenera spruzzata di qualche mistero irrisolto. E alla fine, in coro, mi chiesero: «Ma adesso come va a finire?». Io risposi in tutta sincerità che la storia era quella, in ogni caso la mia verità senza possibilità di prolungamenti. Insomma, non si trattava di un romanzo. Ma loro lo avevano preso per tale. Mi scattò qualcosa dentro. Per scriverlo, quell’ipotetico romanzo, dovevo – quarantacinque anni dopo! – ristabilire un contatto con un gruppo di ragazzi con i quali avevo interagito. Perché mi necessitavano anche i loro ricordi. Allora ho usato due metodi: il primo, le leggi di attrazione e di visualizzazione divulgate nel best seller The Secret, che tecnicamente non sono affatto delle fole; il secondo, un articolo pubblicato su “Carmilla Online” che s’intitolava Cercasi Miriam disperatamente. Così, quasi per gioco, perché – ogni tanto occorre ricordarcelo – la vita è anche un gioco. Ma francamente non nutrivo molte speranze: per quel che ricordavo, quei bambini di allora (quelli importanti ai fini narrativi, non più di cinque o sei…) forse erano tutti villeggianti non del posto. Chissà dov’erano finiti? Chissà se erano ancora vivi? La faccio breve, li ho ritrovati tutti, e con loro – soprattutto con una di loro, Lisetta – ho elaborato parte de materiali de L’estate di Montebuio. Quell’uomo raro che è Paolo De Crescenzo, editore di Gargoyle Books (oggi purtroppo dobbiamo dire “era”), da subito si dimostrò interessato non tanto a una storia che dovevo ancora “scoprire” quanto ai meccanismi quasi “magici” di recupero di certe zone buie del passato – meccanismi che ho tentato di raccontare nella stesura del plot. Gli mandavo “pezzi” del libro, man mano “si formavano”, e lui me li rimandava “lavorati” da par suo, instillandomi dubbi e perplessità laddove lo si doveva fare. Ecco… Il libro nasce così.

Perché ripropongo questa lunga risposta? Presto detto: finalmente, dopo anniMontebuio news di riflessioni e di lavoro (a quattro mani, con Sabina Guidotti), si torna. Ovvero, l’autentico sequel de L’estate di Montebuio (anche se sequel è termine riduttivo e fuorviante per colpa del cinema e delle serializzazioni e a me non piace molto) è pronto per l’uscita e per il consumo. Posso al momento dirne poco: è stata dura produrlo ed è stata ancora più dura farlo capire, ma alla fine ha trovato i suoi estimatori. Perché quella tecnica di cui parlo più sopra (da Jean Genet a David Lynch) si è accentuata, estremizzata. Intenzionalmente. Perché, amici, avendomi da poco fatto gli auguri (mai così graditi) per il mio 66° genetliaco, potete ben capire che io mi sono da tempo incamminato lungo quel “cammino verde” (un po’ in salita come la vita) di cui cantava l’amico mai troppo rimpianto Dino Crocco. Per questo motivo pubblico alle mie (minime) condizioni artistiche, per capirci, che per loro natura non sottostanno a pregiudiziali compromessi. Ovvio che le sperimentazioni e il “Novum” (chi ha l’età per ricordare il Novum Cognitivo di Darko Suvin capirà meglio di altri…) non a tutti possono piacere, ma, appunto, data l’età proprio non ci rinuncio – e poi, Perdinka, prima di suicidarsi, aveva manifestato in più di un’occasione la voglia di scrivere un romanzo in stile Mulholland Drive, ammesso e non concesso che quegli stilemi possano essere trasferiti su carta.

In ogni caso al momento mi fermo. Va da sé che ci tornerò a breve. Ma, giusto per confondervi un po’ le idee, confesserò che, pur essendo il proseguimento de L’estate (L’autunno di Montebuio fu uno spin-off), il lavoro di cui parlo si svolge a migliaia di chilometri dall’Italia, per la precisione in un suggestivo pezzo di quella Cornovaglia tanto amata da Daphne Du Maurier e da lei più volte immortalata. Proprio in questo luogo che si vede nella foto in allegato.
Come sia stato possibile, ne riparleremo.